lunedì 20 aprile 2009

RASSEGNA STAMPA: IL PICCOLO


LA CRISI ECONOMICA
La leader degli industriali: «A luglio la risalita». Giornata no per le Borse
ROMA Il peggio è passato e si intravede l'uscita dal tunnel della crisi tanto che il numero uno degli industriali, Emma Marcegaglia, intravede primi segnali di ripresa. Da giugno. Sono molti gli osservatori che iniziano ad esprimere un timido ottimismo sulla situazione dell'economia e qualcuno addirittura indica una data per la ripresa: l'inizio dell'estate. Anche perchè il crollo di import ed export a livello mondiale starebbe rallentando e, in Italia, ordini e fatturato mostrano primi segnali di «tenuta» dopo i crolli dei mesi scorsi.Così al coro dei più ottimisti si aggiungono nuove voci dopo che ieri, lo stesso ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, aveva detto che «l'incubo degli incubi» cioè il crollo finanziario globale «è finito» anche perchè «si è arrestata la caduta dell'import e dell'export, del commercio mondiale». Quindi, dice Tremonti, «possiamo guardare al futuro con qualche prospettiva che sostituisce, come dice Obama, la speranza alla paura». Un messaggio questo che sembra aver attecchito a più livelli anche se, accanto ai segnali positivi, si continuano a registrare ancora veri tracolli come quello di ieri dei mercati borsistici oppure si continua a fare la conta dei cassintegrati e si cercano ricette per fermare l'emorragia di posti di lavoro. Stavolta è comunque il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, a dare un segnale positivo: «l'impressione - spiega - è che sia a livello mondiale sia italiano ci siano alcuni segnali che il peggio l'abbiamo visto: non c'è più la caduta continua degli ordini e del fatturato». Per Marcegaglia «il problema adesso è capire in quanto tempo torneremo alla crescita e probabilmente avremo ancora qualche mese difficile. «Il nostro centro studi ritiene che nella seconda parte dell'anno, da luglio, ci possa essere qualche inversione di tendenza». E anche secondo il presidente della Tod's, Diego Della Valle, «la parte peggiore della crisi è passata, soprattutto quell'incertezza dei mercati con cui tutti abbiamo dovuto fare i conti». Ma la moratoria dei licenziamenti proposta dal ministro Sacconi non piace alla Marcegaglia che chiede invece un raddoppio della durata della cassa integrazione. La presidente non vuole troppe rigidità per le aziende: «Gli imprenditori italiani - ha detto - stanno dimostrando nei fatti che vogliono stare vicini ai propri lavoratori» tanto che «i licenziamenti sono molto pochi». Respinte sia «la nuova legge» che «nuove rigidità», Marcegaglia chiede «che ci sia il supporto della cassa integrazione ordinaria e in deroga per far sì che le imprese che hanno cali di fatturato possano mantenere le persone al lavoro». Viste le reazioni fredde della Confindustria (il vice presidente Bombassei e il presidente della piccola industria Morandini chiedono il raddoppio della durata della cassa integrazione), Sacconi precisa che non di legge si tratta «ma di una libera e responsabile moratoria, di una forma di autodisciplina».Di segnali del «dopo-crisi» parla il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: «ci sono indicatori positivi. È vero, come dice il governatore di Bankitalia Mario Draghi, che una rondine non fa primavera, ma nella glaciazione è difficile vedere le rondini. Io ho rivolto agli imprenditori un appello all'autodisciplina, libera e responsabile, - ricorda Sacconi - nel senso di una moratoria dei licenziamenti». E anche il collega all'Innovazione, Claudio Scajola, ritiene che «la situazione economica è complessa e difficile però qualche spiraglio di miglioramento si vede».Anche nel sindacato si intravedono segnali di miglioramento: la fase pì dura della crisi - dice il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni - potrebbe essere passata come sostengono il ministro Tremonti e i rappresentanti delle imprese, ma la Cisl invita ad una maggiore attenzione perchè «siamo in una fase in cui ci giochiamo il nostro futuro». Infine un segnale positivo arriva dal mondo delle banche: «C'è uno smorzamento della caduta. Nella situazione generale gli indici di peggioramento hanno smesso di peggiorare» dice Giuseppe Zadra, direttore generale dell'Abi.

VERTICE ONU A GINEVRA. AHMADINEJAD BERSAGLIATO CON UN NASO DA CLOWN «Israele razzista». E l’Ue lascia il summit
Affondo del presidente dell’Iran. Il Vaticano resta in sala. Luzzatto: «Incomprensibile»
GINEVRA È cominciata male, anzi malissimo, la Conferenza dell'Onu contro il razzismo (Durban 2): come temuto, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinjad ha rinnovato le accuse di razzismo ad Israele in totale disprezzo dei moniti delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. Dalla tribuna dell'Onu, Ahmadinjad ha accusato i Paesi occidentali di aver usato il pretesto dell'Olocausto per creare un «regime razzista» in Palestina provocando l'immediato abbandono della sala dei diplomatici dei 23 Paesi europei che avevano scelto di partecipare alla Conferenza. Immediate le condanne dell'Onu, delle diplomazie occidentali e di Israele.Il «sionismo mondiale personifica il razzismo», ha affermato il presidente dell'Iran applaudito a più riprese da alcuni, ma non certo dai delegati occidentali. Alla fine della seconda guerra mondiale con il «pretesto della sofferenza degli ebrei», si è stabilito nel cuore del Medio Oriente «un governo completamente razzista», ha rincarato senza mai citare il nome di Israele. Inoltre, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha sostenuto negli ultimi 60 anni l'occupazione del «regime sionista», dandogli «piena libertà di commettere qualsiasi crimine».Nel suo discorso di oltre 30 minuti Ahmandinejad ha anche sferrato attacchi contro il diritto di veto al Consiglio di sicurezza e contro gli Usa. Unico capo di Stato alla Conferenza, al suo arrivo nella sala delle Assemblee del Palais des Nations, Ahmadinejad è stato accolto da un applauso, ma il suo intervento è stato brevemente interrotto dalle grida «razzista, razzista» lanciate da un piccolo gruppo di contestatori che indossavano parrucche colorate da pagliacci. Da sotto il palco un giovane ebreo francese gli ha lanciato, sfiorandolo, un naso rosso da pagliaccio.Non è la prima volta che il leader iraniano si scaglia contro Israele ed erano in molti a temere che Ahmadinejad avrebbe sfruttato anche l'occasione della Conferenza di Ginevra. «La nostra previsione era corretta - ha reagito il ministro degli Esteri Franco Frattini -. L'Italia non ha voluto fin dall'inizio partecipare ad un'occasione che avrebbe presumibilmente potuto risolversi in una cattiva occasione per incitare all'odio anti-israeliano». Severissimo anche il commento degli Usa che, come l'Italia ed altri Paesi avevano deciso di non partecipare ala Conferenza. Il discorso del presidente iraniano è stato «vile» e «odioso», hanno osservato. Indignate le reazioni anche di Paesi quali Gran Bretagna e Francia, pur presenti all'evento. In sala a Ginevra, anche il Vaticano che pur giudicando «estremiste e inaccettabili» le espressioni del leader iraniano ha deciso che resterà Durban 2 per «continuare ad affermare con chiarezza il rispetto della dignità della persona umana contro ogni razzismo e intolleranza», come spiegato dal direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. La repubblica ceca ha invece deciso di abbandonare definitivamente la riunione, in programma fino al prossimo 24 aprile.Ma il rammarico più forte per le parole del presidente iraniano lo hanno espresso il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay che avevano aperto in mattinata i lavori della Conferenza. Il segretario generale ha deplorato l'uso della piattaforma dell'Onu per «accusare, dividere e incitare» all'odio. Anche Pillay ha criticato l'intervento del leader iraniano, ma la «migliore replica è di rispondere e correggere, non di ritirarsi e boicottare la Conferenza» ha aggiunto.
