venerdì 24 aprile 2009

RASSEGNA STAMPA: MESSAGGERO VENETO


Ieri il consiglio dei ministri nel capoluogo abruzzese.
Via libera al trasferimento del summit di luglio da Stati Uniti e Gran Bretagna
L’aiuto dei friulani per costruire una scuola o un centro anziani Schifani il 6 maggio a Gemona Vertice del G8 spostato all’Aquila
Sì del governo al premier: risparmiati 220 milioni.
La Sardegna: una follia, già avviati i lavori alla Maddalena
Sottoscrizione Mv-Ana, superati i 100 mila euro. Sarà finanziato un progetto sociale
di PAOLO MANTOVAN
L’AQUILA. Silvio Berlusconi porterà Obama e gli altri capi di Stato in una caserma della Guardia di finanza, a L’Aquila, nel cuore della terra ferita dal sisma. Il premier lo ha annunciato proprio lì, dentro la roccaforte di Coppito, nella gigantesca scuola delle Fiamme gialle che ora funge da quartier generale della Protezione civile all’Aquila e che ieri ha ospitato la riunione del consiglio dei ministri che ha approvato il decreto da 8 miliardi per la ricostruzione.Al mattino, appena entrato in caserma, il presidente aveva offerto un’anticipazione: «Sarebbe giusto spostare il G8 dalla Maddalena all’Aquila. Così si potrebbero risparmiare molti soldi e utilizzarli per questa regione». E mentre la seduta era in corso già si moltiplicavano le reazioni: risentite dalla Sardegna, compiaciute dall’Abruzzo. Berlusconi non si è scomposto e all’ora di pranzo ha esibito il colpo di teatro con un tono soffice: «La Maddalena è un gioiello che avrà grandi occasioni per risplendere. Ma organizzare il G8 nell’isola ci costerebbe 220 milioni, che è meglio usare qui. Così come è meglio ospitare qui, in quest’area di 520 mila metri quadri, i capi di Stato, le delegazioni e i giornalisti».La priorità è L’Aquila, dunque, e la Maddalena può attendere. L’idea dello spostamento era venuta a Guido Bertolaso, alcuni giorni dopo il terremoto. Il capo della Protezione civile ne aveva parlato con Berlusconi durante una delle visite nelle zone colpite: «Perché non fare qui il G8 di luglio, per dare un segnale forte alla popolazione abruzzese?». Berlusconi ha capito subito che si trattava di una folgorazione e ha chiesto a Maroni di fare tutte le verifiche sul piano della sicurezza. In verità, la paternità dell’idea è contesa, perché anche il presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, berlusconiano doc, rivendica la primogenitura. Ma il Cavaliere ci ha creduto subito anche perché ricordava lo slancio impresso dal medesimo appuntamento (allora era un G7 e c’era Eltsin come osservatore) a Napoli: dopo quel summit del ’94, il capoluogo campano rifiorì e conobbe il famoso “rinascimento”.E così ieri Berlusconi ha sciolto le riserve, superando anche le residue resistenze interne al consiglio dei ministri. Un consiglio, tra l’altro, che è stato una mini-prova generale verso il grande incontro di luglio. Il governo si è riunito in una sala trasformata, che sembrava la fotocopia di Palazzo Chigi.Persino l’improvvisata sala stampa ricordava l’originale sede romana, salvo lasciar trapelare qualche crepa nel muro scrostato e provato dalle ripetute scosse di queste settimane. Sicuramente ci sarà bisogno di qualche ritocco alle stanze della Caserma Giudice di Coppito, ma il premier sfodera ottimismo. E lo giustifica così: «Nel summit è prevista una sessione di lavoro sulla prevenzione e gestione delle calamità naturali: quale sede più appropriata di una terra ferita dal terremoto per parlarne? E poi la Maddalena è troppo bella e sarebbe stato un G8 non consono al momento che passiamo per la crisi economica. Non credo che i no global abbiano la faccia e il cuore per dar luogo a manifestazioni dure qui, nel cuore del sisma». E così ha chiuso la partita.In serata sono arrivati i primi sì da Washington e da Londra: praticamente è fatta. C’è “solo” da organizzare un supersummit in mezzo all’emergenza degli sfollati.

Friuli Originario di Camino ha perso la vita in Lombardia
Stefano Commisso nel 2002 era sopravvissuto alla caduta di un aereo della pattuglia
di ALESSANDRA CESCHIA
CAMINO AL TAGLIAMENTO. Poco più di sei anni fa, mentre il caccia delle Frecce tricolori sui cui stava volando precipitava a Rivolto, si era salvato miracolosamente. Ma, la scorsa notte, la morte ha atteso il maggiore dell’Aeronautica militare Stefano Commisso, 37enne originario di Camino, dietro una curva sulla statale Como-Bergamo dove la sua Ducati 1100 ha perso aderenza finendo contro un terrapieno.
Stava tornando a casa in sella alla sua Ducati “Varese” modello motard nuova di zecca dopo aver trascorso una serata in compagnia di alcuni amici Stefano Commisso, ex Capo sezione tecnica e programmazione delle Frecce tricolori che, dal 2006, si era trasferito a Venegono Superiore, nel Varesotto, dove lavorava con l’incarico di Caposezione qualità al Servizio Tecnico Distaccato presso la Ditta Aermacchi Spa, in rappresentanza dell’Aeronautica Militare. Era montato in sella alla sua potente moto rossa e, poco prima dell’una di mattina, ieri, e aveva imboccato un tratto della statale Briantea interessato da un cantiere stradale. Dopo aver affrontato una curva all’altezza di Lurago d’Erba sulla carreggiata che da Lurago conduce a Orsenigo, l’ufficiale ha perso il controllo della moto che ha preso a sbandare sulla destra ed è finita prima con le ruote su un tratto sterrato sul quale era stato allestito il cantiere, quindi si è schiantata contro un muretto di contenimento. Commisso è stato sbalzato a terra e ha urtato violentemente contro il muretto. Non è bastato il casco che indossava a proteggerlo. Un impatto fortissimo, secondo quanto riferito da un automobilista che ha assistito all’incidente ai carabinieri di Lurago, che sono subito arrivati sul posto per effettuare i rilievi. Inutili, purtroppo, i tentativi di rianimazione avviati dal personale sanitario del Lariosoccorso, giunto da Erba, e dal medico del 118. Commisso è spirato sull’asfalto a causa dei gravissimi traumi riportati nello schianto. Il suo corpo è stato trasferito all’obitorio di Sant’Anna di Como dove, ieri pomeriggio, il padre Luciano, la madre Gioconda e il fratello Paolo lo hanno raggiunto per dargli l’ultimo saluto. I funerali dovrebbero essere celebrati a Camino al Tagliamento, paese d’origine di Commisso, nel pomeriggio di sabato.

