Il Cavaliere ha celebrato la Liberazione a Onna, fra i terremotati d’Abruzzo, e ha proposto che la ricorrenza diventi «festa della Libertà»
L’appello di Cossiga da Porzûs: da qui parta la riconciliazione
Il governatore del Fvg a San Sabba
Il premier: no all’equiparazione fascisti-partigiani, Resistenza valore fondante.
Il Pd: ritiri il ddl su Salò
La cerimonia a Udine: «Nessuno sovverta la storia». Polemiche dal centro-destra
di ALESSANDRO CECIONI
L’AQUILA. Silvio Berlusconi si prende il 25 Aprile, loda il «sacrificio dei nostri partigiani», loda la «saggezza dei costituenti che riuscirono a superare le divisioni di partenza».
Cita Togliatti, De Gasperi, Parri, Nenni, Pertini e Terracini, fra loro due comunisti, e di che calibro. Poco prima, parlando della Resistenza, «valore fondante della Repubblica con il Risorgimento», aveva citato «comunisti e democristiani, socialisti e liberali, azionisti e monarchici», tutti uniti nel nome dell’antifascismo.E un discorso che guarda lontano, al Quirinale come approdo per il premier alla scadenza del mandato di Napolitano. Un discorso che sorprende, che spiazza. Fino a commuovere uno dei partigiani della Brigata Maiella che, alla fine, mette al collo del premier il fazzoletto tricolore simbolo del gruppo partigiano. Così, adesso, nell’album delle foto c’è anche quella che fino a pochi giorni fa sarebbe sembrata un fotomontaggio vale a dire il Berlusconi partigiano.Parole studiate, un testo a più mani, rigorosamente scritto, nel quale avrebbero messo del loro Cicchitto, Ferrara, Bonaiuti, lo stesso Berlusconi. Ma alcune frasi sul rispetto per tutte le vittime, scatenano polemiche. «Pietà anche per chi, credendosi nel giusto, ha combattuto per una causa persa», dice Berlusconi all’Altare della patria prima di partire per l’Abruzzo. Frase che Dario Franceschini, segretario del Partito democratico, non accetta.Anche perché in Parlamento è stata presentata dallo stesso Partito democratico una proposta di legge (a firma del socialista Barani) che istituisce un’onorificenza (con vitalizio) e mette sullo stesso piano partigiani, deportati, ex repubblichini. «Non si possono equiparare - dice Franceschini, anche lui in visita a Onna, mezz’ora prima di Berlusconi - il rispetto delle scelte delle persone, la pietà umana, sono una cosa, le vicende politiche un’altra».«Dobbiamo ricordare con rispetto tutti i caduti, anche chi ha combattuto dalla parte sbagliata, sacrificando la propria vita a una causa già persa. Questa non è neutralità o indifferenza - chiarisce Berlusconi arrivato a Onna per ricordare l’eccidio nazifascista dell’11 giugno del 1944 - perché tutti gli italiani stanno con chi ha combattuto per la patria».«Bene la correzione – gli risponde ancora Franceschini – ma ora per coerenza faccia ritirare dal suo gruppo parlamentare la proposta di legge».«Chi ha combattuto a Salò ha combattuto contro il nostro Paese», dice invece Massimo D’Alema. Schermaglie in fondo marginali. Il premier Berlusconi è infatti già oltre, vuol cambiare il nome al 25 aprile: «Sono maturi i tempi perché la festa della Liberazione diventi festa di Libertà e tolga quel carattere di contrapposizione che la cultura rivoluzionaria, lo dico senza polemica, gli ha dato».«Il nome non si tocca», replicherà Franceschini. Ma è sempre il presidente del consiglio a condurre i giochi: «Compito di tutti è costruire finalmente un sentimento nazionale unitario. Dobbiamo farlo tutti insieme, a prescindere dalle appartenenze politiche, per un nuovo inizio della democrazia repubblicana che porti il bene e l’interesse di tutti».Berlusconi evoca lo spirito dell’antifascismo come collante, ma se là il nemico era ben individuato, oggi non è chiaro quale sia.