L’INTERVISTA PUBBLICA AL GOVERNATORE DOPO UN ANNO DI MANDATO
«Friulia? Se le banche vogliono uscire facciano pure. Su Eluana ho perso il sonno»
di ROBERTA GIANI
TRIESTE Il suo Everest, nonostante sia un uomo di montagna avvezzo alle «arrampicate», l’ha già scalato quando ha sconfitto Riccardo Illy. E lo ammette: «L’adrenalina è finita. Ora mi resta solo la coscienza che mi impone di far bene». Ma non si pente: «Ho voluto rifare il presidente della Regione perché l’altra volta ero durato troppo poco». Renzo Tondo si racconta. E racconta il suo primo anno di governo, le sfide, gli errori, la grande crisi, i segnali di ripresa. Racconta persino la «sua» Eluana: «Mai avrei pensato di ritrovarmi a decidere su vita e morte. Ci ho perso il sonno». Ma il presidente della Regione, incalzato dal direttore del «Piccolo» Paolo Possamai, non racconta solo il passato. Al contrario, accelerando sul futuro, incorona Dario Melò alla guida di Autovie venete. Annuncia una nuova governance in Friulia holding e «scarica» banche e assicurazioni: «Vogliono uscire? Mi sta bene». Assicura una riforma vera della sanità «entro metà legislatura». Difende la specialità e raccoglie la sfida del federalismo fiscale: «La fiscalità di vantaggio impone scelte coraggiose. Sono pronto». Non difende, invece, il comparto unico: «È costato 100 milioni di euro e non ha prodotto nessun vantaggio per i cittadini. Purtroppo, però, indietro non si torna».È un Tondo «a tutto tondo» il protagonista dell’incontro pubblico alla Marittima di Trieste promosso da «Il Piccolo» e «nordesteuropa.it». Quando arriva, mentre in sala si accomodano i sindaci di Trieste e Gorizia Roberto Dipiazza e Ettore Romoli, la presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat, il sottosegretario Roberto Menia e uno stuolo di assessori e consiglieri, trova sull’uscio l’imprenditrice Marisa Ferrarese e il comitato bagnanti per Castelreggio. Protestano, striscioni alla mano, perché lo stabilimento è ancora chiuso: il presidente si ferma, promette di informarsi, offre disponibilità. Poi, quando entra e inizia il dibattito, Tondo ripercorre le tappe salienti dell’anno appena trascorso: Insiel, la manovra di riduzione del debito, il commissariamento dell’A4 e, storia recente, il disegno di legge anti-crisi «con cui rilanciamo cantieri e investimenti» e «potenziamo gli ammortizzatori sociali». Ma come ignorare Renato Brunetta e l’ennesimo attacco alla specialità? Tondo non polemizza ma difende la Regione «meno speciale delle speciali», ma «responsabile» e «virtuosa». Cita, a riprova, il servizio sanitario regionale: «La nostra sanità funziona, eccelle, ed è in pareggio». Il presidente, tuttavia, non nega la necessità di una riforma strutturale, più posti nelle rsa e negli hospice, meno negli ospedali: «Il terreno è accidentato, scattano meccanismi di difesa del territorio, ma non intendo sottrarmi. Il percorso è avviato e, entro metà legislatura, avremo la riforma».Dietro l’angolo, invece, c’è la manovra estiva. Tondo non dà numeri, ma traccia la rotta: lotta agli sprechi, risparmi su spese non essenziali come Fest o Innovaction, massimo sforzo sugli investimenti. E la Finanziaria futura? Reggerà alla grande crisi? «Non sono preoccupato per il bilancio 2010, ma per quelli successivi. Con la ripartenza dell’economia, però, possiamo farcela». E magari con l’aiuto (dovuto) da Roma. Il presidente, ringraziando Illy che «ha aperto una breccia», rilancia non a caso la partita delle compartecipazioni sui tributi Inps: «Il mio predecessore ha ottenuto 30 milioni, ce ne spettano 400, e io voglio trattare con il governo. Ma sono realista e quindi sono disposto ad accettare più competenze in cambio di più risorse».Come dimenticare, intanto, il capitolo infrastrutture? Impossibile: «È la scommessa della legislatura». Subito dopo, ricordando l’investimento da 1,8 miliardi di euro e minimizzando i disagi in arrivo, Tondo conferma l’avanti tutta sulla terza corsia. Sottolinea la necessità di sinergie tra il porto di Trieste e quelli dell’Alto Adriatico, rivela un contatto con le Ferrovie russe «interessate» alla piazza triestina, sposa la privatizzazione dell’Aeroporto di Ronchi dei Legionari e le alleanze «non solo con Venezia».Ma è su Autovie e su Friulia holding che il presidente scarta con più decisione. Tondo annuncia pubblicamente il ritorno di Melò, il manager della De’ Longhi già nominato nel 2001, ai vertici della spa di Palmanova in scadenza a settembre: «Voglio richiamarlo a fare il mestiere che