Gli adolescenti abusano di cocktail e di liquori. Gli anziani restano fedeli al vino e alla birra
Allarme per il consumo di alcol fuori pasto da parte dei giovani
UDINE. Friuli terra di bevitori: gli ultimi dati dell’Istat lo confermano. Più di 4 persone su 10 bevono ogni giorno e solo 2 su 10 non bevono affatto. Anche lo scenario nazionale è preoccupante: 36 milioni di italiani, pari al 68% della popolazione, consumano bevande alcoliche, e 14 milioni lo fanno quotidianamente.
Aumenta il consumo di alcol fuori pasto, cresce il fenomeno del «binge drinking», ovvero di bevute sfrenate (più di sei cocktail in una volta), ed è vero allarme tra giovani e anziani. Le fasce più distanti della popolazione si trovano unite insomma nel fenomeno: quasi otto milioni e mezzo di italiano sono «a rischio alcol»: bevono più di tre unità alcoliche al giorno (per gli uomini) e più di due (per le donne).Le fasce di popolazione più a rischio sono gli anziani di 65 anni e più (il 46% degli uomini contro l'11,2% delle donne), per un totale di 3 milioni 37 mila, i giovani di 18-24 anni (il 23,7% dei maschi e 6,8% delle femmine), per un totale di 643 mila e i minori di 11-17 anni.Il modello di consumo degli anziani, spiega l’Istat, è di tipo essenzialmente tradizionale, caratterizzato cioè dal bere vino durante i pasti. Per questo motivo, in queste fasce di popolazione il tipo di comportamento a rischio prevalente è pressoché coincidente con un consumo giornaliero non moderato.Preoccupano sempre più i giovani, che nella fascia 18-24 rappresentano il segmento di popolazione in cui comportamenti a rischio è più alta. In particolare il modello di consumo dei giovani registra una crescita elevata del «binge drinking» (22,1% dei maschi e 6,5% delle femmine), che rappresenta la quasi totalità del rischio complessivo. Le quote di popolazione a rischio di minorenni sono molto rilevanti e con differenze di genere meno evidenti che nel resto della popolazione: 19,7% dei maschi e 15,3% delle femmine.Anche tra i ragazzi di 16-17 anni il quadro della diffusione di comportamenti di consumo a rischio è critico: il 14,9% dei ragazzi e 6,8% delle ragazze ne dichiara almeno uno. L'abitudine al consumo non moderato di bevande alcoliche da parte dei genitori sembra influenzare il comportamento dei figli: è a rischio il 22,7% dei ragazzi di 11-17 anni che vivono in famiglie dove beve in modo esagerato.In Friuli Venezia Giulia, il fenomeno del consumo esagerato di alcol era finito nel mirino di Repubblica, che a luglio 2008 aveva pubblicato dei dati choc. Secondo l’inchiesta del quotidiano, ogni anno, in regione, 1500 persone muoiono per malattie causate dall’alcol.Beniamino Pagliaro

RICOSTRUZIONE
NOI ABBIAMO FATTO COSI’ di GIANPAOLO GUARAN*
A livello politico, sia statale che regionale, viene in questi giorni riproposto il “modello Friuli” per la gestione del dopo-terremoto in Abruzzo. Dopo oltre trent’anni, forse non è inutile ricordare in che cosa è consistito questo “modello Friuli”: concessione di fiducia e operatività dallo Stato alla Regione e dalla Regione ai Comuni, certamente; decisione rapida e unanime di non prendere in considerazione la soluzione urbanistica della “new town”, proposta in una certa fase della riorganizzazione post-sismica e applicata peraltro in occasione di altre catastrofi naturali, dal Vajont al Belice (un’indagine obiettiva sull’esito di iniziative del genere andrebbe fatta, con risultati istruttivi); decisione finale di ricostruire “com’era e dov’era” sia pure a prezzo di faticose e interminabili operazioni di ricucitura e, per quanto possibile, razionalizzazione del tessuto fondiario incredibilmente parcellizzato dei vecchi centri abitati. Ma se il “modello Friuli” ha nel complesso funzionato, lo si deve anche ad altre circostanze, meno conosciute ma, si può affermare, non meno importanti. In primo luogo, la rapidissima procedura posta in atto per la quantificazione del costo per la riparazione degli edifici lesionati in misura non irreparabile, che in ogni terremoto sono presenti in misura generalmente maggiore di quanto possa risultare da una prima valutazione sommaria. È stata questa la prima occasione in cui la professione tecnica ha dato un più che valido, indispensabile contributo alla realizzazione delle direttive dell’ente pubblico.La redazione di oltre 80.000 verbali di stima del danno, basata su un metodo parametrico assolutamente innovativo, è stata un’impresa che, col coinvolgimento di un migliaio di liberi professionisti, ha costituito la prima, essenziale, base per tutta la successiva catena di stime del danno e di stanziamento dei relativi finanziamenti, oltre che, beninteso, di corresponsione dei primi contributi ai cittadini danneggiati.La seconda, ancora più importante, fase della collaborazione fra la libera professione e l’ente pubblico si è svolta nell’attuazione della campagna di ricostruzione del patrimonio edilizio danneggiato che ha impegnato per mesi le amministrazioni pubbliche nella predisposizione e attuazione di un piano di interventi di dimensioni mai viste. Occorre ricordare infatti – anche se in generale si parla di “ricostruzione del Friuli” – che le abitazioni realmente ricostruite