Cita Togliatti, De Gasperi, Parri, Nenni, Pertini e Terracini, fra loro due comunisti, e di che calibro. Poco prima, parlando della Resistenza, «valore fondante della Repubblica con il Risorgimento», aveva citato «comunisti e democristiani, socialisti e liberali, azionisti e monarchici», tutti uniti nel nome dell’antifascismo.E un discorso che guarda lontano, al Quirinale come approdo per il premier alla scadenza del mandato di Napolitano. Un discorso che sorprende, che spiazza. Fino a commuovere uno dei partigiani della Brigata Maiella che, alla fine, mette al collo del premier il fazzoletto tricolore simbolo del gruppo partigiano. Così, adesso, nell’album delle foto c’è anche quella che fino a pochi giorni fa sarebbe sembrata un fotomontaggio vale a dire il Berlusconi partigiano.Parole studiate, un testo a più mani, rigorosamente scritto, nel quale avrebbero messo del loro Cicchitto, Ferrara, Bonaiuti, lo stesso Berlusconi. Ma alcune frasi sul rispetto per tutte le vittime, scatenano polemiche. «Pietà anche per chi, credendosi nel giusto, ha combattuto per una causa persa», dice Berlusconi all’Altare della patria prima di partire per l’Abruzzo. Frase che Dario Franceschini, segretario del Partito democratico, non accetta.Anche perché in Parlamento è stata presentata dallo stesso Partito democratico una proposta di legge (a firma del socialista Barani) che istituisce un’onorificenza (con vitalizio) e mette sullo stesso piano partigiani, deportati, ex repubblichini. «Non si possono equiparare - dice Franceschini, anche lui in visita a Onna, mezz’ora prima di Berlusconi - il rispetto delle scelte delle persone, la pietà umana, sono una cosa, le vicende politiche un’altra».«Dobbiamo ricordare con rispetto tutti i caduti, anche chi ha combattuto dalla parte sbagliata, sacrificando la propria vita a una causa già persa. Questa non è neutralità o indifferenza - chiarisce Berlusconi arrivato a Onna per ricordare l’eccidio nazifascista dell’11 giugno del 1944 - perché tutti gli italiani stanno con chi ha combattuto per la patria».«Bene la correzione – gli risponde ancora Franceschini – ma ora per coerenza faccia ritirare dal suo gruppo parlamentare la proposta di legge».«Chi ha combattuto a Salò ha combattuto contro il nostro Paese», dice invece Massimo D’Alema. Schermaglie in fondo marginali. Il premier Berlusconi è infatti già oltre, vuol cambiare il nome al 25 aprile: «Sono maturi i tempi perché la festa della Liberazione diventi festa di Libertà e tolga quel carattere di contrapposizione che la cultura rivoluzionaria, lo dico senza polemica, gli ha dato».«Il nome non si tocca», replicherà Franceschini. Ma è sempre il presidente del consiglio a condurre i giochi: «Compito di tutti è costruire finalmente un sentimento nazionale unitario. Dobbiamo farlo tutti insieme, a prescindere dalle appartenenze politiche, per un nuovo inizio della democrazia repubblicana che porti il bene e l’interesse di tutti».Berlusconi evoca lo spirito dell’antifascismo come collante, ma se là il nemico era ben individuato, oggi non è chiaro quale sia.