ha già fatto bene». Frena sulla quotazione in Borsa: «Non è un mio obiettivo». Riapre la partita di Friulia: «È stato un errore fare la holding. E ora il cambio di governance è un obiettivo che ci poniamo, il sistema duale non lo capisco, come non capisco una Friulia che conta solo 94 partecipate e fa 20,8 milioni di utili solo grazie alla cessione di Friulia Lis e all’apporto di Autovie e Finest». Basta? Macché: Tondo manda un segnale esplicito anche ai soci privati della holding. «Cos’ha prodotto l’ingresso di banche e assicurazioni? Se vogliono uscire, lo facciano. A me interessa mantenere la maggioranza di Friulia e Autovie per poter sostenere le nostre imprese e realizzare le infrastrutture».Infine, dopo aver confermato il sì al rigassificatore «a terra» e individuato nei rapporti con i Balcani e con gli emigrati all’estero le due linee guida della «politica estera» del Friuli Venezia Giulia, Tondo rivive pubblicamente la vicenda Englaro: «Non ne ho mai parlato sinora, rifiutando anche due inviti di Bruno Vespa, per rispetto. Ma posso dire che ci ho perso il sonno e non mi era successo nemmeno quando mi preferirono Alessandra Guerra». Il presidente ripercorre quei giorni difficili: «Ho preso la mia auto e sono andato a Lecco a vedere Eluana, era come una pianta che viveva solo se la inaffiavi. Ho una figlia di 23 anni e non la lascerei mai vivere così». Non nega le pressioni: «Ho detto no a Silvio Berlusconi, quando volevano il sequestro della stanza della Quiete, ma l’ho fatto non per il mio convincimento personale ma perché, giuridicamente, non potevo farlo». Nega i dissidi con Vladimir Kosic: «Mai pensato di revocarlo, sapevo che aveva un’idea diversa dalla mia». Boccia leggi sul testamento biologico: «Non credo si debba legiferare sul fine vita. Capitasse a me quello che è successo a Eluana, vorrei che a decidere fossero mia moglie, il mio medico, il mio prete, e non il Parlamento». Applausi in sala.

L’ATTACCO A GERUSALEMME
La conferenza Onu sul razzismo, la cosiddetta Durban 2, si apre, prevedibilmente, tra le polemiche. Il discorso di Ahmadinejad, che occupa la scena e definisce, sia pure non nominandolo, quello di Israele come un «governo razzista», esacerba il clima già teso del summit ginevrino.Consapevoli che la tribuna svizzera avrebbe offerto occasione al presidente iraniano di ribadire le sue tesi revisioniste sull'Olocausto e sull'equiparazione del sionismo al razzismo, Stati Uniti, Italia e Germania avevano già preventivamente abbandonato la scena. Temevano, come è accaduto, che Ginevra diventasse occasione per l'Iran di stigmatizzare pesantemente Israele, già messo sotto accusa, per razzismo e violazione dei diritti umani nei confronti dei palestinesi, al summit sudafricano del 2001 di Durban.Pur essendo riusciti a modificare il documento finale della conferenza su punti assai delicati, come il tentativo dei Paesi islamici di relativizzare la Shoah o di impedire, di fatto, la critica alle religioni, i "boicottatori" non avevano gradito però il riferimento del testo alla passata conferenza. Rinvio che, seppure implicitamente, ribadiva le accuse a Israele. Gran Bretagna e Francia, particolarmente sensibili alla messa al bando di forme di razzismo come la crescente islamofobia, che rischiano di incendiare le loro società multietniche, hanno comunque deciso di partecipare alla conferenza. Così come il Vaticano, che nel summit vede l'occasione per ribadire il suo ruolo di ponte tra Occidente e mondo islamico e di tutore delle minoranze cristiane al suo interno; oltre che di affermare la necessità di far fronte, insieme alle altre religioni, a quella che papa Ratzinger avverte sempre più come l'aggressione del mondo secolare nei loro confronti.Dopo il duro attacco di Amhadinejad i delegati dei Paesi europei hanno lasciato la sala, ricomponendo momentaneamente la frattura che ha spaccato l'Ue. Mostrando, però, quella tra Occidente e mondo islamico, e non solo, su Israele. Non è un caso che le parole del presidente iraniano siano state salutate dagli applausi dalla platea quando ha accusato gli Stati occidentali di essere rimasti in silenzio di fronte ai «crimini commessi da Israele a Gaza».Ahmadinejad, che da tempo persegue a l'unità con le "forze antimperialiste", vedi l'intesa con il venezuelano Chavez, ha suscitato consenso anche quando ha sollevato il problema del metodo di lavoro delle organizzazioni internazionali e quando ha parlato della crisi economica mondiale come un prodotto essenzialmente americano.
