giovedì 23 aprile 2009

LA MUSICA ITALIANA STA PER PERDERE UN SUO PIONIERE (ARTICOLO di MARCO TORBIANELLI)

Camillo Facchinetti, Donato Battaglia, Stefano d’Orazio e Bruno Canzian, al secolo Roby, Dodi, Stefano e Red, in un’unica parola: i Pooh.

La storica formazione rappresenta il più longevo sodalizio musicale nella storia italiana, ma anche uno dei più lunghi a livello mondiale. Era il 1966 quando il gruppo - di cui della formazione attuale c’era soltanto il tastierista Roby Facchinetti – faceva capolino in Italia con il brano “Brennero ‘66”, canzone contro il terrorismo in Alto Adige (che in quell’anno aveva portato all’uccisione di un militare della Guardia di Finanza) che, per quanto brutta, segnava l’inizio delle canzoni di carattere sociale legate a fatti realmente accaduti, con un tema talmente scottante per quell’epoca che la canzone fu addirittura censurata da RadioRai.

Dall’album di esordio “Per quelli come noi” del 1966 fino all’ultimo “Ancora una notte insieme” in uscita il prossimo 8 maggio, intere generazioni si sono innamorate e si sono lasciate, hanno gioito ed esultato ai loro concerti, hanno fissato i vari momenti della loro vita in maniera indelebile con una loro canzone.

A brani epici come “Tanta voglia di lei”, “Giorni infiniti”, “Infiniti noi”, “Rotolando Respirano” o il recentissimo inno della nazionale di calcio “Cuore Azzurro”, si sono affiancate nel tempo canzoni di impegno sociale che contengono temi scottanti proposti con coraggio: “Pensiero” (1971), che tratta di un uomo ingiustamente imprigionato, “Pierre” (1976), che parla di omosessualità, “Ultima notte di caccia” (1979), un’accusa per lo sterminio degli indiani d’America, “Lettera da Berlino est” (1993), che esprime il disagio dei giovani tedeschi che vivono da una parte e dall’altra del muro, “Il silenzio della colomba” (1996), che tratta il tema della violenza sessuale.

I Pooh hanno anche rivoluzionato il modo di fare i concerti: sono stati i primi a possedere impianti luce, impianti audio, un palco smontabile e a trasportarli in giro per l’Italia con dei camion. Sono stati i primi – alla fine degli anni Settanta – a cantare nei teatri e nei palasport e ad utilizzare i laser nei concerti (causando decine di denunce di presunti avvistamenti UFO). Sono stati i primi ad utilizzare due mixer separati per le voci e per gli strumenti e i primi a costruire ed utilizzare le macchine del fumo. Stiamo quindi parlando di assoluti pionieri della musica italiana sotto vari punti di vista.

E’ di qualche giorno fa la notizia che Stefano d’Orazio, batterista dal 1971, sta per farsi da parte, deciso a lasciare la band dove suona oramai da ben trentotto anni. In una lettera scritta ai fans spiega come si sia trovato in poco tempo da “un viaggio iniziato spensieratamente, quasi per gioco” ad essere avvinto dal “successo con la esse maiuscola”, ma che questo l’ha portato – a sessant’anni – a doversi rendere conto che molte delle cose che avrebbe voluto fare non le ha fatte, e che ritiene essere arrivato quel momento.

Stefano d’Orazio è da sempre la mente organizzatrice dei Pooh, forse perché essendo l’unico che non si è sposato e che non ha avuto figli, è quello che ha avuto più tempo, meno impegni famigliari, la mente più sgombra per potersene occupare e alla lunga forse questo ha pesato non poco negli equilibri di un gruppo che suona assieme da così tanto tempo.

In ogni caso, al di là delle difficoltà che anche io – fan sfegatato dei Pooh – sto incontrando per metabolizzare questa notizia, credo che sia umanamente corretto rispettare il valore delle scelte che ognuno fa, soprattutto di quelle persone che hanno sempre dato il massimo.

Sarà difficile abituarsi, ma resterai sempre un grande. Grazie Stefano…”buona fortuna”!

MARCO TORBIANELLI

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