sono state circa 20.000, contro i circa 75.000 edifici riparati e resi antisismici.L’organismo di coordinamento e direzione (“gruppo interdisciplinare centrale”) e gli organismi operativi di progettazione e direzione lavori (i cosiddetti “gruppi b”) erano costituiti interamente da professionisti, col solo coordinamento di alcuni funzionari regionali; professionisti erano in massima parte gli autori di quella completa documentazione tecnica che ha consentito risultati di soddisfacente omogeneità ed elevata qualità, malgrado le dimensioni straordinarie del territorio (137 comuni) e delle risorse umane impiegate (circa 800 professionisti). In tutto questo lavoro, così eterogeneo nelle componenti tecniche, ma unitario nelle finalità e nelle procedure, gli ingegneri hanno avuto un ruolo fondamentale; non tanto e non solo per le specifiche competenze professionali nel campo dell’edilizia, quanto per la vocazione all’organizzazione razionale del lavoro, componente importante della struttura mentale della nostra categoria.Oggi, a seguito del terremoto che ha colpito l’Abruzzo, i colleghi ingegneri friulani hanno risposto con immediato slancio e disponibilità a recarsi in quelle terre per offrire la propria esperienza, acquisita sia nella fase immediata del post-terremoto sia nei lunghi anni della ricostruzione.Speriamo che analoghi criteri di stima e analoghe soluzioni operative siano adottate nei prossimi giorni dalle autorità competenti convinti che il cosiddetto “modello Friuli” possa essere tranquillamente esportato avendo dimostrato sul campo la propria validità.*Presidente dell’Ordine degli ingegneridella Provincia di Udine
Viale Palmanova paralizzato nelle ore di punta Oggi i lavori sul manufatto di piazzale D’Annunzio
di PAOLA LENARDUZZI
Cadono pezzi di cornicione da sotto il cavalcavia di piazzale D’Annunzio e per precauzione i vigili del fuoco fanno chiudere il passaggio impedendo la circolazione in viale XXIII marzo. Fin dal mattino, il traffico va in tilt: viale Palmanova letteralmente paralizzato specie nelle ore di punta e lunghi incolonnamenti su via Europa Unita, ma anche in viale Ungheria e nelle altre strade limitrofe, con conseguenti ritardi pure nel servizio di trasporto urbano. Disagi destinati a ripetersi per l’intera giornata di oggi, quando una ditta specializzata incaricata dal Comune provvederà a mettere in sicurezza il manufatto.
Ieri mattina attorno alle 8 alcuni frammenti dei costoloni in calcestruzzo che rivestono la struttura in ferro del cavalcavia sono caduti proprio mentre stava passando un autobus della Saf. L’autista ha subito fermato il mezzo e assieme ad alcuni passeggeri, comprensibilmente spaventati, è sceso per sincerarsi dell’accaduto. Nessuno è rimasto contuso, tuttavia i calcinacci sarebbero stati molto pericolosi se avessero colpito una persona a piedi o in bicicletta.Immediato l’intervento dei vigili del fuoco, assieme a un funzionario, che hanno provveduto a mettere in sicurezza la strada; pur escludendo cedimenti strutturali, hanno deciso l’interruzione della circolazione per il rischio di ulteriori distacchi. Quindi è toccato alla polizia municipale attuare la disposizione, dopo l’apposizione delle transenne e dei relativi segnali. «Si sono staccati – conferma Valmore Venturini, funzionario dei vigili del fuoco – alcuni cubetti di calcestruzzo che rivestono lo scheletro in ferro del ponte, probabilmente rigonfiato a causa di pioggia e umidità. Ora, abbiamo riflettuto un po’ prima di decidere la chiusura, trattandosi non di una via secondaria, ma di un’arteria importante del traffico cittadino, ma non era il caso di mettere a repentaglio l’incolumità dei cittadini». Anche l’ufficio infrastrutture del Comune ha effettuato un sopralluogo per dare il via a un intervento urgente di messa in sicurezza che dovrebbe concludersi entro stasera.Dalle 9 di ieri, dunque, niente auto lungo il tratto di viale XXIII marzo da piazzale D’Annunzio fino all’altezza del supermercato Despar. Come conseguenza, per chi arriva da viale Trieste è obbligatorio proseguire a destra per salire sul piazzale, dove confluisce anche tutto il traffico in arrivo, oltre che da viale Palmanova, da viale Ungheria e da via Leopardi, anche da viale Europa Unita. Con la conseguenza di congestioni particolarmente pesanti nelle ore di punta per tutto in traffico in entrata in città dal lato sud est. Chi sceglie la viabilità alternativa non sempre ha fortuna, visto che su via Marsala insiste un senso unico alternato a causa dei lavori dell’Amga (ieri sospeso dopo le 17.30). Significativi ritardi, da 5 fino a 20 minuti, sulle linee 5, 6 e 12 della Saf.
L’incontro al ministero fissato prima del 29 aprile. Soddisfazione dei sindacati
La crisi in Friuli Intanto la prossima settimana il fermo produttivo riguarderà l’intero gruppo
di MAURIZIO CESCON
UDINE. Il vertice a Roma sulla crisi Safilo si terrà prima del 29 aprile. Lo ha assicurato l’assessore regionale alle attività produttive Luca Ciriani, imprimendo così un’accelerata alla convocazione del tavolo nazionale. Soddisfatti i sindacati, in particolare la Cgil, che aveva criticato i tempi della riunione, in un primo momento prevista per l’inizio di maggio.
