RITORNO AL PASSATO IN SLOVENIA
Sì del consiglio comunale della capitale Cossiga: «Ovvio, lì era molto amato»
di MAURO MANZIN
TRIESTE A volte ritornano. Anche se quelli che lo fanno non sono mai usciti dalla memoria collettiva. È il caso del defunto padre-padrone della Jugoslavia, Josip Broz Tito a cui il Consiglio comunale di Lubiana a grande maggioranza (ma è uscito dall’aula al momento della votazione il centrodestra) ha deciso di intitolare nuovamente una delle strade principali della capitale slovena. Si tratta di un’arteria di nuova progettazione che dall’area di Zale raggiungerà la centralissima Dunajska cesta. La decisione è stata adottata la notte scorsa con 24 voti a favore e quattro contrari, con il Partito democratico, come detto, (Sds, centrodestra) che per protesta non ha partecipato al voto. Il leader dell'Sds, Dimitri Kovacic, ha sottolineato che una tale decisione ignora la posizione dei tanti sloveni che non sono d'accordo e calpesta la memoria delle vittime del terrore comunista. Il sindaco di Lubiana, Zoran Jankovic (di origini serbe), ha da parte sua difeso la decisione affermando che in un recente sondaggio il 60% degli abitanti della capitale si sono espressi a favore. «I fatti storici possono essere interpretati in modo diverso, ma ciò non deve impedire di intitolare strade col nome di personalità storiche», ha osservato. L'opposizione di centrodestra tuttavia ha presentato al sindaco una lista di 5.094 firme di cittadini i quali ritengono che nè Lubiana nè la Slovenia hanno bisogno di una via intitolata a Tito.Nato il 7 maggio 1892 a Kumrovec, in Croazia, l’uomo che liberò la Jugoslavia dall’ocupazione nazi-fascista era di madre slovena (Marija) e padre croato (Franjo) e questo gli attirò le accuse di serbi e bosniaci di esercitare, durante la sua presidenza, un potere molto benevolo nei confronti della terra materna slovena. Un’accusa neppure troppo campata in aria, visto che negli anni Settanta era tollerata proprio in Slovenia la proprietà privata anche di alcune piccole industrie, fatto che ha permesso a Lubiana di avvicinarsi, e di molto, agli standard austriaci e italiani. In effetti, Croazia, Bosnia e Serbia facevano storia a sè. C’è però il problema degli eccidi effettuati dai titini alla fine della Seconda guerra mondiale (una fossa comune con tremila morti è stata di recente riesumata). Eccidi che vengono regolarmente perseguiti dalla magistratura slovena. Ed è su questo punto che si sono concentrate le ire dell’opposizione di centrodestra al Consiglio comunale di Lubiana. Centrodestra che ha così fortemente contestato, fino ad abbandonare i lavori del Consiglio, che venisse «premiato» colui il quale era comunque il responsabile di questi eccidi non solo di militari, ma anche di civili, rei solamente di essere contrari al regime social-comunista che si stava instaurando in Jugoslavia.Sta di fatto che statuette e «icone» del maresciallo Tito non sono mai sparite dalla Slovenia e a Lubiana si possono tranquillamente acquistare nei negozi di souvenir. E c’è poi il precedente di Capodistria. Subito dopo l’indipendeza ci fu la proposta di cambiare il nome della centralissima piazza Tito. Idea immediatamente rientrata vista la quasi sollevazione popolare che la stessa aveva innescato. E così, ancora oggi, lo splendido edificio della Loggia, al termine della Calegheria, si affaccia su piazza, rigorosamente, Tito.Un ricordo personale, infine, può far riflettere al di là di tutte le elucubrazione socio-politiche che il fenomeno Tito è in grado di ispirare. Nel 1991, conquistata l’indipendenza, passeggiavamo per le stanze della presidenza slovena assieme all’allora capo dello Stato Milan Kucan. Ad un tratto ci trovammo di fronte a una enorme statua di Tito. Un po’ titubante chiesi al capo dello Stato: «Presidente ma di questo simbolo che ne farete?». La risposta fu più che emblematica. Presomi per il braccio Kucan mi sussurrò all’orecchio: «La toglieremo, certo, ma sa, dopo tutto, con lui non si stava tanto male».
STIME (IN DOLLARI) DEL DISSESTO GLOBALE.
POLEGATO: «IL PEGGIO È ALLE SPALLE»
Il Fondo monetario internazionale: «Subito altre azioni forti». Borse in altalena
WASHINGTON La crisi potrebbe arrivare a costare oltre 4.000 miliardi di dollari in termini di svalutazioni: nonostante i «lievi segnali di miglioramento» dovuti alle azioni «senza precedenti» adottate, il sistema finanziario resta sotto «forte stress, mentre la crisi si allarga includendo famiglie, aziende e banche sia nelle economie avanzate sia in quelle emergenti». «Siamo a un punto di svolta». Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) invita i governi a non allentare la presa e a proseguire sulla strada dell'azione, adottando misure «forti e decise» in grado di restituire ulteriore fiducia ai mercati e rafforzare le basi per una crescita economica sostenibile. È necessario - osserva il Fmi nel Global Financial Stability Report - spezzare la spirale negativa fra mercati finanziarie ed economia reale, «che ancora non è stata fermata». La crisi si è allargata a macchia d'olio ai paesi emergenti, fra i quali - scrive il Fondo nel rapporto - l'Europa dell'Est è stata fra le più colpite anche se la situazione è di recente migliorata rispetto a subito dopo Lehman Brothers, grazie agli interventi dei governi delle banche occidentali. Delle svalutazioni totali (circa 4.000 miliardi di dollari) circa due terzi sono nei bilanci delle banche. Per gli Usa le svluatzioni fino al 2010 dovrebbero raggiungere i 2.700 miliardi di dollari. Del totale di competenza delle banche «circa un terzo delle svalutazioni è già avvenuto nel fra il 2007 e 2008, mentre i due terzi restanti sono potenziali per il 2009 e il 2010. Naturalmente se la ripresa economica sarà migliore di quanto previsto attualmente potremmo ridurre le stime», spiega il capo del dipartimento dei mercati di capitale, Josè Vinals, sottolineando come le banche americane sono «a metà strada nel riconoscere le perdite mentre l'Europa è un pò indietro». «Nel Vecchio Continente il deterioramento economico sta avendo luogo ora, così come sta venendo allo scoperto l'esposizione verso l'Europa emergente», aggiunge Vinals. In base ai dati diffusi dal Fmi, le stime sulle potenziali svalutazioni del settore finanziario si potrebbero attestare, per il periodo 2007-2010, a 1.193 miliardi per l'Europa (Euro area più Regno Unito), 2.712 miliardi per gli Stati Uniti e 149 miliardi per il Giappone. Per L'Europa il Fondo stima in 737 miliardi le svalutazioni delle banche e in 75 miliardi quelle degli assicuratori. Il Fmi ribadisce la propria ricetta contro la crisi del sistema finanziario: assicurare liquidità alle banche, identificare e affrontare il problema degli asset tossici e ricapitalizzare le istituzioni creditizie deboli ma fondamentalmente sane. La «ristrutturazione» di un'istituzione «potrebbe anche richiedere una nazionalizzazione temporanea». «L'attuale incapacità di attrarre capitali privati suggerisce che la crisi è profonda e che i governi devono compiere un passo in più, anche se questo significa assumere la maggioranza o l'interezza di un'istituzione. Un controllo temporaneo da parte del governo potrebbe essere necessario - afferma il Fondo - ma solo con l'intenzione di ristrutturare l'istituto per farlo tornare in mani private il prima possibile». La crisi acuisce anche i problemi di bilancio dei vari Paesi. In particolare per l'Italia l'Fmi stima che il debito pubblico salirà nel 2010 al 121%, con un incremento di 15 punti percentuali dal 106% del 2008. Il deterioramento dei conti pubblici non è comunque un fenomeno limitato: in Germania il debito 2010 si attesterà all'87% con un aumento di 19 punti percentuali. BORSE: Le Borse europee, dopo una giornata passata in gran parte in territorio negativo, si sono rimesse in piedi nel finale. I listini del Vecchio Continente hanno beneficiato sul finire della seduta delle dichiarazioni del segretario al Tesoro americano, Timothy Geithner. Le parole di Geithner hanno stemperato il pessimismo tanto che Parigi (+0,15%) e Francoforte (+0,34%) hanno finito col chiudere leggermente positive. Poco al di sotto della parità Londra (-0,09%) e Milano (Mibtel -0,05%, S&P/Mib -0,24%). In serata Wall Street in deciso rialzo grazie ai conti sopra le attese di United Technologies (+4,3%) e al buon andamento dei bancari. Il Dow Jones sale dell'1,6% e l'S&P500 dell'1,9%, Nasdaq +1,26%.