Udine Recuperati dai Cc un Tiepolo e un Quaglio Castello, sorveglianza sotto accusa ma il direttore dell’istituzione minimizza: il sistema funziona
Non solo le monete, ma anche i quadri. Dal castello di Udine – nei giorni scorsi – sparirono non solo le collezioni provenienti da zecche toscane che stavano per essere esposte in una mostra, ma anche due autentici capolavori: un “San Vincenzo Ferreri” di Giandomenico Tiepolo e la “Sacra famiglia in gloria” di Giulio Quaglio. Quadri del valore totale di 300 mila euro. Fortunatamente il patrimonio artistico della nostra città non ha subìto perdite perchè i carabinieri – nel giro di pochi giorni – sono riusciti a recuperare sia le monete, sia i dipinti (come anticipato ieri dal Messaggero Veneto). Ma non è ancora chiaro come sia stato possibile che qualcuno sia riuscito a uscire dal castello con i due quadri, facendosi beffe di qualunque tipo di sorveglianza. E se all’appello non manchino forse altri pezzi di valore.
Anche perché la mancanza dei quadri – che risalgono al XVII e XVIII secolo – non è stata notata subito. Se ne sono accorti i responsabili dei musei soltanto dopo che i carabinieri avevano già recuperato le monete. A quel punto, per gli uomini dell’Arma – guidati dal tenente Ruotolo – è stato naturale ripercorrere la stessa pista che aveva consentito di ritrovare le monete. È stato innanzitutto interpellato colui che è stato accusato di aver rubato le monete: un dipendente comunale, già occupato ai civici musei. E proprio grazie alla “pressione” esercitata su quest’ultimo i carabinieri sono riusciti a giungere a una casa situata nell’hinterland udinese. E in un fienile sono spuntati i quadri: erano nascosti in un cassone sottovuoto, sotto il fieno. Pronti probabilmente per essere venduti all’estero a qualche appassionato d’arte. Per ora è certo che oltre al dipendente comunale, già dipendente dei musei, sono coinvolte altre due persone. E se il primo, impossessatosi delle monete martedì mattina, è stato denunciato a piede libero per furto aggravato (anche per i due quadri), sulle altre due persone, che si trovano sempre a piede libero, grava l’ipotesi di ricettazione aggravata.Martedì scorso, nel giro di poche ore dopo la denuncia del furto in Castello, i carabinieri del Norm di Udine, - come ha spiegato ieri il colonello Giorgio Salomoni, comandante provinciale dei Cc - sono riusciti a individuare la persona sospetta del furto e a ritrovare le monete a casa di una seconda persona. Sempre a casa di questa altra persona, oltre alle 33 monete della collezione dei Civici musei, sono stati recuperati altri 42 quadri, sei monete d’oro rarissime e dal valore inestimabile, oltre ad alcune anfore.Quasi in contemporanea al ritrovamento dei vari beni, il direttore dei civici musei Maurizio Buora, sempre nella stessa giornata di martedì, denunciava la sparizione dei due preziosissimi quadri, di Giandomenico Tiepolo (valore stimato 250 mila euro) e Giulio Quaglio (50 mila euro), solitamente esposti in alcune sale del Castello. Quadri che però non erano nella casa dove era stato ritrovato il “tesoretto”. Forse era stato deciso di separarli dal resto delle opere trafugate non solo in castello. A questo punto, grazie a una intensa attività investigativa, i carabinieri venerdì sono riusciti a individuare dove potevano essere state occultate le due opere. E dopo un’approfondita perquisizione, quasi nel cuore della notte, i carabinieri del Norm di Udine si sono trovati di fronte, sotto un cumulo di fieno, a un contenitore a chiusura ermetica. Dentro, avvolti singolarmente in alcuni lenzuoli e poi in sacchi di cellophane (quasi a voler difendere i quadri dall’umido), le due opere, complete di cornice.