«Il tavolo nazionale sulla Safilo sarà convocato prima del 29 aprile e comunque in tempo utile per preparare l’incontro fra società e sindacati previsto per quella data – scrive in una nota ufficiale Ciriani, in seguito a nuovi contatti avuti ieri con il direttore dell’unità anticrisi del ministero dello Sviluppo economico, dottor Castano –. Non c’è mai stato alcun problema per quanto riguarda le richieste avanzate in questo senso dai sindacati, ma a scanso di equivoci abbiamo chiesto uno sforzo al Ministero dello sviluppo economico per anticipare la data». Sul caso Safilo si è espresso ieri anche il Governo. Il sottosegretario Paolo Romani ha risposto a due interrogazioni presentate dai parlamentari friulani Ferruccio Saro (Pdl) e Carlo Pegorer (Pd). Ha annunciato che entro la prossima settimana partirà il tavolo di confronto nazionale, il cui obiettivo «è individuare il percorso di uscita dalla crisi e verificare ogni possibile strada affinchè la Safilo continui ad operare in Friuli».Dunque si apre uno spiraglio positivo nel difficilissimo caso del gruppo veneto che ha stabilimenti a Santa Maria di Sala, Longarone, Martignacco, Precenicco e in Slovenia, oltre a quello appena aperto in Cina. Situazione estremamente complicata soprattutto per i lavoratori friulani che da soli potrebbero sopportare tutto il peso della crisi: 780 posti sono infatti a rischio e tutti in Friuli, nessuno in Veneto. I sindacati che tutelano gli operai di Martignacco e Precenicco confidano moltissimo sul tavolo nazionale con il ministro Scajola.Roberto Di Lenardo, della Cgil, è contento dell’anticipo del tavolo: «Bene, vuol dire che ci sono proposte concrete da portare a quel vertice – spiega –. Spero che la Regione non verrà a Roma a fare da spettatrice. Poi con Scajola vedremo che idee ha il governo per il debito Safilo e per la tutela del made in Italy. Insomma tutti giocheranno a carte scoperte e capiremo come potrà proseguire la vertenza. Il nostro obiettivo è sempre il medesimo: mantenere il più possibile organici e stabilimenti in Friuli».Augusto Salvador, della Cisl, punta sulla compattezza delle sigle sindacali per portare a casa un risultato positivo: «Il tavolo a Roma è fondamentale – osserva –, sarà decisivo, anche se forse non in tempi brevi, perchè la questione è complessa. Dobbiamo risolvere l’annoso e velenoso problema del made in Italy: se continua questo trend di delocalizzazioni selvagge, che adesso hanno in più l’alibi della crisi, nei prossimi tre anni avremo altri 250 mila esuberi in Italia, in tutto il manufatturiero. E poi c’è il nodo dei rapporti con il Veneto. Se le Regioni pesano solo per sè stesse, è normale che vincano sempre quelle più grandi e più forti. E noi Friuli abbiamo di fronte un gigante, come il Veneto».«Il tavolo anticipato – racconta Luigi Oddo della Uil – è un segnale positivo, visto che il 29 abbiamo l’incontro con i vertici Safilo in Veneto. Ma al di là dei tempi degli incontri a noi interessano i contenuti, i risultati, che possono arrivare anche subito. Dobbiamo riuscire a spalmare la cassa integrazione fra tutti: perchè se c’è una crisi dobbiamo pagarla solo noi?».Intanto domani una delegazione di operai Safilo sarà a Udine, in piazza, per le celebrazioni del 25 aprile. Confermato, infine, il blocco produttivo per due giorni a Martignacco e per la prossima settimana in tutte le fabbriche del gruppo: gli ordini sono in calo, per il momento non è necessario produrre altri occhiali, visto che i magazzini sono pieni.
Il Magrini aperto per la “Notte gialla” e presto nei week-end
UDINE Stasera e domani i 554 posti auto saranno disponibili fino all’una
Il parcheggio Magrini resterà aperto questa sera in occasione della Notte gialla e anche domani fino all’una di notte. Con la possibilità di parcheggiare gratuitamente dalle 21 in poi. E in futuro l’apertura straordinaria del Magrini di sabato sera potrebbe diventare “normale”. Mettendo così a disposizione del centro storico altri 554 posti auto.
A deciderlo è stata la Ssm, società controllata dal Comune che gestisce la sosta in città. «Nessuno ci ha chiesto di tenere aperto per la Notte gialla o il sabato – spiega il presidente Giovanni Paolo Businello –, ma vista l’importanza di questo evento abbiamo ritenuto necessario e urgente garantire un servizio in più sia oggi che domani sera. E scriveremo al Comune per chiedere l’autorizzazione ad aprire tutti i sabati sera fino all’una sempre gratuitamente per il semplice fatto che ultimamente il Venerio sabato sera fa segnare il tutto esaurito. Segno evidente che c’è una domanda crescente di posti auto, cosa che in passato non accadeva e che non accade di venerdì sera quando l’occupazione del Venerio si ferma al 40%».L’appello dei commercianti, che attraverso la Confcommercio avevano chiesto al Comune di prolungare gli orari di apertura dei park in struttura, ha quindi avuto un’immediata risposta da parte della Ssm che però rimarca di non avere mai ricevuto richieste in tal senso nemmeno dalla Confcommercio. Non solo. «In passato – racconta Businello – avevamo già tenuto aperto il sabato sera fino all’una il Magrini per quasi due anni, ma la sperimentazione non ottenne i risultati sperati: ogni sera le auto in sosta si contavano sulle dita di una mano o al massimo due».In quella circostanza però la sosta era a pagamento, mentre questa volta dopo le 21 sarà possibile parcheggiare gratuitamente come accade già anche al Venerio, che tra l’altro è gratis a partire dalle 20. «Si tratta di due park diversi – riferisce Businello – il Venerio è di fatto gestito come gli stalli stradali, mentre il Magrini richiede la presenza di personale e come tutti i park resta in funzione a pagamento fino alle 21. La presenza del personale, che di fatto è l’unico costo aggiuntivo dovendo tenere aperto più a lungo, ci offre garanzie anche sul fronte della sicurezza. Per quanto mi riguarda infatti le telecamere che già ci sono in tutti i park da sole non sono sufficienti e quindi non avrei mai deciso di tenere aperto senza personale». La presenza del personale fino all’una consentirà anche di risolvere il problema delle auto intrappolate oltre l’orario di chiusura degli altri park in struttura.Cristian Rigo
ROMA. Il Governo si è dichiarato favorevole, in Commissione Cultura alla Camera, a una risoluzione per il riconoscimento dello status di monumento nazionale alle “Malghe di Porzus”, in provincia di Udine, dove avvenne l’eccidio dei 17 partigiani della Osoppo il 7 febbraio 1945. La risoluzione è stata sottoscritta da Isidoro Gottardo, Manuela Di Centa, Renato Farina (Pdl) Angelo Compagnon (Udc) e Carlo Monai (Idv).
