domenica 26 aprile 2009

IL RICORDO DI CHERNOBYL. 23 ANNI FA IL DISASTRO CHE PASSO' ALLA STORIA (ARTICOLO di VINCENZO TANZI)


Il disastro di Chernobyl (Ucraina) è certamente l’incidente di più vaste proporzioni che si sia mai verificato ad un impianto nucleare per usi civili. Avvenne il 26 Aprile 1986 quando esplose il reattore nucleare numero 4. Le esplosioni innescatesi non furono di tipo nucleare, come molte fonti annunciarono in prima battuta (cosiddetta reazione a catena incontrollata), ma di tipo chimico ovvero scaturite da reazioni tra sostanze chimiche a causa delle elevate temperature raggiunte. Tale esplosione produsse nubi tossiche composte da materiali radioattivi che si spostarono nei giorni successivi sulla Scandinavia, sull'Europa orientale e persino sull’Europa occidentale a causa di una particolare configurazione barica con associati venti nord orientali. Morirono 30 persone, tra cui 28 da esposizione alle radiazioni. Le grandi aree di Bielorussia, Ucraina, Russia e oltre furono contaminati in gradi diversi. La mattina del 27 aprile, nella relativamente vicina Svezia, alcuni lavoratori in ingresso alla centrale di Forsmark fecero scattare l'allarme ai rivelatori di radioattività. Si suppose, visto l'elevato livello dei dati, che vi fosse una falla all'interno della centrale e i responsabili cominciarono immediatamente a fare controlli in tutti gli impianti. Assicuratosi che le loro centrali erano perfettamente in sicurezza, cominciarono a cercare altrove la fonte delle radiazioni e giunsero così fino in Unione Sovietica. Chiesero spiegazioni al governo e chiesero loro perché non era stato avvisato nessuno. Dapprima il governo sminuì la cosa ma ormai gli svedesi, con i loro controlli, avevano messo al corrente l'Europa intera che un grave incidente era occorso in una centrale sovietica. Il mondo intero cominciò a fare pressione e finalmente rilasciarono le prime e scarne dichiarazioni sull'incidente che fecero il giro del mondo. Intanto sull'Europa intera si riversavano piogge contaminate e le radiazioni si sparsero a macchia di leopardo su campi, villaggi e città. Era già la mattina del 27 aprile del 1986 e all’improvviso l’Italia si scoprì radioattiva. Ma solo il 28 aprile i vari telegiornali della sera davano le prime notizie della catastrofe nucleare. Il 30 aprile la nube radioattiva si affaccia sulle Alpi e il 2 maggio coprì quasi l’Italia intera. Nel periodo di passaggio della nube sul nostro paese (30 aprile - 9 maggio 1986) le aree caratterizzate da intense precipitazioni subiscono una massiccia ricaduta di materiale radioattivo. Le zone più interessate furono il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia e il Veneto. Valori elevati furono registrati in tutta l’Italia settentrionale dove, in particolare, la contaminazione nei vegetali superò i valori limite fissati dalla legislazione italiana. I sedimenti marini furono subito interessati, le foci dell'Isonzo e del Tagliamento hanno ancora "memoria" delle ricadute radioattive (fallout) di Cesio-137 da Chernobyl. Per effetto del dilavamento dei corsi d’acqua e dei bacini retrostanti, infatti, parte del 137 Cs, caduto in Friuli-Venezia Giulia nel 1986, fu trascinato verso il mare insieme alle particelle di terreno su cui si era depositato, accumulandosi nei sedimenti fino a giungere nell'Adriatico che si riscontrarono, anche se basse, altre concentrazioni di altri elementi radioattivi a lunga vita, la cui origine fu certa dovuta alla "ricaduta": per esempio lo Stronzio-90, il Plutonio-239,240 e il Trizio. Da anni Greenpeace protesta, e continuerà a farlo, direttamente contro i test nucleari effettuati dalle grandi potenze con un ruolo determinante nella loro cessazione o sospensione da parti di alcuni di questi paesi. Se fosse solamente energia quale scopo ultimo forse i popoli potrebbero accettare la vista o la nascita di nuove centrali. Ma, purtroppo, l’energia atomica è strettamente connessa alla corsa agli armamenti nucleari. Il riprocessamento delle scorie dei reattori nucleari è un elemento cruciale per la produzione di plutonio, usato nelle armi atomiche, mentre il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi pone dei rischi potenzialmente catastrofici per la vita umana e per l'ambiente. Nello stesso tempo, l' incidenza dei casi di cancro nelle zone circostanti le centrali nucleari rimane preoccupantemente elevata, così come il rischio di ulteriori catastrofi. Il programma di sviluppo nucleare "Atoms for peace" lanciato da Truman nel 1953 prometteva una fonte energetica sicura e a basso costo. L' espansione di quest'industria, in realtà, è servita per lo più a coprire una parte dei costi della produzione di bombe atomiche. A questa conclusione giungeva, nel 1994, la rivista inglese The Economist, in un editoriale riferito all'ipotesi di privatizzazione del nucleare, dal titolo significativo "No thanks". In realtà, dall' incidente alla centrale americana di Three Mile Island (1979) e dall'incidente di Chernobyl (1986), la corsa alle centrali e agli armamenti nucleari, hanno avuto una battuta di arresto. Da allora quasi tutti i paesi del mondo hanno interrotto i loro programmi atomici e altri possono vantarsi di non avere più centrali in funzione, Austria, Danimarca, Norvegia, Grecia e Italia dopo il 1988. I programmi per la produzione dell'energia elettrica sono stati criticati per tre ragioni ambientali: sicurezza delle centrali, inquinamento radioattivo, impossibilità di risolvere il problema delle scorie radioattive a lunga vita. Il nucleare, infatti, assicura il 17 % dell'elettricità, cioè il 5 - 6 % dell' energia totale. Negli ultimi anni i costi si sono impennati: molti governi occidentali hanno fatto marcia indietro oppure hanno preso tempo prima di ratificare la costruzione di nuovi impianti. Il calo evidente nel ritmo di crescita del settore racconta meglio di ogni altra cifra i motivi del lento declino della "follia nucleare".
VINCENZO TANZI

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