Anche se il presidente ex-pasdaran, ai margini del vertice, ha cercato di non chiudere la porta in faccia all'amministrazione Obama: in particolare sulla questione del nucleare. Tema sul quale ha, polemicamente, ribadito che la giustizia deve essere uguale per tutti. Sottolineando implicitamente in tal modo il "doppio standard" occidentale, che penalizza un Paese come l'Iran, che pure ha aderito al Trattato di non proliferazione mentre tace su Israele, che pure quel trattato non ha sottoscritto e ufficialmente non risulta come potenza nucleare militare.Un atteggiamento, quello del leader iraniano, che amplifica la storica posizione del regime degli ayatollah su Israele. E che mira insieme a sottrarre legittimità ai Paesi arabi sunniti filoccidentali, alleati dell'America protettrice dello Stato ebraico, e mobilitare all'interno, tanto più in prospettiva della campagna elettorale di giugno, i settori della società iraniana più ostili al "Piccolo Satana". Anche se il tenore delle ultime mosse di Ahmadinead, dure polemiche e caute aperture, rivela come, nel caso di rielezione, egli si candidi a gestire lo scenario lasciato intravedere da Obama con la sua politica della mano tesa verso Teheran. Attaccando duramente Israele, Ahmadinejad sembra presentarsi a quanti in Iran temono un cedimento del regime nei confronti dell'Occidente, come l'autentico baluardo della Rivoluzione islamica, l'unico leader in grado di gestire, senza abdicare, un simile compromesso.Renzo Guolo

FERRIERA DI SERVOLA
di SILVIO MARANZANA
«Delle centomila tonnellate di ghisa accumulate in surplus che ci hanno costretti a ricorrere alla cassa integrazione, ne abbiamo vendute 25 mila, mentre 75 mila tonnellate rimangono da piazzare ai clienti. Di conseguenza non siamo ancora in grado di dire se a giugno potremo riprendere la produzione». Parole preoccupanti quelle pronunciate ieri da Francesco Rosato direttore della Ferriera di Servola a margine della cerimonia che ha sancito l’avvio del programma di riconversione dello stabilimento siderurgico e dell’iter per la realizzazione della megacentrale termoelettrica.È il mercato ora l’unico ostacolo alla ripresa dell’attività della Ferriera, dal momento che, come ha riferito lo stesso Rosato, la Regione ha dato un sostanziale nulla osta all’accensione dell’altoforno numero 3 dopo che l’azienda era stata diffidata a utilizzare l’Afo 2, fuori norma. «Abbiamo comunicato per lettera - specifica l’assessore all’ambiente Vanni Lenna - che la modifica fatta non è sostanziale per cui non è necessario riottenere l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale. Basterà rifare il decreto spostando il nulla osta dall’Afo 2 all’Afo 3 dal momento che sono analoghi».In aprile intanto la cassa integrazione sta interessando 170 operai a rotazione, in totale 300. Ma tutti e 540 i dipendenti restano con il fiato sospeso anche se ieri i sindacalisti «accerchiando» il direttore hanno ottenuto la promessa di un incontro per i primi di maggio durante il quale dovrebbe venir detta la parola definitiva sulla ripresa dell’attività.Ieri in Regione il presidente Renzo Tondo, la presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat, il sindaco Roberto Dipiazza, l’amministratore delegato di Lucchini spa Hervè Marie Kebrat e l’amministratore unico di Lucchini energia Francesco Rosato hanno firmato il protocollo d’intesa sulla realizzazione della nuova centrale a metano da oltre 400 Mw che produrrà energia elettrica e vapore e sorgerà nell’area ex Esso e più precisamente su parte dell’area dell’ex discarica di via Errera prospiciente il canale navigabile. L’investimento previsto è di 300 milioni di euro e la centrale dovrebbe entrare in funzione nel 2013.«Non bisogna certo considerarla l’alternativa occupazione alla Ferriera - ha detto a margine Rosato - dal momento che saranno solo 30-50 le persone impiegate in modo diretto alle quali potrebbe aggiungersi un indotto di 80-100 unità».Accanto alla centrale, come ha ribadito anche ieri il sindaco Dipiazza vanno considerati la Piattaforma logistica per la quale domani il presidente dell’Autorità portuale Claudio Boniciolli sarà in audizione al Cipe, il rigassificatore di Gas Natural di cui si attende a settimane il decreto di via libera da parte del ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo e la fabbrica di funi d’acciaio della stessa Severstal. Realizzazione sulle quali si registra unità d’intenti da parte delle principali amministrazioni, non così netta unitarietà tra i sindacati dove alcune frange sono contrarie al rigassificatore e altre sono per la permanenza sine die di un comparto siderurgico.Ieri Luca Visentini della Uil e Luciano Bordin della Cisl hanno tentato di mettere spalle al muro il presidente Tondo: «Vogliamo uscire da questa riunione con un percorso tracciato dalle istituzioni verso la realizzazione di 4-5 strutture in grado di assorbire mille posti di lavoro». «Non è questo il ruolo del presidente della Regione - ha replicato Tondo - altrimenti qui dovremmo parlare anche della Caffaro e della Safilo. Va creato un Tavolo ristretto della riconversione, una cabina di regia composta da un numero minimo di rappresentanti delle istituzioni, della proprietà e dei sindacati».Frattanto con la firma del Protocollo d’intesa si avvia la procedura autorizzativa per la centrale termoelettrica. «Tra l’11 e il 15 maggio - ha annunciato Rosato - presenteremo il progetto a Roma». La procedura autorizzativa sarà regolata da una Conferenza dei servizi istituita presso il ministero dello Sviluppo economico.Nel protocollo, tra l’altro si legge che «la Lucchini ha promosso alcune iniziative per lo sviluppo di nuove attività nella meccanica, nel settore della logistica e delle infrastrutture energetiche, anche con lo scopo di rendere minimi gli impatti socio-economici e di sostenibilità correlati alla diversificazione produttiva il cui avvio è previsto non prima di cinque-sei anni, essendo collegata alla ricollocazione certa delle risorse umane attualmente impiegate nel ciclo siderurgico e in attività a esso connesse».