La risoluzione per il riconoscimento dello status di monumento nazionale alle “Malghe Porzûs” ha ricevuto l’approvazione del sottosegretario all’Istruzione Giuseppe Pizza, anche a nome dei ministri dell’istruzione Maria Stella Gelmini e della Cultura Sandro Bondi. La votazione formale è stata rinviata alla prossima seduta, per consentire ad altri parlamentari del Friuli Venezia Giulia di dare la propria adesione.L’eccidio di Porzûs - avvenuto il 7 febbraio 1945 - fu uno degli episodi più controversi della Resistenza italiana: l’esecuzione capitale di alcuni componenti della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di alcuni partigiani di una brigata Garibaldi, gruppo di orientamento comunista.Il sito, quindi, diventerà monumento nazionale in quanto sottoposto a tutela del codice dei beni culturali ai sensi e per gli effetti dell’articolo 10 comma 3, lettera d) del Decreto Legislativo 42/2004 e potrà diventare meta di visita e di studio, in particolare per gli studenti.«È la più bella testimonianza che si potesse rendere alla memoria della Brigata Osoppo – hanno dichiarato i deputati del Pdl Isidoro Gottardo e Manuela Di Centa - in particolare all’eccidio dei suoi diciassette partigiani da parte degli altri partigiani della Brigata Garibaldi, patrioti della resistenza per garantire al Friuli e all’Italia un futuro di libertà e democrazia».«Il riconoscimento di monumento nazionale, nell’approssimarsi del 25 aprile, deve essere dedicato a tutti coloro che hanno creduto negli ideali per cui la Brigata Osoppo ha combattuto, in particolare a coloro che hanno sacrificato la propria vita per quegli ideali combattendo contro il nazi-fascismo e contro coloro che pensavano di costruire un futuro per la nostra regione e per il nostro Paese sotto una dittatura comunista. La tutela di quel luogo consentirà anche di far conoscere alle nuove generazioni tutta la drammaticità del confine orientale dentro il quale è maturato l’eccidio di Porzûs, una complessa e tragica vicenda storica avvenuta il 7 febbraio 1945 e sulla quale, con molto ritardo storico, si è ricostruita la verità».Dal Pd arriva un invito a evitare strumentalizzazioni. L’onorevole Ivano Strizzolo (Pd) sostiene la risoluzione per rendere le Malghe di Porzûs monumento nazionale e auspica che «non diventi oggetto di alcuna strumentalizzazione». «Da anni - ha affermato - sollecitavo e condividevo la richiesta avanzata dall’Associazione partigiani Osoppo, affinchè le Malghe fossero elevate a monumento nazionale». Pur non essendo componente della commissione, il parlamentare friulano afferma di sostenere la richiesta e spera «che non diventi oggetto di alcuna strumentalizzazione, visto che la storia è quella accertata dai tribunali e da lunghe polemiche e che nessuno - ha concluso - può cambiare o piegare a fini strumentali».
IL MANAGER USA CHE SI E’ UCCISO
SOGNO INFRANTO di ALBERTO GARLINI
Se riassumiamo in poche parole uno dei passaggi fondamentali dell’epoca attuale, possiamo dire che le qualità che danno valore a ciò che viene chiamato esistenza sono modificate dalla mediazione monetaria: possiamo viaggiare perché paghiamo i mezzi di trasporto, possiamo avere informazioni perché paghiamo i media, conosciamo persone perché abbiamo accesso a luoghi a pagamento o ci presentiamo con uno stile di abbigliamento “pagato”. Sembrano banalità e ciò dimostra quanto questa realtà sia pervasiva: ci ha fatto dimenticare periodi non troppo lontani, dove le mediazioni esistenziali avvenivano spesso fuori dalla sfera del denaro. Di solito, però, una banalità è una mezza bugia. Non si possono certo trarre conclusioni dal suicidio di una persona. Ogni suicidio è in sé un enigma. Ma la morte di David Kellerman, manager della Freddie Mac, assume un significato particolare. Come la morte di Calvi, come il suicidio di Cliff Baxter, il numero due della Enron. Sembra il segno di una contraddizione insanabile fra piani etici diversi.David Kellerman era uno dei manager più esposti all’attuale crisi contemporanea. Era a capo di un’azienda controllata dal governo che gestiva e garantiva fondi ipotecari, la bolla di sapone, cioè, da cui è nata e si è scatenata la crisi attuale. Più di tre milioni di mutui, molti dei quali ad alto rischio. Gestiva e garantiva debiti altrui, producendo reddito, aumentando il Pil sulla base appunto di prodotti finanziari basati sul debito. Alle prime avvisaglie del baratro, l’amministrazione Bush gli aveva elargito 60 miliardi di dollari per mettere un tampone. Quei soldi non erano bastati. Chuck Grassley, 76enne senatore repubblicano dello Iowa, non è mai stato sospettato di nutrire idee sovversive, ma quando ha scoperto che i manager del colosso assicurativo Aig, dopo aver rovinato l’azienda, si erano regalati delle gratifiche milionarie, ha detto: «Molti dirigenti dovrebbero commettere harakiri». Kellerman, scrivono i giornali, nonostante la sua azienda fosse scesa nel rating da A1 (ottima) a B3 (poco più che spazzatura) aveva avuto un premio aziendale di 800.000 dollari, oltre ovviamente allo stipendio. Aveva dovuto assumere delle guardie del corpo che presidiassero la sua villa che era diventata oggetto, come una volta si facevano le gite per ammirare le ville delle star, di autobus di debitori, di gente strozzata dai mutui che va a fare il tour dei bancarottieri. Qualcosa gli si deve essere spezzato dentro. Come dicevo, è impossibile capire le motivazioni umane più semplici o a volte è facilissimo. Ma il caso Kellerman risuona nelle nostre coscienze. Se guardate la sua foto vedete un classico americano. Belloccio, in forma. Fisico da giocatore di football. Sempre sorridente. L’immagine del sogno americano. Di quell’ipotesi politica che ti dice, impegnati al massimo, approfitta delle opportunità, usa le tue capacità e diventerai ricco e felice. A detta di tutti i suoi colleghi, Kellerman era un esempio, uno che si era impegnato, che ce l’aveva fatta. Uno che era diventato ricco. Era una di quelle persone che dovrebbero, secondo la vulgata contemporanea, gestire al meglio il piano dell’esistenza. Cos’è successo quindi? Perché ha reagito in quel modo, contro l’atteggiamento della maggior parte dei suoi colleghi spesso sprezzanti e avidi? Ripeto, difficile da dire. Ma credo che siamo di fronte a un bivio. Una vecchia etica risorge o una nuova sta nascendo. Valori diversi che non riescono a essere ridotti alla mediazione monetaria. Da uomini di successo ci si aspettava che mettessero facilmente da parte la loro appartenenza. Il denaro è ovunque, non ha colore, non ha odore. L’appartenenza era un oggetto fruibile principalmente da gruppi di emarginati dal benessere, che fossero i musulmani o i tibetani. Ma quello che ci dice questa morte, i significati simbolici che evoca, è che l’appartenenza e il vivere in una comunità, un’umana catena, sono ancora decisivi. Che il discredito sociale è un’arma, forse non decisiva, ma a volte mortale. Molto del credito di una certa idea di successo sta nella considerazione sociale. Se la considerazione sociale smette di sostenere uno stile di vita, quello stile di vita si affloscia. Implode. Si scopre così di colpo quanto sia artificiale e inutile un’idea di sé e del mondo che prima si credeva tanto ovvia da essere banale.
