(Messaggero Veneto, 29 marzo 2009, pag. 15)
PORDENONE. Un migliaio, forse poco più, gli irriducibili presentatisi al Forum di Pordenone, per riascolare i miti di una gioventù passata, ma evidentemente non ancora dimenticata. Mille uomini e donne che, a cavallo tra li anni 70 e gli 80, hanno ascoltato, cantato, vissuto e si sono innamorati sulle sonorità degli America, rock band che ha fatto tappa in riva al Noncello con la sua formazione più recente, senza tuttavia riuscire a incantare. Non per le sonorità, le medesime di un tempo, non per la pulizia del suono, veramente ai massimi livelli, non per la scaletta, che pur inserendo qualche brano dalle opere più recenti ha toccato tutti i loro più grandi successi. Non hanno incantato, gli America, come già non incantarono una ventina di anni fa, al parco Galvani, nella loro altra tappa pordenonese, per una sorta di mancanza di anima. Un concerto freddo, quasi un'esecuzione da sala di incisione. Strana cosa, infatti, la musica. Strana cosa, le emozioni: più importanti delle capacità tecniche, più importanti della voce, intatta e sempre un po' nasale, del duo composto da Gerry Beckley e Dewey Bunnell, più importante di una band affiatata (William Leacox alla batteria, Michael Woods con chitarra e tastiere, e Richard Campbell al basso). Emozioni, già. Sono loro le grandi assenti, complici sonorità che spaziano dal rock alla west coast , mescolando country e accenni jazz e di musica black , ma inevitabilmente riposte in un cassetto, sorpassate per quanto la musica possa essere sorpassata. Le stesse emozioni che, a distanza di anni dagli svariati dischi d'oro e di platino delle loro prime produzioni, gli America non riescono più a creare. Poco male, tutto sommato. A eventi del genere l'importante è essere presenti, testimoni. Poco male, se è vero che – in fondo – il duo Beckley-Bunnell regala comunque un viaggio, a ritroso, nel tempo. Complice una musica che, pur se lontana dall'essere attuale, non può non far sognare. E lo fa con una soundtrack attenta, che comincia sulle note di Riverside e subito mescola Ventura Highww ay , per poi lasciare spazio a You can do magic , canzone che meglio starebbe al passato, quando non al condizionale, la ballata Don't cross the river , Daisy Jane , la romantica I need you e quindi Old man Took , con l'armonica a far capolino. Spazio ai primi medley , spazio alla cover di Eleanor Rigby (Beatles, 1966), ma anche, con Woman Tonigh , ancora una volta alla melodia, e a Only in your heart , con il pubblico che si scalda davvero per la prima volta sulle note di C alifornia dreaming , cover del '65 dei Mamas and Papas, ripresa in Italia a suo tempo dai Dik Dik di S ognando California . Lonely people e la recente Ride On sono il preludio ai titoli di coda, che passano lentamente su un'altra hit , Survival , che precede Sandman e la delicata Sister Golden Hair . Il bis, squisitamente studiato a tavolino, regala solo A horse with no name , primo singolo del gruppo, e regala la consapevolezza che il tempo, inesorabile, passa. Per tutti, ma per qualcuno più in fretta. Piero Della Putta

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