POLITICA ECONOMICA
ORA IL GOVERNO BATTA UN COLPO di TITO BOERI e FAUSTO PANUNZI
È passato quasi un anno dall’insediamento del nuovo governo italiano. In materia di politica economica, l’impressione è che abbia spesso scelto di non scegliere. Ha affrontato la crisi economica prendendo tempo e, al massimo, varando alcuni interventi tampone per fronteggiare le richieste più pressanti che venivano dal mondo delle imprese. Ha scommesso tutto su di una crisi di breve durata sapendo che i tempi della crisi globale sarebbero stati dettati da eventi al di fuori del suo controllo.E’ stata una scommessa molto azzardata perché il precipitare degli eventi ci avrebbe colti impreparati, ma ci auguriamo tutti che la crisi sia davvero breve. Sin qui il crollo è stato più rapido che nel 1929. Speriamo ora di avere lasciato alle spalle il punto più basso e che la risalita sia altrettanto ripida che la discesa. Ci sono indubbiamente alcuni segnali positivi soprattutto dal settore immobiliare statunitense e dalla Cina. E l’euforia delle borse di tutto il mondo nell’ultimo mese segnala un cambiamento dei sentimenti. L’augurio è che l’ottimismo sia altrettanto contagioso di quel pessimismo che ci aveva portato sull’orlo del precipizio. Il rischio di una nuova degenerazione della crisi è tuttavia ancora presente perché l’eccessivo indebitamento delle banche è stato solo parzialmente ridotto sin qui. I fattori di instabilità del sistema finanziario internazionale non sono stati ancora affrontati alla radice. E sull’Europa incombe la crisi dei Paesi dell’ex blocco sovietico.Questa crisi appare comunque destinata a modificare la geografia economica mondiale, i rapporti competitivi fra gli Stati. È una crisi maturata oltreoceano, che lascerà strascichi in quella che sin qui è stata l’indiscussa prima potenza economica mondiale. Dovrà portare a termine un costoso processo di riduzione del debito del settore privato. E’ un processo che riguarda in modo meno pronunciato l’Europa che può trovare la forza di investire nei settori di punta e riuscire ad attrarre quei talenti che sin qui andavano negli Stati Uniti. Oggi l’Europa può davvero ambire a diventare l’economia più competitiva del pianeta come promesso a Lisbona 10 anni fa.Il nostro Paese non può perciò continuare a stare a guardare. Certo, l’Italia, per colpa del suo debito pubblico, ha minori margini di manovra di altri Paesi. Proprio per questo ha più bisogno di definire in modo chiaro le sue priorità.
Abbiamo l’opportunità oggi di uscire non solo dalla recessione, ma anche dalla stagnazione economica in cui siamo rimasti negli ultimi 15 anni. E i periodi di crisi sono quelli in cui si può trovare il consenso per fare quelle riforme che in tempi normali non si riescono a fare.Il 24 aprile si terrà il Consiglio dei Ministri nelle aree terremotate. Le scelte (o le non scelte) che verranno compiute in quell’occasione saranno un’importante cartina di tornasole delle intenzioni di questa maggioranza. Vedremo se prevarrà, una volta di più, la strategia attendista.L’attendismo non ha sin qui evitato un consistente peggioramento dei nostri conti pubblici. Si sono aperti tanti rubinetti in questi mesi che sarà difficile monitorare. Non ci sono stati risparmi nel pubblico impiego. Al contrario, ai dipendenti pubblici con contratti a tempo indeterminato, quelli che non rischiano il posto di lavoro a differenza dei precari e dei loro omologhi nel settore privato, sono stati una volta di più concessi incrementi salariali superiori a quelli del privato. Il fabbisogno è aumentato di 9 miliardi nei primi tre mesi del 2009. E ci sono vistosi segnali di un calo delle entrate fiscali, ben oltre quanto determinato dall’andamento dell’economia. In particolare, le entrate tributarie nei primi due mesi del 2009 sono calate del 7,2 per cento rispetto a un anno fa e non più di metà di questo calo può essere attribuito all’andamento dell’economia. Mentre è certo che l’esecutivo ha dato ripetuti segnali di un abbassamento della guardia sul fronte del contrasto dell’evasione.Ora il governo ha due strade di fronte a sé nell’affrontare il dopo-terremoto e i costi della ricostruzione. La prima è ripetere quanto fatto dai governi precedenti in questi casi: introdurre una addizionale, una nuova tassa, magari chiamata “contributo di solidarietà”, i cui proventi potranno essere destinati alla ricostruzione. In una fase di depressione come quella che stiamo fronteggiando ci sembra una scelta sbagliata. La seconda strada è quella di usare l’emergenza creata dal sisma per definire le priorità di politica economica.Le interviste al ministro dell’Economia trattano spesso di filosofia. Evitano accuratamente di porre le domande che stanno più a cuore agli italiani. Ecco allora le domande cui ci auguriamo il ministro voglia al più presto rispondere.Su quale stima dei costi della ricostruzione delle aree terremotate sta il governo ragionando? Non è possibile non avere ancora un numero a due settimane dal sisma. Ed è legittimo attendersi che il governo abbia deciso come finanziare queste spese.Ha in mente il ministro, alla luce anche del terremoto, di rivedere le priorità della spesa in conto capitale? In particolare, conviene sul fatto che sarebbe più opportuno rimandare il ponte sullo Stretto e varare un piano straordinario di manutenzione e miglioramento dell’edilizia scolastica?Cosa intende fare il ministro per contrastare l’evasione fiscale? Intende davvero coinvolgere i Comuni negli accertamenti? Con quali tempi? E intende ripristinare gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate?Una domanda di filosofia ci riserviamo di porla anche noi. Quali confini intende il ministro stabilire per il mercato? Perché, ad esempio, la legge 33/09 appena approvata in Parlamento, su «misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi», prevede che non vi sia più l’obbligo di lanciare un’Opa nel caso in cui il gruppo di controllo che già possiede il 30% del capitale sociale acquisisca un ulteriore 5%? Perché rafforzare così il suo controllo sulla società in un momento di scarsità di capitali di investimento? A chi giova questa norma se non a chi oggi ha il controllo di queste imprese? E in cambio di cosa si concede loro questo aiuto?Tito BoeriFausto Panunziwww.lavoce.info
SI ACCENDE LA PARTITA DELLE NOMINE
«Il ritorno di Melò? Il governatore non può scegliere da solo»
di ROBERTA GIANI
TRIESTE «Sono scelte che vanno concordate con i partiti della coalizione» avverte, con Pietro Fontanini, la Lega. «Nessuna obiezione sui nomi. Ma siamo in ritardo su Friulia holding e in anticipo su Autovie venete» aggiunge, con Angelo Compagnon, l’Udc. Renzo Tondo brucia le tappe, aprendo pubblicamente la partita delle nomine, ma spiazza la sua maggioranza. E non solo quella. Il presidente della Regione richiama Dario Melò, il manager di cui si fida ciecamente, l’attuale direttore generale del gruppo De’ Longhi. Ma non gli affida Friulia, come molti si attendevano, bensì gli restituisce Autovie. Risultato? Un day after all’insegna della sorpresa, degli interrogativi e delle perplessità. Il centrodestra, dopo aver discusso di nomine già ai tempi della campagna elettorale, vede il puzzle scomporsi. E non si raccapezza più: la Lega, ad esempio, punta a un posto chiave in Autovie. Ma quel posto, adesso, rimane? Qual è? E con quali poteri? Il Pdl, a sua volta, scommette da mesi su un tandem in Friulia composto da Sergio Dressi e Edi Snaidero. Ma quel tandem è ancora valido? E quanto a lungo deve attendere? Ancora: che fine fa Giorgio Santuz, il presidente