Anche perché la mancanza dei quadri – che risalgono al XVII e XVIII secolo – non è stata notata subito. Se ne sono accorti i responsabili dei musei soltanto dopo che i carabinieri avevano già recuperato le monete. A quel punto, per gli uomini dell’Arma – guidati dal tenente Ruotolo – è stato naturale ripercorrere la stessa pista che aveva consentito di ritrovare le monete. È stato innanzitutto interpellato colui che è stato accusato di aver rubato le monete: un dipendente comunale, già occupato ai civici musei. E proprio grazie alla “pressione” esercitata su quest’ultimo i carabinieri sono riusciti a giungere a una casa situata nell’hinterland udinese. E in un fienile sono spuntati i quadri: erano nascosti in un cassone sottovuoto, sotto il fieno. Pronti probabilmente per essere venduti all’estero a qualche appassionato d’arte. Per ora è certo che oltre al dipendente comunale, già dipendente dei musei, sono coinvolte altre due persone. E se il primo, impossessatosi delle monete martedì mattina, è stato denunciato a piede libero per furto aggravato (anche per i due quadri), sulle altre due persone, che si trovano sempre a piede libero, grava l’ipotesi di ricettazione aggravata.Martedì scorso, nel giro di poche ore dopo la denuncia del furto in Castello, i carabinieri del Norm di Udine, - come ha spiegato ieri il colonello Giorgio Salomoni, comandante provinciale dei Cc - sono riusciti a individuare la persona sospetta del furto e a ritrovare le monete a casa di una seconda persona. Sempre a casa di questa altra persona, oltre alle 33 monete della collezione dei Civici musei, sono stati recuperati altri 42 quadri, sei monete d’oro rarissime e dal valore inestimabile, oltre ad alcune anfore.Quasi in contemporanea al ritrovamento dei vari beni, il direttore dei civici musei Maurizio Buora, sempre nella stessa giornata di martedì, denunciava la sparizione dei due preziosissimi quadri, di Giandomenico Tiepolo (valore stimato 250 mila euro) e Giulio Quaglio (50 mila euro), solitamente esposti in alcune sale del Castello. Quadri che però non erano nella casa dove era stato ritrovato il “tesoretto”. Forse era stato deciso di separarli dal resto delle opere trafugate non solo in castello. A questo punto, grazie a una intensa attività investigativa, i carabinieri venerdì sono riusciti a individuare dove potevano essere state occultate le due opere. E dopo un’approfondita perquisizione, quasi nel cuore della notte, i carabinieri del Norm di Udine si sono trovati di fronte, sotto un cumulo di fieno, a un contenitore a chiusura ermetica. Dentro, avvolti singolarmente in alcuni lenzuoli e poi in sacchi di cellophane (quasi a voler difendere i quadri dall’umido), le due opere, complete di cornice.
Cambieranno le deleghe divise fra la Seganti Lenna, Violino e Ciriani
di TOMMASO CERNO
UDINE. Rivoluzione in vista per la giunta regionale. Il governatore del Friuli Venezia Giulia Renzo Tondo progetta, infatti, un rimpasto di deleghe. Obiettivo: creare un super-assessorato all’energia.
La riforma, che potrebbe partire entro poche settimane, prevede che le attuali deleghe – distribuite fra quattro assessori e lo stesso presidente della Regione – vengano trasferite in un unico referato. Operazione che potrebbe portare anche a un rimpasto di giunta, se non per i volti almeno per quanto riguarda le competenze dei dieci assessori del governo Tondo. «Il tema dell’energia è strategico per la Regione – spiega il governatore – e serve quindi affidare la gestione a una sola persona». Tondo non fa nomi, ma i boatos di Palazzo del Lloyd indicano un papabile su tutti per la nuova poltronissima: l’assessore alle infrastrutture Riccardo Riccardi, Pdl, vicecommissario della terza corsia, fedelissimo del presidente della Regione.Oggi la delega è divisa fra quattro uffici: Riccardi ha la titolarità dell’energia, ma non le competenze. Sul fotovoltaico, infatti, tema strategico per la giunta Tondo, le deleghe sono di Vanni Lenna, titolare dell’ambiente; per la pianificazione territoriale, tema strategico per i nuovi elettrodotti, il referato è affidato all’assessore Federica Seganti; e ancora per le biomasse la delega è attribuita all’assessore all’agricoltura Claudio Violino. Ma non è tutto. I rapporti con gli industriali sul tema energetico, una delle priorità per il Friuli Venezia Giulia, è in carico all’assessore alle attività produttive Luca Ciriani. Mentre i poteri per avviare cooperazioni internazionali, come nel caso del nucleare e della partecipazione del Friuli Vg al raddoppio del reattore sloveno di Krsko è in carico proprio al governatore.Un caos che rischia di rallentare se non addirittura far naufragare i progetti dell’esecutivo di centro-destra. Tanto che Tondo è pronto a mettere mano alla struttura della giunta anche a costo di perdere – lui stesso – le deleghe primarie in campo di energia. Una prima relazione sul caos generato dalla dispersione di deleghe è stata letta e discussa in giunta. E a giorni è previsto un nuovo summit sulla riforma delle deleghe. E se Riccardi resta in pole position per il nuovo super-assessorato, ancora da definire sono eventuali rimpasti di deleghe proprio in seguito alla creazione del nuovo referato “energia”. Un rimpastino che Tondo potrebbe estendere anche ad altre deleghe, visto che i punti critici dell’esecutivo sarebbero più d’uno.