di GIAN PAOLO POLESINI
Una scarica di legnate in prima europea, al modo della Thai action, fa capire dal primo giorno che di adrenalina ne scorrerà parecchia. Far East 11 si presenta con un cult thailandese di chiara fama mondiale - Ong Bak 2 - nato per combattere, come annota il sottotitolo del primo round. Qui siamo al sequel e Tony Jaa è diventato parte della leggenda, la stessa di cui fa parte Bruce Lee. Il cuore pulsante d’Europa di cinematografia orientale gira per l’undicesima volta e la corsa equivale a un piccolo miracolo friulano del Cec che nel 1998, contro la logica di mercato, allestì un festival hongkonghese infarcito di action al cubo. Genere estremo pian piano risucchiato da quella Hollywood stanca di riproporre i suoi miti stantii. I festival cominciano a far incetta di “musi gialli” e Marco Müller, il direttore della Mostra del Cinema di Venezia, s’inventa un “import” tale da far uscire l’orientale dalla nicchia. Si comincia stasera in pompa magna (giù il sipario sabato 2 maggio) come rituale richiede. Alle 20 al Giovanni da Udine con sindaco e assessori vari. Giusto il tempo per ricordare dove siamo arrivati e subito dopo scatterà il ciak thailandese. A cui seguirà una black comedy del geniale Ning Hao, Crazy Racer.Il cinema di arti marziali è tornato alla ribalta negli ultimi cinque anni, ereditando, sviluppando e amplificando, tutta l’audacia pionieristica del kung fu hongkonghese anni ‘70 e ‘80 (pensiamo a Bruce Lee e Jackie Chan). Ha ereditato, cioè, l’arte di tenersi lontano dagli effetti speciali, o dall’onnipresente computer graphic, basando i film su acrobazie reali messe in campo con una creatività così spregiudicata da rasentare autentiche soglie di rischio per gli interpreti (all’opera, ovviamente, senza controfigure)! La spettacolare saga di Ong Bak, quindi, e l’altrettanto spettacolare Chocolate (con “una Jackie Chan in versione femminile”, incluso, a sua volta, nell’ampio programma del FEFF 11) hanno catturato l’attenzione di milioni di spettatori, affascinati (appunto) da un iper-realismo duro e puro. Senza compromessi.Diretto e interpretato, come detto, da Tony Jaa, unico possibile erede di Bruce Lee, Ong Bak 2 trasuda fisicità ed è sovraccarico di combattimenti, dal primo all’ultimo minuto: davvero memorabili la scena di lotta sul dorso di dieci elefanti (con tanto di finale acrobatico sulle zanne) e la sequenza di combattimento con le armi antiche, talmente all’insegna della velocità (ma anche della grazia) da mettere a dura prova l’occhio umano! Per la realizzazione del film ci sono voluti più di due anni: le riprese sono iniziate in Thailandia nell’ottobre 2006 all’interno di un set faraonico e utilizzando alcune delle più note località turistiche del Paese.Punto d’osservazione strategico, unico ed esclusivo, sulle industrie e le nuove tendenze del cinema popolare asiatico, il grande festival del Centro Espressioni Cinematografiche si presenta come il più importante appuntamento occidentale dedicato al lontano est (Cina, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Thailandia, Indonesia, Filippine, Singapore e Taiwan). Nell’arco di 9 giorni, con proiezioni che vanno dalla mattina a notte fonda, Far East Film è una vera e propria festa del cinema, pensata e organizzata con un appassionato spirito di sperimentazione al servizio di una visione il più possibile complessiva e rappresentativa. Tra presente e passato, l’edizione 2009 metterà in rilievo le novità, i trend, gli autori, i maestri di ieri, le scoperte e le rivelazioni che quest’area geografica - a livello mondiale tra le più vivaci e creative - ha prodotto. Una ricca sezione di film-chiave, impreziosita da una serie di incontri tematici pomeridiani, ne ripercorreranno storicamente le tappe raccontando le storie, esplorando l’evoluzione dei mercati e del pubblico e soprattutto portando a Udine le personalità più illustri che da oltre dieci anni il festival ha indagato, presentato e mostrato con intenso entusiasmo e dedizione.Più di sessanta film, la maggior parte in anteprima per l’Occidente, retrospettive, focus, incontri, il tutto in una sede magica e allo stesso tempo informale come il Teatro Nuovo e il Visionario che lo affianca per un Gran Galà di star e personalità, di capolavori e scoperte.A Udine arriverà anche il celebrato nipponico Departures di Takita Yojiro, ancora scintillante Oscar 2009 per il miglior film straniero. L’impresa è stata sconfiggere Valzer con Bashir, l’atipico cartoon israeliano, più che favorito alla vittoria. La storia potrebbe dare spunti interessanti a chi ne ha piene le tasche di vivere in città e dentro il logorio dell’esistenza moderna. Si ricomincia da zero, anche guardando in faccia la morte.