attuale di Autovie, trasversalmente apprezzato?Nell’incertezza, a fronte dell’uscita di Tondo, i partiti mettono le mani avanti. La Lega lancia il segnale più esplicito: «Melò ha lavorato bene. Ma il punto è un altro: la scelta non spetta solo al presidente, ma va concordata con la coalizione» frena Fontanini. L’Udc conferma indirettamente l’accordo politico sulle «caselle», e riaccende i fari su Friulia: «I nomi spettano al presidente e alla giunta, non ai partiti cui invece competono indicazioni sul metodo e sui criteri. E quindi, su Melò, nulla da dire. Ma riscontriamo un ritardo sulla holding: la priorità, a nostro avviso, non è Autovie ma Friulia. E quindi, siccome la mission della finanziaria è cambiata totalmente, riteniamo che la governance e il management attuali non siano più adatti a interpretarla» dichiara Compagnon. Il Pdl, il partito del presidente, è ovviamente il più prudente: «Melò mi sta bene per questo o un altro ruolo di spicco. Lega e Udc vogliono discuterne? Ne discuteremo» taglia corto Roberto Menia.Nell’attesa, però, a palazzo si indaga e si ragiona sulla fuga in avanti del presidente, non particolarmente gradita (pare) nemmeno a Palmanova, dove Santuz sta trattando con Anas la nuova convenzione. La spiegazione più insistente è la più semplice: Tondo intende riportare Melò alla guida della spa, otto anni dopo la sua presidenza, perché vuole affrettare i tempi. I vertici di Autovie si rinnovano a settembre mentre quelli di Friulia, a meno che non si trovi un modo per mandare a casa anzitempo (e senza rischi) Federico Marescotti e colleghi, scadono appena nel dicembre 2010. «Il presidente vuole avere subito il suo uomo di fiducia in una società assolutamente strategica e, al caso, metterlo successivamente a dirigere la holding» sussurrano in maggioranza. Una mossa forte che avrebbe come obiettivo quello di iniziare a sciogliere, seppur «dal basso», i nodi ereditati insieme alla holding illyana. Autovie è impegnata in una partita titanica, la terza corsia vale 1,8 miliardi di euro, «e un manager del calibro di Melò - aggiungono nel centrodestra - può sicuramente affrontare al meglio tutte le questioni finanziarie». Ma soprattutto Autovie deve vedersela con la way out che i soci privati della holding hanno preteso - una way out che vale il 20% della società autostradale già nel 2010 - «e un uomo di fiducia del presidente, peraltro conosciuto e stimato dall’assessore ai Trasporti Riccardo Riccardi, può senza dubbio affrontare la questione e gestire i rapporti con le banche con più forza e meglio di chiunque altro, Marescotti incluso».
I LUOGHI SIMBOLO DI TRIESTE
Hotel Balkan, non più odio ma un crogiolo di lingue di PIETRO SPIRITO
Il 13 luglio 1920 nel corso di scontri tra fascisti ed esponenti della comunità slovena viene incendiato l’Hotel Balkan che ospitava la sede del Narodni Dom
l In quella giornata persero la vita prima dell’incendio Giovanni Nini in piazza Unità, il tenente dei carabinieri Luigi Casciana e Hugen Roblek che si gettò dall’edificio
l Quello che Giani Stuparich chiamò «tragico spettacolo» segnò in maniera profonda lo scontro etnico e politico tra italiani e sloveni. Oggi quel palazzo di via Filzi ospita la Scuola Interpreti dell’Università di Trieste
l In quella giornata persero la vita prima dell’incendio Giovanni Nini in piazza Unità, il tenente dei carabinieri Luigi Casciana e Hugen Roblek che si gettò dall’edificio
l Quello che Giani Stuparich chiamò «tragico spettacolo» segnò in maniera profonda lo scontro etnico e politico tra italiani e sloveni. Oggi quel palazzo di via Filzi ospita la Scuola Interpreti dell’Università di Trieste
«Vorrei sapere dov’è sepolto il mio bisnonno, e sarebbe bello che Trieste gli potesse dedicare una via, o un capo di piazza». Michela Cristina Zardini, 32 anni, di mestiere è grafica e vive a Bologna. Il bisnonno di cui parla è, anzi era, Luigi Casciana, tenente dei carabinieri, ferito a morte il 13 luglio 1920 durante gli scontri che culminarono con l’incendio del Narodni dom, la Casa del popolo che aveva sede nell’Hotel Balkan, poi Hotel Regina, oggi dimora della Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori, in via Filzi 14. Luigi Casciana fu una delle tre vittime della battaglia urbana del Balkan: le altre furono Giovanni Nini, cuoco dell’albergo Bonavia, ucciso a coltellate durante un precedente comizio fascista, e Hugen Roblek che, intrappolato dalle fiamme nei locali dell’hotel, si gettò dalla finestra assieme alla figlia(che pur gravemente ferita riuscì a salvarsi). In anni recenti la mamma di Michela Cristina Zardini, Serena Casciana Zardini, 60 anni (vive anche lei a Bologna), nipote del tenente Casciana e moglie di Luigi Casciana junior, ha cercato di riannodare le fila della sua storia familiare, partendo dalla tragedia del luglio 1920. E oggi la bisnipote di Casciana, Michela, ha raccolto il testimone nella convinzione che rattoppare le fratture del tempo sia indispensabile per capire meglio da dove veniamo e dove andiamo.Ma è sempre difficile affrontare il nodo delle memorie quando si parla dell’incendio del Balkan. Ed è significativo che nell’edificio simbolo dell’inizio della repressione fascista nei confronti della comunità slovena oggi vi sia una facoltà universitaria a sua volta simbolo della fratellanza universale, dove si insegnano le lingue del mondo. Quasi mille studenti, una biblioteca con 43mila volumi, corsi di italiano, russo, spagnolo, croato, sloveno, serbo, arabo, olandese e portoghese, la Scuola per interpreti e traduttori conserva in alcuni arredi - pavimenti, marmi, le scale e la gabbia di un ascensore - i tratti originali del Balkan. Al piano terra un locale ospita la nuova sede del Narodmi dom, mentre una targa cita il ”tragico spettacolo” del luglio 1920 evocato da Giani Stuparich in ”Trieste nei miei ricordi”: «Una visione funesta di crolli e rovine come se qualcosa di assai più feroce della stessa guerra passata minacciasse le fondamenta della nostra civiltà». L’ex Hotel Regina è un altro dei luoghi di Trieste dove passato, presente e futuro si intrecciano: «Non è un caso - commenta la preside della Scuola, Lorenza Rega - che sia stato scelto questo luogo per lo studio delle lingue e delle culture straniere, scelta dettata da uno spirito che si proietta in tutto il mondo».Ma il passato, si sa, a Trieste fa sempre fatica a passare. «Quando ho tenuto lì un incontro pubblico mi sono sentito umiliato», dice lo scrittore Boris Pahor, uno degli ultimi testimoni diretti dell’incendio del Balkan. «Ero un bambino di sette anni - ricorda Pahor -, allora abitavamo in via Commerciale, prima siamo scappati nel seminterrato, poi sono andato con mia sorella a vedere da vicino l’incendio; ricordo il senso di tragedia e di catastrofe, c’era tutto un mondo che andava in pezzi; proprio al Balkan l’anno prima avevo passato una bellissima serata, distribuivano i regali di San Nicolò e c’erano i diavoli che facevano paura ai bambini; poi i diavoli neri sono arrivati davvero».