SISMA IN ABRUZZO
di LORENZO COLANTONIO
L’AQUILA A due settimane dal terremoto in Abruzzo la terra continua a tremare, ma si comincia a programmare la ricostruzione. Dopo gli allarmi sulla possibilità di infiltrazioni mafiose, il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha organizzato un pool di magistrati per vigilare sugli appalti. Intanto vanno avanti le inchieste.Ieri i magistrati che indagano sui crolli hanno sentito Roberto Marzetti, manager dell’Asl aquilana, che ha scoperto 30 anni dopo che i pilastri del suo ospedale non avevano le staffe di ferro. E Massimo Cialente, il sindaco, che cinque giorni prima del terremoto ha chiesto invano lo stato d’emergenza per i danni subiti da mesi di sciame sismico. Il procuratore capo, Alfredo Rossini, dopo aver ribadito che «non ci sono ancora indagati», ci ha tenuto a spiegare che prima di tutto si tratta di capire «come sono andate oggettivamente le cose. Poi, con le perizie, risaliremo alle responsabilità individuali». Tempi? Rossini azzarda: «Credo che nel giro di quattro mesi i primi risultati li avremo».Documenti, macerie ed altri reperti continuano ad essere raccolti negli stabili sequestrati: ieri è stata la volta dell’edificio dell’Inps. In tarda mattinata sono stati sentiti Marzetti e Cialente. Colloqui durati poco, il primo a uscire è stato il manager della Asl, che ha spiegato di aver chiesto al procuratore di poter «incominciare i lavori di ristrutturazione e di messa in funzione dell’ospedale perché alcune parti sono riparabili in breve tempo e, già da lunedì, potremmo ripartire con la diagnostica e altri reparti».Ma il colloquio, ovviamente, ha riguardato anche altro. Perché una struttura strategica come un ospedale ha fatto la fine del San Salvatore? Il manager accusa la direzione dei lavori «che doveva vigilare» e i collaudi. «Scoprire dopo 30 anni che mancavano le staffe nei pilastri amareggia molto, perché forse bastava poco per far sì che non accadesse». La direzione dei lavori avrebbe dovuto attentamente vigilare e anche i collaudi avrebbero dovuto rilevare queste carenze.«Nel maggio 1980 - ha spiegato Marzetti - è stato rilasciato il certificato di collaudo dell’ospedale e quindi i tecnici avevano ben chiaro quale fosse la situazione sia per quanto riguarda le caratteristiche del terreno, sia la sismicità della zona, sia il modo in cui è stato costruito l’immobile». Non solo i pilastri senza staffe si sono rotti, anche «altre colonne, che sembravano resistenti e in cui le staffe ci sono, hanno ceduto, 13-14 in fila, lungo una precisa direttrice e questo potrebbe significare che il terreno ha amplificato la spinta del terremoto».Poi è uscito il sindaco dell’Aquila, Cialente. «Mi è stato chiesto della lettera in cui chiedevo alla presidenza del Consiglio di dichiarare lo stato di emergenza cinque giorni prima del sisma allo scopo di poter accedere a fondi per intervenire su degli immobili già lesionati dalle scosse precedenti. Il procuratore voleva sapere se con quella lettera lanciavo un allarme particolare: io ho spiegato che era un passaggio obbligato, anche sul piano amministrativo, un modo che a me serviva assolutamente a quel punto per poter avere la possibilità di ottenere i fondi per fare i lavori». Si può parlare di allarme sottovalutato? «Il terremoto era monitorato, ma prevedere la scossa è scientificamente impossibile», ha risposto Cialente.


Tarsu, 5mila avvisi agli ”smemorati”
Arriveranno a chi non ha pagato. Il Comune prevede di incassare 14 milioni
di FURIO BALDASSIAltro che mentalità asburgica. E dimenticate anche l’immagine della Trieste dove non pagare i debiti è considerata una vergogna quasi insopportabile. Secondo le ultime statistiche relative al pagamento delle tasse comunali, anzi, potremmo candidarci a capitale del Portogallo. Sono stati ben 5mila, infatti, i triestini che nel 2004 e 2005 si sono «dimenticati» di pagare la Tarsu, la famigerata tassa sui rifiuti, vulgo «scovazze». Concittadini che, nei prossimi giorni, avranno dai portalettere solo cattive notizie. Sono in arrivo, infatti, agli abitanti della provincia che risultano non avere adempiuto al pagamento degli avvisi della Tarsu emessi appunto nel biennio 2004-2005, le cartelle esattoriali di pagamento.Lo fanno sapere Esatto, la società che gestisce la Tarsu per il Comune di Trieste, ed Equitalia Friuli Venezia Giulia, l’agente pubblico per la riscossione dei tributi in regione. Un numero decisamente notevole, anche se ovviamente da sgravare della «tara» derivante da possibili pagamenti in ritardo o da puri e semplici errori di conteggio. «In effetti – commenta l’assessore comunale alle Finanze Ravidà – abbiamo residui attivi, e cioè crediti, nell’ordine di diversi milioni. Per la sola Tarsu, a tutto il 2006, la cifra era di 14 milioni di euro».Una fetta di bilancio non da poco, dunque, che come racconta l’assessore ha spinto il Comune, dopo aver passato l’attività di riscossione a Esatto a benedire la convenzione che quest’ultima società ha fatto con Equitalia, «che – sottolinea l’assessore – può esercitare un’azione coercitiva più forte». Tecnicamente parlando, precisa ancora Ravidà, non si può parlare di evasione in questo caso, ma di mancato incasso. «Come Comune – racconta ancora l’assessore – mandiamo i solleciti e, una volta ultimato il periodo dell’eventuale risposta, si passa alla fase di azione, con Equitalia. Del resto si tratta di un fenomeno storico, che riguarda circa l’8-8,5 per cento del totale di chi deve pagare».Cifre alla mano, nel 2004 sono mancati dal bilancio, per Tarsu non pagata, 3milioni e 264mila euro, che sono diventati nel 2005 3 milioni 924 mila, anche se l’aliquota contiene anche circa un 30 per cento che deriva da sanzioni e interessi e un’altra aliquota che rientra nella lotta all’evasione fiscale). «Certo – commenta ancora Ravidà – ci possono essere errori che vanno al di là dell’impossibilità di pagare, casi in cui, visto che non sempre è puntuale l’adeguamento banche dati (decessi, cambio di residenza eccetera eccetera), la richiesta può essere ingiustificata. Chi ritiene, comunque, di rientrare in una situazione del genere non venga né in Comune né si rivolga a Equitalia ma vada direttamente a chiedere lumi a Esatto».