TOLMEZZO
TOLMEZZO. Il Consiglio comunale di Tolmezzo vota all’unanimità un odg esprimendo la sua ferma contrarietà all’ipotesi di trasferimento degli Artiglieri alpini alla “Spaccamela” di Udine e la conseguente chiusura della caserma Cantore di Tolmezzo. «Tale decisione – si legge nell’odg - risulta lesiva della più che secolare tradizione di forte legame tra la nostra terra e gli Alpini, fortemente penalizzante economicamente in un momento già difficile, con conseguenze pesanti dal punto di vista demografico, delle presenze scolastiche, della tutela di emergenze e sicurezza». Tutto ciò dopo la preoccupata informazione fornita dal sindaco Sergio Cuzzi nel Consiglio comunale del 29 gennaio scorso, «accolta - si legge nell’odg - con malcelato imbarazzo in ambiente militare ma poi confermata da fatti e dichiarazioni ufficiali, anche da esponenti del Governo nazionale». Per Cuzzi è importante che ci sia la mobilitazione della gente, perché è possibile far cambiare opinione come avvenne a Cividale, quando ipotizzarono di trasferire l’8° Reggimento Alpini da Cividale. Nell’odg si ricordano le molte servitù militari sul territorio carnico difficilmente comprensibili se sguarnito di apparati militari. Il Consiglio comunale si è impegnato ad attivare ogni iniziativa utile «per contrastare una decisione illogica, che disloca gli artiglieri in pianura e rompe un legame con la montagna che è anche culturale ed affettivo”. L’odg sarà trasmesso al ministro e al sottosegretario alla Difesa, al capo di stato maggiore dell’Esercito, ai parlamentari dell’Alto Friuli, al presidente della Regione Fvg, al comandante della Brigata Alpina Julia, ai presidenti dell’Ana nazionale e carnica, al presidente della Comunità montana della Carnia con preghiera di trasmetterlo a tutti i sindaci carnici. L’odg ricorda che, già dopo i sismi del 1976, la presenza militare a Tolmezzo fu notevolmente ridotta e ci fu la chiusura della caserma Del Din.Più volte le amministrazioni comunali di Tolmezzo hanno chiesto al Ministero e al Demanio una decisione su quella struttura, abbandonata al degrado, e neppure un’iniziativa del presidente del Tribunale di Tolmezzo e del procuratore della Repubblica sul recupero dell’ex palazzina Comando per le esigenze degli Uffici giudiziari sortì alcun esito. La caserma Cantore – prosegue nell’odg - è stata oggetto di vari interventi di restauro, nella parte tutelata dalla Soprintendenza, il Palazzo Linussio e la cappella gentilizia. Ma diversi stucchi non sono mai stati restaurati e gli affreschi del salone necessitano di altri restauri. Pur considerando Palazzo Linussio uno dei beni architettonici e culturali più importanti in assoluto, il Comune di Tolmezzo non ha mai richiesto allo Stato il trasferimento di tale proprietà, per l’importanza per la città del mantenimento della caserma. Una scelta sofferta, sia per la rilevanza che il palazzo ha per Tolmezzo e la sua storia, sia per la precarietà della conservazione e la carenza nelle manutenzioni non imputabili certo all’amministrazione militare, sia per le prospettive che la disponibilità di tale edificio offrirebbe per la comunità . Anche il senatore Andreotti si interessò recentemente al caso, ma il sopralluogo della Soprintendenza fu inconcludente per mancanza di fondi. (t.a.)

UDINE
di FEDERICA BARELLA
Sarà la crisi economica. Sarà la voglia di prodotti il più possibile “bio”. Sarà forse anche l’esempio della first lady americana Michelle Obama, ritratta con zappettina e piante di pomodori in un angolo del giardino della Casa Bianca. Il fatto è comunque che anche in città è scoppiata la mania degli “orti in casa”. Con tanto di iniziativa di Comune e Coldiretti per raddoppiare gli spazi per i cittadini in via Marsala.
Dopo un primo anno di rodaggio, l’esperienza di “Mani in orto” in via Marsala, sta infatti decollando, ampliandosi. E questa volta non soltando a beneficio dei bambini delle scuole primarie, ma anche e soprattutto a beneficio di una parte di popolazione che di orti e spazi verdi, assieme ai più piccoli, ha sempre più necessità. L’intenzione del Comune è infatti quella di trovare nuovi spazi da trasformare in orti e coltivazioni, per affidarli poi soprattutto agli anziani della città. «Nuovi spazi - spiega l’assessore comunale all’ambiente Lorenzo Croattini - saranno trovati direttamente in via Marsala. Il progetto deve essere definito nei particolari, ma è sicuro che si farà, grazie anche alla collaborazione della Coldiretti, come già accade ora per i progetti didattici».Altri spazi, secondo l’intenzione della stessa Coldiretti, dovrebbero invece essere individiati al più presto nella zona del parco del Torre e, dalla parte opposta, vicino al parco del Cormor. «Gli obiettivi di queste realtà - precisa Rita Nassimbeni della Coldiretti - sono molteplici. Da un lato infatti c’è il recupero e il riutilizzo di aree verdi altrimenti “abbandonate”. Poi c’è la finalità didattica con le scolaresche coinvolte a coltivare il proprio fazzoletto di orto per poi raccogliere i propri frutti. Infine c’è l’aspetto sociale ed economico, come potrebbe essere quello legato al progetto che vedrà coinvolti gli anziani».In via Marsala, su un totale di 5mila metri quadri (alcuni sfruttati anche per altre attività), attualmente sono coltivati 200 metri quadri di terreno, ma a questi presto se ne aggiungereanno altri 200 da destinare, appunto, ad anziani. Oltre, ovviamente, a quelli che si cercano in altre zone della città. Intanto sui balconi e nei giardinetti delle case si moltiplicano gli spazi dedicati agli orti “casalinghi”, con un boom di vendite nei negozi di piantine e sementi per piante da frutta e verdura.