«Il mio sentimento nei confronti di quel luogo è doppio e multiplo - continua Pahor -, da un lato l’umiliazione per essere ospite, oggi, in un luogo che era della comunità slovena e che simboleggia per me un futuro di perdita; dall’altro riconosco nella sede della Scuola per interpreti e traduttori una realtà importante per creare un’amicizia culturale e linguistica condivisa». «Ma ancora oggi - aggiunge lo scrittore - non c’è una targa che citi esplicitamente il fascismo, e finché non ci sarà un riconoscimento istituzionale, governativo, da parte dell’Italia dei crimini perpetrati dal fascismo io non riuscirò a mettermi il cuore in pace».Stenta a riconoscere nell’edificio progetatto da Max Fabiani un valore simbolico proiettato nel futuro anche Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale: «L’incendio del Balkan - spiega - si inserì in una serie di eventi similari: nel 1898 a Santa Croce ed a Duino Aurisina vengono incendiate scuole della Lega Nazionale; il 23 maggio del 1915, in contemporanea, vengono dati alle fiamme a Trieste, la sede de “Il Piccolo”, della Ginnastica Triestina e della Lega Nazionale; nel 1928 scuola materna e doposcuola della Lega ad Opicina vengono distrutte (ad opera del gruppo terroristico Orijuna)». Un triste elenco di violenze, continua Sardos, «tutte ascrivibili all’ideologia ottocentesca del nazionalismo. Poi arrivarono le nuove ideologie, quelle del ‘900, e cioè nazional-socialismo e comunismo. E lasciarono nelle nostre terre, a loro triste memoria, i simboli della Risiera e delle Foibe. Ma nel 1989 con la fine del comunismo tutte le ideologie sono definitivamente uscite dalla Storia». «Ecco perché - conclude Sardos Albertini - l’ex Hotel Regina non ha bisogno di proporsi come simbolo. È semplicemente e felicemente un luogo in cui ci si incontra per studiare, per confrontarsi. Anche per divertirsi, se osserviamo i gruppi di ragazzi e ragazze che allegramente sciamano in via Filzi».«Quando penso all’incendio del Balkan del 1920 - interviene il giornalista e scrittore Dušan Jelincic - sono sommerso da sensazioni dolorose soprattutto per Trieste, che è la mia città. Perché la sua distruzione da parte delle orde fasciste venute da fuori e che quasi nessun triestino appoggiava (questo ce lo dimentichiamo sempre) dava un calcio letale alla modernità e alla multietnicità. Con quell’incendio morì definitivamente quella Trieste dove l’atrio del Balkan era l'atrio di una stazione ferroviaria centroeuropea, e quelli che ci andavano al bar erano sloveni sì, ma anche italiani, tedeschi, austriaci, cechi ecc. Ma moriva anche definitivamente quella Trieste che aveva scuole trilingue – italiana, slovena e tedesca e quindi respirava tre culture differenti, ma in fin dei conti anche tanto complementari».«Che possiamo fare? Con Noam Chomsky - aggiunge Jelincic - dico che siamo ancora in tempo. Ci sono da fare tanti passi, magari piccoli, ma ogni giorno, tenacemente. A patto di respingere i professionisti della zizzania, gli accattoni del voto quando si avvicinano le elezioni (lo spettro del bilinguismo "tira" ancora). Dovremmo far scoppiare non un incendio, ma l'armonia in una città stupenda, la mia città, dove voglio bene a tutti, ma propri tutti, senza distinzioni, e dove (quasi sempre) l'armonia, l'amicizia e la tolleranza nel quotidiano esistono già, fino a che non si sveglia la bestia che è in noi, come avvenne nel 1920».«Il mio bisnonno Luigi Casciana - conclude da Bologna Michela Cristina Zardini - comandava i carabinieri che impedivano l’accesso dei dimostranti al Balkan difendendo la sede del Narodni dom, e fu colpito dalle schegge delle bombe a mano lanciate proprio dal secondo piano dell’hotel; morì dopo sette giorni di agonia; ci piacerebbe che la sua memoria fosse ricordata».(3 - continua)
ANNUNCI DI BERLUSCONI
ROMA Anche Silvio Berlusconi parteciperà alle celebrazioni del 25 Aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo, anno 1945. Dice che di questa festa «non se ne deve appropriare una sola parte politica». È insomma la festa di tutti. «Meglio tardi che mai», commenta il segretario Pd Franceschini. Mistero su dove andrà, dopo aver deposto una corona al Milite ignoto. Solo voci: Fosse Ardeatine, dove sono sepolti i 335 uccisi dai tedeschi; cimitero di Nettuno, dove sbarcarono i soldati americani; Mignano Montelungo, dove sono sepolti i caduti della battaglia di Montecassino.Più remota e incerta, la presenza di Berlusconi alla celebrazione di Milano dell’Anpi (l’associazione partigiani). Il dubbio è alimentato dal suo primo collaboratore, Paolo Bonaiuti: «Uno dei problemi che ostacolano la celebrazione del 25 Aprile da parte del premier Silvio Berlusconi, sta nel pericolo che qualche estremista si comporti come è successo negli anni passati con il sindaco Letizia Moratti».L’ex ministro di Berlusconi, Giuseppe Pisanu, smentisce Dario Franceschini, segretario del Pd, e assicura che il Berlusconi presidente «ha già festeggiato» il 25 Aprile. A Franceschini non risulta: «Da quando è sceso in campo, ha avuto quattordici possibilità per manifestare il 25 Aprile, e ora è importante che lo faccia». Quella ricorrenza «deve tornare a essere un momento unificante come la Resistenza, l’antifascismo e la difesa dei valori della Costituzione».Luigi Zanda, vicecapogruppo Pd al Senato, è colpito dalla motivazione di Berlusconi per la sua partecipazione alla ricorrenza del 25 Aprile: dire che non può essere lasciata alla sinistra, «non è un’affermazione da presidente del Consiglio». Alle parole di Berlusconi, si aggiungono quelle del ministro, ex An, Ignazio La Russa: rispetto per i «partigiani rossi», che però «non possono essere celebrati come portatori di libertà». Questa battuta, oltre all’evocazione del dittatore spagnolo Francisco Franco, fanno dire ad Alfio Nicotra, Rifondazione comunista, che La Russa è regredito «allo stato di natura» e per questo non può più fare il ministro.Il presidente dei deputati Pd, Antonello Soro, trova «normale» che il presidente del Consiglio partecipi alla celebrazione del 25 Aprile: «Anormale sarebbe il contrario». Ma un suo interprete, Fabrizio Cicchitto, fa capire quale resistenza intende celebrare Berlusconi: quella contro la presa del potere del movimento partigiano di «obbedienza comunista». Il triestino Jacopo Venier, Pdci, dice che nel dna di Berlusconi «non ha mai albergato l’antifascismo».«Il referendum elettorale? Immagino si faccia il 21 giugno» dice ancora Berlusconi che esclude il rinvio della consultazione al prossimo anno e spiana la strada alla possibilità di accorpare il voto sui quesiti di Guzzetta e Segni ai ballottaggi per le elezioni amministrative. Il via libera del Cavaliere giunge dopo la disponibilità offerta nei giorni scorsi dal Pd che ieri si è schierato ufficialmente per il sì al referendum ed ha sfidato la maggioranza a lavorare in Parlamento per una nuova legge elettorale. «Vedremo se la maggioranza è disponibile» precisa Franceschini per il quale dire sì al referendum, «non vuol dire condividiamo la legge che esce fuori». E questo perché il referendum «non risolve il problema di attribuire agli italiani il diritto di scegliere i loro rappresentanti» spiega il segretario al termine della direzione del Pd che approva la scelta del sì al referendum «come base di partenza per spingere il Parlamento a lavorare per una riforma della legge attuale». Cinque i voti contrari e quattro gli astenuti.«Credo che la soluzione ottima sia quella di fare una leggina in Parlamento che si approvi in 4 giorni con l’accordo dei presidenti di Camera e Senato e di tutti i gruppi» spiega Berlusconi, che esclude la strada del decreto legge perché Napolitano non potrebbe firmare un provvedimento privo dei requisiti di necessità e urgenza. Si voterà nell’ultima decade di giugno grazie all’approvazione di un disegno di legge condiviso? Il presidente della Camera ha convocato per oggi la riunione dei capigruppo per verificare se c’è la disponibilità ad approvare in sede legislativa la leggina che fissa il referendum al 21 giugno. La Lega non si opporrà, in quella data il quorum è difficile.