di CARLO MUSCATELLO
Quando dieci anni fa, nel marzo ’99, il musical ”Mamma mia!” - da domani al Rossetti di Trieste - debutta a Londra, la storia musicale degli Abba in realtà è già finita da un pezzo. Ma da quel momento, grazie al musical e poi al film dell’anno scorso con Meryl Streep, le loro immortali canzoni vivono una seconda giovinezza.Che storia, la loro. Il quartetto svedese si costituisce nel ’70, sulle ceneri di precedenti formazioni. Sono due coppie anche nella vita: Björn Ulvaeus e Agnetha Fältskog, Benny Andersson e Anni-Frid (detta Frida) Lyngstad. Ma all’inizio si presentano maschilisticamente come Björn & Benny - Agnetha & Anni-Frid, con le signore in secondo piano, nomi in copertina ma rigorosamente dopo quelli dei maschietti che erano anche gli autori delle canzoni. Nel ’72 il cambio di nome: scelgono di chiamarsi Abba mettendo assieme in un acronimo le iniziali dei loro nomi di battesimo.È la svolta. E il grande successo. Nel ’74 vincono l’Eurofestival con ”Waterloo”: solo uno dei tanti classici del pop che firmano negli anni Settanta. Poi, al culmine della popolarità, fra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta, le due coppie scoppiano: doppio divorzio e conseguente fine anche del gruppo. La cui fama è però sopravvissuta fino a noi, grazie ai dischi ma anche al musical tratto da una delle loro canzoni di maggior successo che l’anno scorso è diventato un premiatissimo film.Un successo dunque anche ”postumo” che ha avuto il primo rilancio nel ’92, quando in un loro concerto a Stoccolma gli U2 - sì, nientemeno che Bono e compagni - resero omaggio agli Abba interpretando la loro ”Dancing queen” e invitando sul palco Björn Ulvaeus e Benny Andersson a suonare chitarra e piano. Pochi mesi dopo uscì la raccolta ”Abba Gold - Greatest Hits”, che con i suoi 26 milioni di copie vendute divenne il loro album di maggior successo e rimase per anni nelle classifiche internazionali.Grandi numeri, niente da dire. E oltre 400 milioni di dischi venduti in tutto il mondo fanno degli Abba uno dei gruppi più amati della storia della musica (l’unico non anglosassone di fama planetaria), oltre che ”l’impresa” svedese seconda soltanto alla casa automobilista Volvo nella classifica nazionale dei profitti.Ma si diceva di ”Mamma mia!”. Il singolo esce nel ’75, ma solo nell’83 - un anno dopo lo scioglimento del quartetto - il produttore Judy Craymer incontra Björn Ulvaeus e Benny Andersson e lancia l’idea del musical. Qualcosa non va per il verso giusto, perchè il progetto resta in un cassetto. Il sì di Björn e Benny arriva soltanto nel ’95, «sempre che la storia raccontata sia di nostro gradimento». La scrittrice Catherine Johnson scrive la trama, Phyllida Lloyd la dirige a teatro e il 23 marzo ’99 il musical debutta al Prince Edward Theatre di Londra. Due anni dopo sbarca a Broadway e da allora non smette di girare per il mondo, davanti a un pubblico calcolato ormai in trenta milioni di persone.La storia, come quasi tutti ormai sanno, è ambientata in una piccola isola greca dove Donna Sheridan, ex cantante di un qualche successo, vive con la figlia Sophie. La ragazza sta per sposarsi e vuole scoprire chi è suo padre, che non conosce e del quale la madre non le ha mai detto nulla. Fra i vecchi diari di mamma, Sophie trova tre possibili candidati e li invita sull'isola per le nozze. I tre arrivano, assieme a due vecchie amiche di Donna, e comincia una girandola di equivoci, fraintendimenti, situazioni romantiche ma anche grottesche, fino all’immancabile happy end.Il tutto, nel musical come nel film uscito l’anno scorso (con una strepitosa Meryl Streep), scandito da una ventina di celebri successi degli Abba: da ”Dancing queen” a ”The winner takes it all”, da ”Money, money, money” a ”Take a chance on me”, da ”Gimme gimme gimme (A man after midnight)” a ”S.O.S”, da ”When all is said and done” a ”Voulez-vous”.Fino ovviamente all’esplosione corale: «Mamma mia, here I go again, my my, how can I resist you? Mamma mia, does it show again? My my, just how much I’ve missed you... Mamma mia...!».

UNA PARTITA A PORTE CHIUSE DOPO I CORI DEI TIFOSI
TORINO I cori razzisti della curva bianconera contro l’interista Balotelli costano caro alla Juventus. Una partita senza tifosi, a porte chiuse. È questa la punizione inflitta alla Juve dal giudice sportivo, Gianpaolo Tosel, per i cori razzisti nei confronti di Mario Balotelli nel corso del derby d’Italia contro l’Inter e conclusosi con il risultato di uno a uno. Il club bianconero, perso ormai lo scudetto e agganciato al secondo posto dal Milan, annuncia ricorso. E intanto prova a curarsi le ferite puntando alla Coppa Italia, unico traguardo ancora alla portata, e preparando il rientro di Fabio Cannavaro.Costa caro, dunque, il pareggio di sabato sera contro i nerazzurri. E non solo perchè ha sancito di fatto la rinuncia al tricolore. La mano del giudice sportivo sui cori dei tifosi è stata pesante.Se il ricorso della società sarà respinto, contro il Lecce, il prossimo 3 maggio, gli spalti dello stadio Olimpico di Torino resteranno desolatamente vuoti per una settimana. In primo luogo perchè i cori sono stati registrati «in molteplici occasioni - scrive Tosel nel suo referto - e in vari settori dello stadio». E poi perchè non si sono registrate «manifestazioni dissociative - aggiunge il referto - da parte di altri sostenitori, o interventi dissuasivi da parte della società».E dire che ieri, il presidente Giovanni Cobolli Gigli ha espresso «ferma condanna per i cori razzisti». Una presa di posizione fatta a nome della società e, aveva precisato, «della grandissima maggioranza dei tifosi». Che ora sono su tutte le furie.«È una sentenza ridicola, una cosa vergognosa», sono alcuni dei commenti che si rincorrono sul web. «Voglio vedere dopo di noi - si legge ancora - quali altre squadre subiranno lo stesso provvedimento». E giù riferimenti a casi che si sono verificati in passato, come il Messina-Inter di tre anni fa in cui il difensore Zoro, beccato dai sostenitori nerazzurri, interruppe la partita per alcuni minuti. Una situazione che tuttavia si ripete frequentemente su molti campi d’Italia durante le partite.Non mancano neppure le accuse allo stesso Balotelli: «Da come si è comportato lui in campo - è il commento di un tifoso bianconero su internet - dovrebbero dargli l'ergastolo».Il club, invece, non commenta, limitandosi a pubblicare sul suo sito la decisione di fare ricorso. Meglio concentrarsi, come chiedono Marchionni e Buffon, sulla Coppa Italia, perchè «purtroppo - dice il primo - ci è rimasta solo quella». E poi perchè mercoledì sera, ricorda il portiere, «dovremo ribaltare il 2-1 subito all'andata».«Non vogliamo rovinare quanto di buono abbiamo fatto in questa stagione», sottolinea Buffon, che intanto si dice pronto a riabbracciare in bianconero Fabio Cannavaro.La trattativa per il ritorno del difensore c'è, per stessa ammissione del procuratore del campione ora al Real Madrid, Gaetano Fedele. Ed è pure «a buon punto». Per la gioia del ct azzurro Lippi, che si dice abbia caldeggiato alla Juve di riprenderlo, meno di mister Ranieri, che sembra invece avesse altre priorità.