OPPRESSORI E OPPRESSI
RESTA UN PASSO DA COMPIERE di VITTORIO EMILIANI
Per il primo anno, dopo un quindicennio, il centro-destra partecipa attivamente alla giornata del 25 aprile e per la prima volta riconosce «il valore fondante» della Resistenza per la nostra democrazia assieme al Risorgimento che fece l’unità d’Italia. Gianfranco Fini ha aperto in questi ultimi anni il percorso odierno, a partire, lui ex neofascista, dalla definizione del fascismo quale «male assoluto». Silvio Berlusconi – probabilmente anche per accreditarsi come possibile futuro presidente della Repubblica – ha deciso di celebrare pubblicamente, per la prima volta, la data storica della Liberazione del paese dal nazifascismo rinunciando all’equidistanza fra partigiani e combattenti di Salò sia pure nel rispetto per quanti caddero battendosi «in buona fede» contro coloro che stavano «dalla parte giusta», cioè i resistenti. Ha soltanto accennato a «errori e colpe» commessi anche dai partigiani e alla «cultura rivoluzionaria», senza però nominare i comunisti, suo bersaglio polemico costante. Ha infine proposto – e qui lo schieramento politico si è di nuovo diviso – che la festa della Liberazione diventi festa della Libertà. Dizione che non può piacere a quanti invece credono tuttora al valore storico profondo di quella Liberazione: dal nazifascismo, dalla dittatura mussoliniana, da un ventennio di sopraffazioni e di ingiustizie. Ricordiamolo in sintesi: 28.000 anni di carcere o confino irrogati a oltre 5.000 condannati politici, centinaia di esuli, abolizione delle elezioni di ogni grado, leggi razziali, espulsione da ogni ruolo pubblico dei non tesserati al Partito nazionale fascista, violenza e morte inflitte ad alcuni dei leader antifascisti più significativi.Certamente ha dato molti frutti, nel senso di una più solida unità nazionale nel segno della democrazia ricreata nel 1945, il lungo lavoro politico-culturale, la paziente semina operata dai tre ultimi presidenti della repubblica, Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Da quest’ultimo in particolare che, proprio alla vigilia, aveva con parole severe ammonito chi continua a denigrare la Resistenza. Lo stesso ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il quale pochi giorni or sono indugiava nel distinguo fra partigiani “buoni” e “cattivi”, ieri si è maggiormente allineato. A Berlusconi e al Pdl resta un passo fondamentale da compiere: ritirare il disegno di legge che vuole equiparare i combattenti di Salò ai partigiani, ai militari del Corpo di liberazione Nazionale e, rammentiamolo, ai 600.000 soldati e ai 30.000 ufficiali italiani i quali nei campi di concentramento nazisti soffrirono e in non pochi casi si spensero per aver rifiutato (cosa che ha destato ammirazione fra gli storici tedeschi) l’adesione alla repubblica mussoliniana alleata supina della Germania hitleriana.Un conto è avere rispetto e pietà per i cosiddetti ragazzi di Salò. Un altro equipararli nella storia a quanti si batterono per la libertà, per la democrazia, per la giustizia sociale, rischiando o patendo violenze, torture o addirittura morte. Ed erano, sovente, giovani, neppure ventenni, donne e uomini.«Se credete nella libertà democratica, in cui, nei limiti della Costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica (...), se desiderate che la facoltà di eleggere sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro paese (...), dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare. Oggi bisogna combattere l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti. Ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo e che eviti il risorgere di essi e il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su noi». Così scriveva agli amici, in una lunga, straordinaria lettera (quasi un manifesto politico) un partigiano di soli 19 anni, lo studente universitario Giacomo Ulivi di Parma, fucilato sulla piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944 da un plotone della Guardia nazionale repubblicana. Alla madre, arrestata e torturata, chiese scusa per averla fatta soffrire. «Io spero che tempi migliori giungeranno». L’abbiamo sperato e lo speriamo tutti.