Scoppia l’inferno in Riva Ottaviano: denunciati due diciassettenni ubriachi
di MADDALENA REBECCA
Piromani per noia. Due ragazzi di diciassette anni, entrambi triestini, hanno dato fuoco l’altra notte ad una decina tra camper e macchine parcheggiati in Riva Ottaviano Augusto, davanti all’ingresso del mercato ortofrutticolo all’ingrosso. Una bravata che avrebbe potuto avere conseguenze ancora più gravi: uno dei mezzi incendiati conteneva infatti una bombola di gas, scoppiata ed esplosa in mille pezzi, fortunatamente senza ferire nessuno. Bloccati poco dopo, i giovanissimi - che non hanno saputo fornire alcuna giustificazione al loro gesto - sono stati denunciati per danneggiamento e, successivamente, affidati alle famiglie.Tutto è accaduto attorno alle 4 del mattino. A quell’ora, anziché essere a casa a dormire, i due minorenni, visibilmente ubriachi, stavano giocando a calcio nel piazzale davanti al mercato. Una partitella condita da urla e schiamazzi, che hanno richiamato subito l’attenzione della guardia giurata in servizio in quel momento all’interno della struttura. Guardia giurata che, poco dopo, si è ritrovata la coppia di scalmanati davanti alla guardiola.Gli adolescenti pretendevano di varcare il cancello per raggiungere il bar interno al mercato, aperto pochi minuti prima. «Una richiesta che ovviamente il vigilante ha subito respinto - spiega Giuliano Romanin, comandante in carico dell’istituto di sorveglianza Italpol -. Senza tesserino di riconoscimento, infatti, nel mercato non si entra. Eppure, nonostante le spiegazioni, i ragazzi, chiaramente alterati, hanno continuato a insistere con atteggiamenti molto arroganti».Vista l’impossibilità di mettere a segno il piano iniziale i ragazzini hanno ripiegato su un altro passatempo e, senza farsi vedere dalla guardia giurata, hanno acceso un piccolo rogo sotto uno dei camper posteggiati in strada. E da lì, stando al racconto di alcuni testimoni, si è scatenato l’inferno. «Sembrava sparassero fuochi d’artificio - racconta uno degli operatori del mercato che ha assistito alla scena -. Prima sono scoppiati i copertoni delle auto, poi i vetri dei parabrezza, infine, è esplosa con un botto pazzesco la bombola di gas. Per fortuna i due camper erano a diesel: se fossero stati a benzina l’incendio avrebbe probabilmente assunto dimensioni ancora maggiori».Nel giro di pochi minuti le fiamme («alte sicuramente più di dieci metri» precisa ancora il testimone), hanno letteralmente liquefatto gli abitacoli di due camper e due auto, e uno dei lampioni a pastorale installati nella zona. Danni anche alla filiale Unicredit inserita nel fabbricato di Riva Ottaviano Augusto - vetri scheggiati e ventole dei condizionatori esterni fuse - nonché a diverse altri veicoli vicini. Illeso invece, fortunatamente, il gruppetto di cittadini romeni che, in quel momento, dormivano in un caravan poco distante.Solo l’intervento tempestivo dei vigili del fuoco, allertati dal vigilante attorno alle 4.15, ha permesso di evitare il peggio. Sul posto sono arrivate anche le volanti della polizia che, assieme al personale dell’Italpol, hanno subito iniziato le ricerche dei responsabili. Rintracciarli non è stato difficile: i giovani piromani, anziché scappare a tutta velocità, avevano solo girato l’angolo. Alla vista degli agenti non hanno negato le loro responsabilità - difficilmente, del resto, avrebbero potuto farlo con i vestiti anneriti e i volti tutti sporchi di fuliggine -, ma non si sono nemmeno dimostrati pienamente consapevoli della gravità dell’accaduto. Tutto quello che, sul momento, sono stati in grado di dire è stato: «Sì siamo stati noi. Perché l’abbiamo fatto? Boh, così».
Dilaga la moda della neuromania di BRUNO LUBIS
di BRUNO LUBIS
Vocaboli che hanno per oggetto i nervi sono sempre più in uso. Qualsiasi discussione - se vuole avere più appeal o sembrare più scientifica - si appoggia a termini che hanno come prefisso «neuro». È proprio una mania, come dice il titolo di un agile volumetto scritto da Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, «Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo» pubblicato da Il Mulino (pagg. 125, euro 9,00).Paolo Legrenzi insegna Psicologia cognitiva all’università di Venezia, Carlo Umiltà è docente di Neuropsicologia a Padova. Di Legrenzi ricordiamo che ha scritto nel 2002 (ancora per Il Mulino) «La mente», e negli anni passati ha avuto una parentesi didattica all’Università di Trieste, chiamato dal professor Gaetano Kanizsa a rimpolpare un gruppo di studiosi di psicologia che era senz’altro di altissima qualità. Ricordiamo i nomi di Paolo Bozzi, Minguzzi, Vicario. Purtroppo la ruota della vita è girata molto in fretta per alcuni di loro. Ma sulla figura di Kanizsa, psicologo e pittore, ritorneremo non appena avremo dato qualche ragione per leggere meditabondi il nuovo saggio di Legrenzi e Umiltà.Sembra, dunque, che basti far riferimento a termini inerenti la biochimica o la neurologia per essere credibili, addirittura sfrontati, quando si parla di cervello-mente-intelletto. Invece nessuno sa che cosa sia, in fondo, quell’organo strano che portiamo nel cranio, che cosa possa innescare, se gli bastano elementi chimici per diventare una centrale di energia oppure se oltrepassa il confine fisico ed entra nello spirituale. Misteri su misteri. Poi su riviste divulgative, o addirittura su quotidiani, basta riprodurre una mappa del cervello con colori diversi e si pensa di aver spiegato che cos’è la memoria, dove termina l’affetto, quale area innesca la paura e via elucubrando.Legrenzi - in questo senz’altro memore della sublime ”lezione” di Gaetano Kanizsa (Trieste, 1913–1993) - smaschera facili divulgazioni e si appoggia a veri esperimenti, verifiche serie svolte sul campo, per mettere in evidenza come solo gli studiosi seri sappiano distinguere il vero dal falso, anche se il falso è condito da termini ”neuro”: neuroeconomia, neurobiologia, neurodesign... Insomma: una spiegazione sbagliata diventa credibile grazie all’uso del termine composto con ”neuro”. E il fasullo passa per vero, purtroppo.Si diceva della ”lezione” di Kanizsa. Il professor Kanizsa teneva le sue lezioni in una piccola aula dell’istituto di Psicologia. Le lezioni cominciavano alle 8.15 (ah, il famoso quarto d’ora accademico), perchè lui faceva già selezione. Chi studiava psicologia doveva avere una disciplina, talché era obbligato ad essere presente anche se, magari, aveva ritardato nel tornare a casa di buon’ora la sera avanti. Disciplina, poi un numero ristretto di studenti. Non era immaginabile vedere il professor Kanizsa dissertare nell’aula Ferrero, con banchi a gradoni come si fosse in un anfiteatro, e magari con un applauso a chiudere la lezione. Lui sarebbe arrossito di timidezza.Bene, il viso unno del professor Kanizsa era spesso aperto in un soave sorriso, le emozioni anche più serie sfociavano o nell’ironia o nella dolcezza di un diniego. A chi gli chiedeva perchè non ci si addentrasse nei meandri della psicoanalisi o amenità del genere, che andavano di moda in quegli anni Settanta, amabilmente rispondeva con altre domande: perchè bisognava studiare Freud o Jung o il suo amico Musatti? La psicologia, se scienza voleva rimanere, si doveva concentrare sul cammino certo della percezione e dell’apprendimento: «Il resto è letteratura».Kanizsa era un autodidatta in materia. Aveva