UDINE

di ANNA ROSSO
«Difendere il patrimonio artistico custodito nei palazzi, nei musei e, in particolare, nelle chiese friulane è un’impresa disperata. Ormai i ladri prendono di mira tutto, anche i pezzi di modesto valore che poi si rivedono nei mercatini o in case di privati». Così Giuseppe Bergamini (nella foto sopra), direttore del Museo diocesano – nonché ex responsabile dei Civici musei – descrive i rischi a cui sono continuamente esposte le opere d’arte friulane.
Ciò all’indomani dell’individuazione dei presunti responsabili del colpo avvenuto sabato in castello. Un furto durante il quale erano sparite 33 monete rare, poi recuperate dai carabinieri del Norm.«Quasi tutte le opere d’arte del nostro territorio – sottolinea l’esperto – hanno provenienza religiosa. Si pensi, per esempio, che nelle sale del castello è esposta la pala di Domenico da Tolmezzo (una volta nel Duomo di Udine), un Carpaccio che era nella chiesa di San Pietro Martire e due lavori del Tiepolo originariamente appartenenti alla chiesa dei Filippini. Ma proteggere le chiese 24 ore su 24 è quasi impossibile – ribadisce il professor Bergamini – perchè purtroppo i malintenzionati trovano il momento giusto per agire indisturbati». Certo, ci sono le telecamere. C’è tutta l’attenzione dei parroci e spesso anche dei fedeli. Ma spesso ciò non è sufficiente e così l’emorragia di reperti più o meno preziosi continua.Molti oggetti che si vedono in giro, anche in lussuosi appartamenti, provengono senza dubbio da chiese. «Se ci troviamo di fronte a una statua lignea raffigurante un Santo – chiarisce il direttore del Museo Diocesano – è matematico che, in origine, sia stata destinata alla decorazione di un edificio sacro. Poi, non è detto che sia stata rubata...però non si può escludere». Per avere una conferma di ciò, basta cliccare sul sito dell’Arma dei carabinieri e arrivare alla sezione “Banca dati opere d’arte rubate”. Ci sono oltre 12mila pezzi, con tanto di fotografia. Di questi un centinaio risultano spariti dalla provincia di Udine negli ultimi 10 anni. Tuttavia, come rilevato da un monitoraggio dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale di Venezia (che hanno competenza sul Triveneto) i casi, negli anni, sono diminuiti in modo considerevole, passando da 30-40 all’anno a tre o quattro Segno chesistemi di sicurezza e prevenzione servono. Anche se i luoghi più sensibili rimangono le chiese.«Per fortuna – riprende Bergamini – la presenza di forze dell’ordine è capillare. I passaggi di pattuglie nella zona del castello e vicino ai monumenti è frequente e ciò scoraggia la criminalità. Mi rincuora, poi, sapere che gli sforzi per elevare il livello di sicurezza degli edifici in cui sono conservate opere d’arte non sono vani. Gli investigatori, infatti, grazie alle immagini registrate dalle telecamere e alla loro esperienza, sono riusciti a risalire al presunto responsabile dell’ammanco in castello».I militari di Udine hanno individuato anche un’altra persona, in ipotesi accusatoria il ricettatore. L’uomo aveva a casa sua non solo le monete sparite dalle teche dei musei, ma decine di oggetti che hanno attirato l’attenzione dei Cc. Altre 41 monete, (alcune dell’epoca romana e alcune d’oro). C’erano poi 37 quadri di epoche diverse, un’anfora etrusca e due campane antiche. Tutto il materiale è finito sotto la lente dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, che lavorano in sinergia con i colleghi udinesi. L’indagine dunque, che è coordinata dal pm Viviana del Tedesco, va avanti.

CIVIDALE
CIVIDALE. È stato investito di fronte all’abitazione di sua figlia, dove si stava dirigendo, e a breve distanza dalla propria casa: è in gravissime condizioni il 74enne Luigi Della Rovere, cividalese residente in via San Giorgio, che ieri mattina, è stato travolto da una Nissan mentre percorreva in bicicletta via Manzano.
L’impatto è stato inevitabile e violento: l’anziano è stato sbalzato a terra e ha sbattuto il capo al suolo, perdendo conoscenza. È stato trasportato d’urgenza, in elicottero, all’ospedale di Trieste, dove è stato ricoverato nel reparto di rianimazione: la prognosi è riservata, ma le condizioni dell’uomo, che ha riportato un trauma cranico, sarebbero critiche. La disgrazia si è verificata intorno alle 8. Luigi Della Rovere era uscito in sella alla sua bicicletta per raggiungere la casa della figlia, una villetta affacciata su via Manzano, a poche decine di metri di distanza dall’incrocio semaforico che immette sul ponte nuovo. Procedeva in direzione Firmano-Cividale. La Nissan, condotta da una 56enne di Orzano di Remanzacco – di cui i Carabinieri della Compagnia cittadina hanno reso note solo le iniziali, D.C. –, avanzava sullo stesso senso di marcia.All’improvviso la tragedia: l’uomo ha effettuato una svolta a sinistra, per raggiungere, come detto, il domicilio della figlia, ma pare non abbia segnalato la manovra. La conducente dell’autovettura, così, si è accorta dello spostamento della bicicletta solo all’ultimo momento, quando evitare lo scontro era ormai praticamente impossibile; non hanno aiutato le pessime condizioni del tempo – pioveva a dirotto – e la carreggiata resa scivolosa dall’acqua. Della Rovere è stato centrato in pieno: è finito contro il cofano e sul parabrezza della Nissan, poi scaraventato sull’asfalto. L’allarme è stato lanciato dai familiari dell’anziano, richiamati in strada dal rumore della frenata dell’auto e dell’impatto. Sul posto è arrivata un’ambulanza dal vicino ospedale: le condizioni dell’uomo, che aveva perso i sensi, hanno imposto l’intervento dell’elisoccorso che in pochi minuti ha garantito il trasporto all’ospedale di Trieste. Il luogo della tragedia è stato raggiunto da una pattuglia dei Carabinieri della Compagnia di Cividale, che hanno effettuato i rilievi. Lucia Aviani

Nessun commento:

Posta un commento