TRIESTE Due giornate di squalifica al PalaTrieste per «invasione di campo con aggressione al primo arbitro (Luca Santilli, ndr)» a fine partita; una giornata di squalifica a Marco Spanghero per «comportamento scorretto e plateale con azione intenzionale in fase di gioco». Questa la sentenza emessa ieri dal giudice sportivo per il turbolento finale di Acegas-Como. Se la squalifica al giocatore è stata commutata in sanzione pecuniaria ed estinta con il pagamento di 600 euro, resta quella al campo, essendo stato rigettato il ricorso immediato del club. il tentativo era quello di ottenere lo sconto di una giornata e poter così commutare anche questa in pena estinguibile col pagamento di una penale. La temuta stangata è arrivata, questo è il prezzo da pagare per lo schiaffo sconsiderato che un tifoso ha sferrato all’arbitro Santilli. Arbitro peraltro incolpevole, essendo stato il suo collega Sica (e non l’altro, a differenza di quanto erroneamente da noi riportato ieri) ad aver scatenato il pandemonio col fallo fischiato a Gennari a ridosso della sirena finale che ha dato a Como i tiri liberi della vittoria a tempo scaduto.L’episodio è avvenuto all’ingresso del tunnel che collega il campo di gioco agli spogliatoi: uno spettatore sbucato all’improvviso dal pertugio fra la tribuna stampa e il tunnel che conduce negli spogliatoi, approfittando del trambusto che c’era in quei momenti ha eluso i controlli di polizia, carabinieri e 10 steward dell’Acegas, si è avvicinato al primo arbitro e l’ha colpito con uno schiaffo. È stato raggiunto Santilli perchè era l’ultimo della fila: lui e gli ufficiali di gara avevano fatto una sorta di minicordone di protezione al suo collega Marco Sica, l’uomo al centro della bufera. L’aggressore è fuggito subito via dopo aver dato il colpo, i testimoni oculari l’hanno potuto vedere solo di spalle mentre si allontanava e nella concitazione nessuno è riuscito a raggiungerlo. L’Acegas sta cercando di identificarlo, ma al momento non è riuscita a farlo.Restano le conseguenze del gesto. La prima è che se dovesse riuscire a vincere domani sera a Como, l’Acegas dovrà giocare la bella in campo neutro. L’ufficio settore agonistico della Fip, l’organo che organizza i campionati e decide sedi, date e orari delle partite, ha già invitato ieri l’Acegas a proporre entro domani alle 14 una o più sedi possibili distanti non meno di 80 chilometri da Trieste. Il club deciderà oggi, scegliendo in un ventaglio di opzioni tutte comunque in regione. Udine è la sede più vicina e logisticamente conveniente, ma è proprio a cavallo della distanza minima richiesta. Altre sedi tenute in caldo sono San Vito al Tagliamento (palazzetto da 1.200 posti) e Pordenone (fino a 4mila posti disponibili).La seconda considerazione è che a questo punto, indipendentemente da quanto ancora dureranno, i play-off dell’Acegas saranno tutti in salita ripida. Perchè se anche dovesse passare il turno, anche in semifinale la squadra dovrà giocare un’altra partita (l’unica interna, se l’avversaria fosse Trento) lontano da casa. In pratica tutti gli spareggi promozione Bocchini e soci dovranno giocarseli in trasferta. Una prospettiva poco incoraggiante. E poi c’è un’altra pena. Non scritta, ma in questi casi certa come la morte, nella liturgia di qualsiasi sport: da oggi in poi alla squadra di Bernardi gli arbitri non sconteranno nulla e nel caso di dubbio, sicuramente fischieranno contro. Anche a questo è bene che squadra e tifosi si preparino.
SUCCESSO DELLA CENA DI BENEFICENZA
di FURIO BALDASSI
TRIESTE «Sette soppresse!». Renzo Tondo, presidente del Friuli Venezia Giulia, si avvicina al banco della cucina con una naturalezza che sorprenderebbe, se non si sapesse che, Regione a parte, di professione fa proprio il ristoratore. Uno stakanovista del vassoio. Ma che dire, allora, di Riccardo Illy che, dichiaratamente sommelier ad honorem, versa il vino con una manualità degna di un professionista? E di Giancarlo Galan, presidente del Veneto, che, tra una Ribolla gialla e un Traminer di Piera Martellozzo, riesce ad appoggiare davanti ai cronisti la tesi del ministro Brunetta e chiede la specialità del Friuli Venezia Giulia «anche per le altre regioni», indicando invece quella del Trentino Alto Adige come «una vergogna della Repubblica»? Sembra un «think tank» politico è invece è una cena, e che cena! Rossana Illy, in nome della beneficenza, riesce ogni anno a stipare all’Expo Mittelschool, prestigiosa vetrina della Camera di commercio, un numero di «vip» crescente ma, soprattutto, entusiasta alla serata dei «Quochi di Quore». Ottanta, quest’anno, a 180 euro a testa, più il valore aggiunto dell’asta finale per accaparrarsi la «traversa» firmata dei ricchi e famosi (quest’anno rosa magenta per fare pendant con gli ipertecnologici bicchieri in policarbonato dello stesso colore).Vedere, ad esempio, Sergio Balbinot, ad delle «Generali», uno che difficilmente troveresti al tuo fianco in una serata karaoke, che fa su e giù con vassoi e piatti assortiti, fa una certa impressione. A maggior ragione se lo vedi servire la «fatina» Maria Giovanna Elmi o il 15 volte campione del mondo di motociclismo Giacomo Agostini. Perché la serata è tutto fuorchè provinciale. C’è il proprietario di «Ambaradan», la barca-cattedrale che d’estate monopolizza l’ormeggio davanti a piazza Unità, arrivato apposta in aereo privato da Milano, c’è Pietro Marzotto, che non rinuncia alla giacca neanche quando mette a mantecare il suo doppio risotto di asparagi e piselli, beccandosi l’amichevole rimbrotto di Galan («un minuto massa de cotura, un fià de sal de più...»), c’è l’inconfondibile Mario Moretti Polegato, mister Geox, che non abbandona neanche per un secondo la postazione in cucina, c’è il velista Mauro Pelaschier, felice di fare il «mozzo» della pasticceria monfalconese Maritani, che in settimana gli ha fatto fare una full immersion di cucina. C’è anche, e lo notano tutti, anzi, tutte, l’attore Sebastiano Somma, che tenta di fare il cameriere ma è costretto a ritmi lentissimi da un esercito di fan che lo bracca, gli fa battute, gli chiede autografi, magari vorrebbe sposarlo, anche, tra la terrina di coniglio, il baccalà della Gina e il gelato fumante finale.Tante teste, tanti soldi. Utili a fare quell’ambulatorio che Fabienne Mitzahi, presidente triestina di Idea, vuol regalare ai suoi depressi cronici. Almeno 150, a Trieste. Far festa, oggi, perché altri possano farla domani. Comunque sia, una bella scelta.