scoperto autori tedeschi e americani studiando quasi da carbonaro e confrontando i suoi progressi con l’amico Metelli e anche con Musatti. Era il Ventennio fascista e la Psicologia era considerata scienza degenerata. L’unico a poterla studiare e interpretare e divulgare secondo uzzolo personale e in conformità all’ideologia dominante era un frate, più dedito al ”potere” che alle virtù teologali, Agostino Gemelli. Ma a guerra finita Kanizsa si era presentato alla ribalta forte delle sue scelte di Koelher e Wertheimer, originale negli esperimenti con i triangolini vuoti o pieni, con figure combacianti o divergenti. Era oltretutto un disegnatore raffinato e paziente, tutto tocchi millimetrici, per dare una sua Weltanshauung o per trarre in inganno gli occhi degli altri, studenti o utenti che fossero. Perchè Kanizsa aveva dato contributi interessanti anche alle ricerche di mercato che prendevano piede in Italia.L’istituto di Psicologia dell’università di Trieste non ha più insegnanti di cotale spicco, ma certe idee di fondo, specialmente quella di smascherare cialtroni e ciarlatani, va avanti grazie anche a chi vuol capire i misteri della mente. Non solo dunque ”La grammatica del vedere”, ma adesso ”La mente” e ”Neuro-mania”, libri da non trascurare.
Rivolta alla ”Ginnastica”: «Qui cade tutto a pezzi» di PIERO RAUBER
Non ne parlano come fosse un padre padrone. Dipingono il presidente Carmelo Tonon come un padre assente. Il che per centinaia di soci-genitori della gloriosa Società Ginnastica Triestina è pure peggio. Un presidente che «non si fa mai vedere in sede, mentre questa cade a pezzi», che «rischia di demotivare i validi istruttori della polisportiva pagando loro gli stipendi senza regolarità». E che «evita ogni tipo di confronto, sullo stato delle casse societarie e sulle prospettive future, con i genitori degli atleti». «Eppure sono quelli che lui stesso dovrebbe ascoltare e rappresentare», essendo stato confermato per altri due anni, in occasione delle elezioni di dicembre 2007, alla guida della Ginnastica.Ora però per una buona fetta delle famiglie che respirano quotidianamente l’ambiente Sgt, è finita l’epoca dei pianti contro quella che definiscono «una gestione accentratrice e sempre più impalpabile». Armati di carta e penna, chiedono la testa dell’avvocato Tonon puntando a elezioni anticipate «perché non si può aspettare dicembre, se si va avanti così la Ginnastica muore prima». Sono oltre 400 a oggi le firme dei soci - corrispondenti per regolamento ad altrettanti nuclei familiari - allegate a una richiesta di convocazione di assemblea straordinaria «ai sensi degli articoli 15 e 16 dello Statuto». Ordine del giorno: «situazione debitoria», «situazione strutturale e sicurezza», «progetti e prospettive future», «situazione istruttori» e soprattutto «conferma fiducia al presidente e al Consiglio direttivo», un organo che stando alle indiscrezioni di chi vi faceva parte sarebbe composto ormai da tre persone (presidente compreso) a fronte delle otto di partenza dopo il voto di fine 2007.Detto fatto? Non proprio. La richiesta, per ora, è carta straccia. I numeri fanno impressione, certo, così come le oltre 600 firme di soci e simpatizzanti a corredo di una petizione, senza valore tecnico-giuridico ma spinta dalle stesse lagnanze, fatta arrivare al Piccolo per conto di un comitato spontaneo ”pro-Sgt”. Lo Statuto, in effetti, impone che l’assemblea straordinaria possa essere indetta con l’assenso di almeno un terzo dei soci. E i «rivoltosi» non sanno, al momento, se quelle 400 firme abbondanti che accompagnano la richiesta di convocazione - raccolte in tre settimane e «rappresentative di tutte le sezioni» - superino il quorum. «Già due settimane fa avevamo chiesto ufficialmente in segreteria, con tanto di ricevuta, di poter consultare l’elenco dei soci, ma la società non è stata in grado di fornirci le informazioni del caso», assicura un genitore. E così, nelle ultime ore, è scattato l’ultimo affondo: una raccomandata, con avviso di ricevuta di ritorno, spedita allo stesso Tonon, al Consiglio direttivo della Sgt e, per conoscenza, al presidente regionale del Coni Emilio Felluga, sottoscritta dai soci ordinari Giancarlo Voitschek, Lorenzo Vescia e Antonella Massarotti Ianezic più un quarto socio che chiede di restare anonimo, in rappresentanza delle sezioni judo, ginnastica e ritmica.Nel documento - steso con l’aiuto di un avvocato - questi soci «diffidano il presidente della Sgt e, per quanto occorrer possa, i consiglieri della stessa, a mettere a disposizione degli scriventi l’elenco e i nominativi dei soci, ai fini di effettuare iniziative statutarie, indicando i tempi, i luoghi e le modalità di accesso ai dati». «Il tutto entro e non oltre il termine di otto giorni dal ricevimento della presente. Si evidenzia come non possa essere invocata la privacy in materia in quanto la lista soci è utilizzata per iniziative assembleari e conformemente a quanto statuito nell’atto costitutorio della Sgt. In difetto gli scriventi tuteleranno gli interessi in opportuna sede». Un ultimatum. Con tanto di informativa al Coni, che nei prossimi giorni dovrebbe presumibilmente appurare la questione per quanto gli compete. E in attesa soprattutto di una presa di posizione pubblica di Tonon, che ieri non è stato possibile contattare causa pressanti impegni professionali.
UDINE «Un bene per Udine, per il Friuli Venezia Giulia, per il Paese». E arrivano gli applausi. Walter Veltroni parla a braccio per quasi un’ora in sala Paolino d’Aquileia ma la scossa arriva quando cita Debora Serracchiani e il suo tentativo di conquistare l’Europa. È la scossa che si aspetta il popolo deluso del Pd, che vuole facce diverse e che batte la mani quando l’ex segretario dice: «L’Italia ha bisogno di una generazione di nuovi dirigenti politici». Non c’è la nomenclatura del partito nel tardo pomeriggio udinese. Assenze giustificate e altre forse no. Avvistati Renzo Travanut e Sergio Lupieri. Sul tavolo dei relatori ci sono non a caso due giovani: Cristiano Shaurli e Debora, la chiamano tutti così, camicia nera e giacca color crema, capelli con la coda, il solito look, quello che ha bucato all’assemblea nazionale dei circoli. Veltroni parla di tante cose, da Auschwitz all’Africa, da Balotelli a Muhammad Alì, fino all’Europa, un discorso di valori e sui valori, «perché la grandezza della politica è dire cose scomode quando il vento tira dall’altra parte». C’è naturalmente la crisi in primo piano e la proposta di «un patto tra produttori per creare le basi di una società migliore». E poi ci sono i «quattro pilastri» su cui si deve basare e rafforzare il lavoro del Pd: politica dell’integrazione, lotta alla povertà, tutela dell’ambiente e cultura della solidarietà. Non cita Berlusconi. Non c’è un accenno a Franceschini, non più. Veltroni non guarda indietro nel giorno in cui ritorna in pubblico dopo il «me ne vado». C’è però Debora, lei sì, da lanciare. «Porterà in Europa la sua freschezza intellettuale – dice l’ex sindaco di Roma - oltre alla competenza di cui ha dato prova come amministratrice in questi anni di impegno politico». Lei ringrazia e ammette: «Non avrei mai creduto di salire in macchina con lui». Assieme avevano incontrato qualche ora prima il sindaco Furio Honsell ed erano stati a casa di un’elettrice del Pd che aveva scritto una mail all’ex segretario. (m.b.)