Udine Chiusa, invece, la grande distribuzione e pure Billa, dopo il “caso Pasquetta”, non ha lavorato
Molti negozi del centro storico sono rimasti aperti nonostante fosse il 25 aprile
di GIACOMINA PELLIZZARI
Chi pensava che sabato 25 aprile non fosse la giornata ideale per lo shopping, ieri, ha dovuto ricredersi. Molti i negozi aperti in centro storico, tutti hanno convenuto che ne è valsa la pena. La gente c’era, tanto da trasformare la festa della Liberazione in un sabato normale. Tutto ciò senza violare la legge regionale sul commercio.
Soddisfatti i commercianti che hanno deciso di alzare le serrande, tant’è che alcuni oggi replicano. Proprio perché la legge regionale consente nelle feste canoniche l’apertura in deroga dei negozi situati in centro storico, quello di ieri è stato un classico esempio di come si può contrastare la concorrenza dei centri commerciali che, nella festa della Liberazione, hanno rispettato il divieto di apertura. Anche il supermercato Billa sanzionato a Pasquetta ha preferito rinunciare all’apertura.Tutto in regola insomma. Bastava percorrere le vie del centro per rendersene conto. Dopo le 16 il centro pullulava di gente che, complice la bella giornata, conversava tranquillamente all’esterno dei bar ed entrava volentieri nei negozi. «Il 25 aprile si è rivelato un sabato normale, valeva la pena tenere aperto» commenta il vice presidente mandamentale della Confcommercio, Gianni Croatto, convinto che le aperture festive riescono se a monte c’è una programmazione. «Dipende anche da come cadono» insiste Croatto «è evidente che il sabato è sempre una buona giornata».Un ragionamento, questo, condiviso pure dagli altri commercianti che ieri hanno alzato le serrande. La stragrande maggioranza visto che in pochi hanno deciso diversamente. Tra questi ultimi Sportler, la cui filosofia è che certe festività vanno rispettate, e alcuni negozi storici come Tonini casa e abbigliamento. Mazzoleni, invece, ha approfittato per dare spazio alla sfilata degli abiti nuziali che oltre a richiamare l’attenzione del pubblico ha contribuito a creare un’atmosfera festiva.Tra la gente anche diversi stranieri soprattutto austriaci che a quanto pare hanno ripreso a frequentare Udine. Ma pure i visitatori del Far east film che la sera precedente avevano vivacizzato la notte gialla che, però, dal punto di vista commerciale non ha ricevuto il riscontro sperato. «Venerdì sera era preferibile chiudere alle 19.30 per riaprire alle 22.30 fino a mezzanotte» continua il vice presidente mandamentale della Confcommercio, secondo il quale la notte gialla ha scontato l’assenza di iniziative collaterali nelle diverse piazze.Sull’onda del Far east festival, comunque, anche oggi alcuni negozi resteranno aperti nonostante la Confcommercio, su questa giornata, non scommetta alcunché. «Domani (oggi ndr) ci sarà più calma» conclude Croatto prima di ricordare che per far rivivere Udine basta poco, magari qualche parcheggio in più. Ecco perché i commercianti hanno chiesto alla Ssm di sperimentare l’apertura notturna, gratuita, del parcheggio Magrini.