Proprio nel momento in cui si apre a Ginevra la Conferenza dell'Onu contro il razzismo; e il Papa pronuncia in mondovisione un accorato discorso contro l'odio razziale; e il nostro governo, con un gesto che gli fa onore, trascina in un porto italiano una nave stracarica di migranti africani la cui salvezza spettava a un altro Stato.
Proprio in un momento del genere, i tifosi che assistevano alla partita di calcio Juventus-Inter, per un'ora e mezza hanno alzato al cielo truculenti cori razzisti. Il razzismo agli stadi è un problema di tutta l'Europa sportiva, è vero. Ma il problema è più acuto in Italia. E sabato ha toccato vertici vergognosi. Perché non si tratta di qualche decina di tifosi isolati. Si tratta di quattro quinti dei tifosi presenti allo stadio di Torino. E non si tratta di fischi per intimorire un giocatore avversario. Si tratta di cori e insulti urlati e ritmati per tutta la partita, non per impaurirlo e farlo rendere meno, ma per offenderlo e umiliarlo.Lo odiavano. Volevano distruggerlo. E perché? Perché è nero. Stiamo parlando di Juventus-Inter, e il giocatore è l'attaccante dell'Inter Mario Balotelli. Nero, di genitori ghanesi, che l'hanno abbandonato, è stato adottato da italiani, che gli han dato il nome e la cittadinanza. Bravo e giovane, ha 18 anni. È titolare nella nazionale giovanile. Ho detto ’nero’, ma i cori razzisti lo chiamavano ’negro’. In ’nero’, come in ’bianco’, c'è il colore e basta. In ’negro’ c'è la schiavitù, nella quale il ’bianco’ era il padrone. L'uomo bianco riteneva l'uomo nero nato per servirlo. Ciò che nasceva dalla donna nera non aveva valore, e se era figlio di un padre bianco, anche il figlio veniva schiavizzato. I cori razzisti intendono affermare una superiorità di razza, cioè di natura, perché «Gott mit uns» (»Dio è con noi»: motto inciso sulla fibbia della cintura di ogni soldato della Wehrmacht), e se Dio è con noi è contro di te, ti ha fatto nascere nero per fartelo capire. A noi la vittoria e la vita, a te la sconfitta e la morte. La profezia della morte diventa un augurio nei cori razzisti di Torino: «Se saltelli - muore Balotelli». «"Negro di m.». Appena il negro di m. riceveva il pallone e cominciava ad avanzare verso la porta avversaria, un coro maleaugurante lo incalzava: «Devi morireeee!». Ai suoi bei tempi la Lazio aveva un centrocampista magnifico, si chiamava Re Cecconi, veloce e preciso, convocato in nazionale da Bernardini e da Valcareggi: una sera Re Cecconi ebbe un'idea balenga, entrò in una gioielleria urlando per scherzo: «Questa è una rapina». Erroraccio fatale. Il gioielliere aveva già subìto due rapine, teneva a portata di mano una Walther calibro 7,65, e lo fulminò al petto. Bene: dal giorno stesso i tifosi avversari riempivano Roma di scritte che dicevano: «10, 100, 1000 Re Cecconi». Per dire ai giocatori della Lazio: vogliamo che morite tutti.Arkan, prima di essere lo sterminatore della Bosnia e della Croazia (con i miliziani da lui arruolati e pagati, e battezzati Tigri), era stato il capo dei tifosi della Stella Rossa. È fra i tifosi che sceglieva le sue Tigri. Dico Arkan perché non molto tempo fa sugli spalti della Lazio i tifosi stesero uno striscione gigantesco, che diceva: «Onore alle Tigri di Arkan». Erano gli stessi tifosi che accoglievano gli avversari augurandogli di «finire nei forni». Se adesso, come tutti speriamo, la polizia indaga sui tifosi che augurano a Balotelli di "morireeee", troverà nei loro covi svastiche, bandiere nere, ritratti del Duce e del Führer. A Balotelli urlavano: «Bùùùù», che è il verso della scimmia. Le scimmie mangiano banane, e infatti cantavano anche: «Balotelli - mangia le banane». Mangiar banane per la scimmia è il clou della giornata. Essendo una scimmia in forma umana, il giocatore nero è un ’bastardo’. L'insulto ’bastardo’ è gravissimo per i tifosi. Quando Ronaldo lasciò l'Inter, vendendosi di nascosto al Real Madrid, il tradimento durò alcune settimane, durante le quali il giocatore atterrava e ripartiva da Malpensa. I tifosi lo aspettavano ogni volta con un cartello diverso, per manifestare il loro odio, e l'odio montava per questi gradini: prima «Ronaldo ingrato» (Moratti gli aveva pagato cure costose in Belgio), poi «Ronaldo infame» e poi «Ronaldo bastardo». «Bastardo» è peggio di tutto. Ma Balotelli non ha tradito i tifosi della Juventus, non è ingrato-infame-bastardo perché ha abbandonato i tifosi, lo è perché è nero: è nato bastardo.A Torino, di solito, insultano chiamandolo ’zingaro’ Ibrahimovic. Ibrahimovic è di origine bosniaca, ma a Torino non lo chiamano ’zingaro’ per razzismo, ma perché prima era della Juve, poi s'è venduto all'Inter.Balotelli cominciò a innervosirsi. Aveva segnato un gol mirabile, la sua squadra stava vincendo, ma Josè Mourinho pensò bene di richiamarlo fuori del campo e sostituirlo. Ora, è ammissibile che una squadra ritiri un giocatore perché i tifosi avversari non vogliono vedere un nero? La punizione decisa ieri è stata quella di impedire ai tifosi di assistere alla prossima partita della Juve. È una punizione sportiva. Ma qui il reato è penale. La polizia ha i filmati, e le squadre conosocono i loro fans: insieme li possono rintracciare e sbattere in galera. È quello il loro posto.Ferdinando Camon(fercamon@alice.it)

Nessun commento:

Posta un commento