TREVISO «La legge è anticostituzionale, viola la costituzione e le regole fondamentali della sanità mondiale stabilite dall’Oms mondiale: si è fatta carta straccia delle mia volontà. Non potete giocare con la vita di una persona».La voce esce fioca, dal videomessaggio, ma ben comprensibile: Paolo Ravasin «urla» disperatamente la sua rabbia per l’approvazione della legge-pasticcio sul testamento biologico. 49 anni, malato di sclerosi laterale amitrofica (la famigerata Sla che ha colpito tanti calciatori), Ravasin vuole prepararsi alla parabola inesorabile della sua terribile malattia.Lo «grida» al capo dello Stato, Napolitano, ai presidenti di Camera e Senato. A Treviso lo sostiene la cellula Coscioni, a Roma gli fanno da portavoce i radicali. È il suo secondo video messaggio. Il precedente era il suo testamento biologico forte e anomalo, fissato davanti alla telecamere perché fosse chiarissima la sua volontà sul fine vita: nessun trattamento sanitario nel momento in cui le proprie condizioni di salute, rese precarie dalla Sla, fossero divenute tali da sottrargli l’autosufficienza.«Con grande tristezza ho appreso la notizia dell’approvazione al Senato della legge che rende carta straccia le mie direttive anticipate e in particolare la mia decisione di non sottopormi ad alimentazione e nutrizione artificiali quando non sarò più in grado di nutrirmi e bere naturalmente - dice Ravasin nel suo video - non sono un medico né un giurista, ma credo sia sufficiente essere una persona sensata per capire che, se è vero che l’articolo 32 della Costituzione impedisce di sottoporre un individuo ad un trattamento sanitario contro la sua volontà, allora è anche vero che questa legge, che non consente a me, pienamente capace di intendere e volere, di rifiutare tali trattamenti, è manifestamente anticostituzionale».Il disegno di legge passato dal Senato alla Camera prevede che le indicazioni anticipate di trattamento eventualmente rese dai pazienti non impongano alcun obbligo giuridico al medico curante, libero di agire secondo coscienza, anche costringendo il paziente in fase terminale all’alimentazione artificiale e idratazione. «Mi viene sottratta l’unica libertà rimastami, quella di poter decidere sulla mia morte - prosegue con estrema lucidità Ravasin - ognuno di noi alla fine dei suoi giorni è solo di fronte alla morte, ma lo Stato e la Chiesa qui hanno preteso di sostituirsi a Dio».Il video-shock, pubblicato on-line dal sito di RadioRadicale, La Repubblica e l’Ansa ha fatto in poche ore il giro d’Italia, e ha innescato nuovamente il dibattito. «Ci aspettiamo che, dopo la tempesta suscitata dal caso Englaro, le Camere non si lancino in una corsa a perdifiato verso una legge liberticida, che va contro la Costituzione, il senso di pietà e gli orientamenti europei - ha commentato Gianpaolo Sbarra, della "Luca Coscioni" di Treviso - proporremo ai sindaci della provincia di istituire in ogni Comune un registro pubblico per i testamenti biologici, in modo tale da superare l’ostacolo che la legge vuole porre alla libertà di scelta di ciascuno». (c.f.)
Un vaccino che cura i tumori del sistema linfatico e quindi immunizza. Che funziona col Dna. Che viene «sparato» nella pelle con una sorta di strumento a pistola, usando come vettore l’oro solubile, metallo inerte e non pericoloso se iniettato sotto la pelle. Se la sperimentazione sui pazienti che sta per iniziare (e che durerà tre anni) avrà successo come i test sulle cavie dimostratisi imbattibili, si potrà dire che è nato a Trieste, al Centro internazionale per l’ingegneria genetica e le biotecnologie, il primo vaccino terapeutico italiano contro i Linfomi Non-Hodgkin, basato sul Dna (tecnica che rappresenta la nuova frontiera per la cura dei tumori).La scoperta si deve a Oscar Burrone, responsabile del laboratorio di Immunologia molecolare dell’Icgeb, che assieme a Mario Petrini, responsabile clinico della sperimentazione e direttore della divisione di Ematologia del dipartimento universitario di Oncologia all’ospedale Santa Caterina di Pisa, ha atteso per ben tre anni il via libera dell’Istituto superiore di sanità per la somministrazione di prova sui malati. Che, dopo attenta selezione, saranno 12.Un grande risultato, che mette Trieste all’avanguardia e soprattutto dimostra come la ricerca «alta» sia in grado di produrre risultati per la salute delle persone. Lo hanno spiegato ieri Mauro Giacca, direttore dell’Icgeb, e soprattutto Burrone, assieme a un collega di Pisa, Daniele Focosi. In estrema sintesi, con l’ingegneria genetica si è trovato il modo di curare e debellare singolarmente il linfoma con un intervento personalizzato, paziente per paziente, «perché ogni tumore ha il suo antigene specifico». Il vaccino è costruito per indurre la risposta immunitaria del corpo, di norma attuata da una proteina. In questo caso non si costruisce la proteina in laboratorio (cosa pur possibile) ma la si fa costruire dal corpo stesso, per maggiore efficacia del processo naturale.A Pisa saranno scelti i pazienti da sottoporre a sperimentazione. Verranno comunque curati in precedenza con terapie tradizionali e il vaccino sarà somministrato per debellare cellule residue o che si riformano. Tra sei mesi, calcolano ricercatori e medici, la prima «pistola» inoculerà il gene veicolato dall’oro. Tre anni, poi, per capire se il ritrovato genetico è privo di effetti tossici. Di linfoma Non-Hodgkin (scelto per sperimentare il vaccino perché già molto ben studiato nella sua morfologia cellulare) si ammalano ogni anno circa 5500 persone in Italia, l’indice è di 20 casi per 100 mila cittadini. È già stata contattata una ditta farmaceutica che potrebbe produrre il nuovo rivoluzionario farmaco, e si dice che avrebbe un costo inferiore rispetto agli attuali superfarmaci antitumorali.«Il metodo di somministrazione - dicono i ricercatori - è semplice, rapido, indolore, non ha bisogno di ricovero ospedaliero, non è rischioso». E già si pensa al dopo, naturalmente. A trovare altri vaccini di questo tipo, capaci di aggredire altri tumori. Tutto il mondo cerca, ma l’Icgeb sembra aver messo un pezzo importante sulla scacchiera. (g. z.)
TRIESTE Massimo ritardo previsto: 15 minuti. Altrimenti, scatta la multa. E non sarà di poco conto: 15mila euro per ogni decimo di punto percentuale di scostamento dalla media prevista. È una delle tante regole che Trenitalia si troverà a dover rispettare con il contratto di servizio in firma a breve tra Regione e società. Contratto che prevede parametri severi da rispettare per una serie di standard qualitativi.Il documento sarà siglato l'8 maggio, con un passaggio in giunta previsto per il 24 aprile, e porterà la Regione, prima in Italia dopo le province autonome di Trento e Bolzano, ad avere un contratto di servizio che prevede, tra le altre cose, la possibilità di rivalersi su Trenitalia nel caso di disfuzioni nei servizi regionali. «Si tratta di un contratto di servizio ponte – ha spiegato Riccardi, che ieri ha avuto l'incontro finale con le organizzazioni sindacali del Trasporto - di durata triennale, con la possibilità di una successiva proroga per un massimo di ulteriori tre anni e che appare sostanzialmente diverso da quello precedente, di subentro al posto dello Stato dopo le nuove competenze in materia di trasporto attribuite alla Regione Friuli Venezia Giulia».Venerdì prossimo, come detto, l'assessore lo porterà all'attenzione della giunta, con l'obiettivo di siglare il tutto il prossimo 8 maggio. Tre i cardini fondamentali, ha ricordato Riccardi, ovvero «investimenti, qualità del servizio e previsione di penali in caso di inadempienze contrattuali». Una di queste, come anticipato, è quella che riguarda i ritardi: il parametro «standard» prevede il 90,86% di treni con un possibile ritardo tra gli 0 e i 5 minuti, e il 97,72% di treni con un lasco tra i 6 e i 15 minuti. Se Trenitalia non rispetterà tali indici di puntualità, si vedrà affidare una multa di 15mila euro per ogni decimo di punto percentuale in più». Naturalmente si tratta di un indice fissato annualmente.«Si alza quindi l'asticella dei livelli di puntualità dei treni, della pulizia di vagoni e stazioni, del comfort delle carrozze, con la verifica di tali fattori e il reinvestimento delle eventuali penali in interventi ed attività migliorative del servizio» ha continuato l'assessore. Le multe potranno arrivare fino a un decimo del valore totale del contratto di servizio, calcolato sui 32,229 milioni di euro. Vengono inoltre confermati da parte di Trenitalia investimenti per circa 29 milioni di euro ("operativi" entro la fine del 2012), a cui si affiancheranno risorse regionali per circa 75 milioni di euro.Nell'accordo viene inoltre indicata la possibile utilizzazione da parte dei pendolari dotati di abbonamento (la Regione affida a loro il compito di "verifica" dei servizi) dei treni a lunga percorrenza previo pagamento di un'integrazione tariffaria, la conferma delle attuali biglietterie e l'incremento di quelle automatiche, nonché la partecipazione dell'utenza nella definizione degli orari. Le organizzazioni sindacali, da parte loro, hanno definito «buona e positiva» l'intesa.Intesa che però rappresenta solo il punto di partenza del processo di integrazione modale (cioè tra ferrovia, strada e mare) e tariffario del trasporto pubblico locale, nonché della revisione degli strumenti che regolano in Friuli Venezia Giulia questo tipo di trasporto. Infine, Riccardi e i sindacati hanno avanzato l'ipotesi di prorogare i contratti che regolano il servizio "su gomma" del Trasporto pubblico locale. La Regione potrebbe effettivamente valutare questa ipotesi avviando una contrattazione che regoli il servizio bus anche successivamente alla scadenza degli attuali contratti con le aziende concessionarie, previsto a fine 2010. «Una proroga ai vigenti contratti del Tpl su strada potrebbe rappresentare una soluzione nell'ambito del percorso verso un gestore unico strada+rotaia+mare», ha dichiarato Riccardi. (e.o.)
Triestina ko a Vicenza
Triestina ko a Vicenza
dall’inviatoCIRO ESPOSITO
VICENZA È stato il palcoscenico di tante battaglie. Ha cullato il giovane Paolo Rossi gioiello di un mitico Lanerossi (secondo in serie A). Ora il vecchio Menti si prepara ad andare in pensione. Vicenza avrà uno stadio nuovo e tutti sperano in un ritorno dei beniamini di casa nella massima serie. Ma per quest’anno un po’ a sorpresa è la Triestina che potrebbe coltivare sogni di promozione, mentre i biancorossi devono fare qualche punticino per non finire nella roulette dei play-out. Anzi l’Unione dopo la sconfitta di misura (la quinta su sette partite) vede quel sogno ridursi o addirittura tramontare. La Triestina meritava di pareggiare, ma ha perso. Ha giocato un primo tempo in modo positivo e con volontà nella ripresa. Ma non basta. Le occaioni ci sono state ma non un pallone è stato indirizzato comunque nello specchio della porta di Fortin (e il Vicenza ha fatto centro nell’unico tiro tra i pali). E poi l’Unione non ha saputo rimontare il gol subito in «zona Triestina» (45’ della prima frazione) e questo significa qualcosa, anzi molto. Alcuni uomini hanno poca benzina e la squadra non riesce a rimediare ai pasticci (questa volta tra Allegretti e Testini). Maran deve rinunciare a Rullo ed è costretto a schierare una difesa inedita (almeno dal 1’) con Gorgone a fare da terzino destro e Cacciatore a presidio della sinistra. Scelte praticamente inevitabili. La scelta più tecnica (anche se la «retrocessione» di Gorgone è influente) Maran la fa dalla cintola in su. Il tecnico affida il comando all’esperienza di Allegretti, ma lo sostiene con la presenza di Princivalli e Tabbiani, con Antonelli a fare l’incursore da destra. La finalizzazione della fase offensiva va sulle spalle di Testini e Granoche (preferito in extremis a Della Rocca bloccato da un leggero guaio muscolare).Nessuna sorpresa invece nelle file biancorosse con l’ex Sgrigna e Bjelanovic di punta con l’appoggio di Serafini. Forestieri e Margiotta partono in panchina. In difesa, davanti a Fortin, rientra rientrano Giani e Raimondi.La Triestina parte bene: ordinata a centrocampo e pronta a verticalizzare su Granoche mettendo in difficoltà i biancorossi. L’anima dei padroni di casa è Sgrigna che sulla sinistra punta e salta Gorgone, ma Antonelli spesso arretra a dargli una mano (Tabbiani sull’altra sponda fa lo stesso con Cacciatore). Al 6’ Bjelanovic gira alto un cross dell’ex alabardato e l’Unione risponde con Testini che all’8’ entra in area, ma spara in curva. Al 14’ Allegretti spara una bordata da 20 metri deviata in angolo. Al 25’ è ancora la Triestina a proiettarsi in avanti con una combinazione Testini-Granoche-Antonelli, ma quest’ultimo conclude male. Al 30’ Maran inverte i terzini, Cacciatore si mette sulla destra dove anche Botta si fa più intraprendente. Il Vicenza si fa vivo solo al 40’ con una diagonale di Morosini fuori dallo specchio della porta. I padroni di casa abbondano di imprecisione e il popolo del Menti si spazientisce. Ma la «zona Triestina» (gli ultimi minuti dei tempi) è in agguato. Allegretti appoggia in modo impreciso su Testini, Raimondi ruba palla e infila Agazzi (44’) con un rasoterra dal limite. Pronti-via e Serafini sbaglia al 1’ una facile occasione per il raddoppio. Il Vicenza prende coraggio, ma non riesce ad affondare. Maran porta Tabbiani a fare il terzino reinserendo Gorgone a centrocampo. Un azzardo da correre. Gli alabardati cercano di ragionare e al 15’ Granoche crea scompiglio in area biancorossa, ma sul contropiede Bjelanovic grazia Agazzi. Entra Ardemagni per uno stanco Antonelli. Gli alabardati fanno la partita, il Vicenza attende. Anche Tabbiani alla mezz’ora non ne ha più e Cia gli dà il cambio e la difesa diventa definitivamente a tre. Al 35’ Sgrigna suona la carica, dà una palla d’oro sulla destra a Rigoni che spreca il suggerimento. La Triestina si getta in avanti con la forza della disperazione. Un colpo di testa di Ardemagni alto è l’ultima speranza. E i play-off si allontanano.

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