Soddisfatti i commercianti che hanno deciso di alzare le serrande, tant’è che alcuni oggi replicano. Proprio perché la legge regionale consente nelle feste canoniche l’apertura in deroga dei negozi situati in centro storico, quello di ieri è stato un classico esempio di come si può contrastare la concorrenza dei centri commerciali che, nella festa della Liberazione, hanno rispettato il divieto di apertura. Anche il supermercato Billa sanzionato a Pasquetta ha preferito rinunciare all’apertura.Tutto in regola insomma. Bastava percorrere le vie del centro per rendersene conto. Dopo le 16 il centro pullulava di gente che, complice la bella giornata, conversava tranquillamente all’esterno dei bar ed entrava volentieri nei negozi. «Il 25 aprile si è rivelato un sabato normale, valeva la pena tenere aperto» commenta il vice presidente mandamentale della Confcommercio, Gianni Croatto, convinto che le aperture festive riescono se a monte c’è una programmazione. «Dipende anche da come cadono» insiste Croatto «è evidente che il sabato è sempre una buona giornata».Un ragionamento, questo, condiviso pure dagli altri commercianti che ieri hanno alzato le serrande. La stragrande maggioranza visto che in pochi hanno deciso diversamente. Tra questi ultimi Sportler, la cui filosofia è che certe festività vanno rispettate, e alcuni negozi storici come Tonini casa e abbigliamento. Mazzoleni, invece, ha approfittato per dare spazio alla sfilata degli abiti nuziali che oltre a richiamare l’attenzione del pubblico ha contribuito a creare un’atmosfera festiva.Tra la gente anche diversi stranieri soprattutto austriaci che a quanto pare hanno ripreso a frequentare Udine. Ma pure i visitatori del Far east film che la sera precedente avevano vivacizzato la notte gialla che, però, dal punto di vista commerciale non ha ricevuto il riscontro sperato. «Venerdì sera era preferibile chiudere alle 19.30 per riaprire alle 22.30 fino a mezzanotte» continua il vice presidente mandamentale della Confcommercio, secondo il quale la notte gialla ha scontato l’assenza di iniziative collaterali nelle diverse piazze.Sull’onda del Far east festival, comunque, anche oggi alcuni negozi resteranno aperti nonostante la Confcommercio, su questa giornata, non scommetta alcunché. «Domani (oggi ndr) ci sarà più calma» conclude Croatto prima di ricordare che per far rivivere Udine basta poco, magari qualche parcheggio in più. Ecco perché i commercianti hanno chiesto alla Ssm di sperimentare l’apertura notturna, gratuita, del parcheggio Magrini.
Camino Passaggio della Pattuglia per rendere omaggio al maggiore
Folla ai funerali dell’ufficiale morto in un incidente in moto
CAMINO AL TAGLIAMENTO. Un immenso fiume di gente ha attraversato, commosso, le strade di Camino ieri, per salutare Stefano Commisso, il giovane ufficiale dell’Aeronautica che ha perso la vita tragicamente mercoledì notte in un incidente stradale nei pressi di Como. La formazione della Pattuglia acrobatica nazionale si è levata in volo e ha sorvolato la chiesa parrocchiale tracciato in cielo il segno della croce con il fumo tricolore.
Fin dal primo pomeriggio si sono visti arrivare numerosi pullman provenienti dai luoghi in cui Stefano Commisso aveva prestato servizio come ufficiale. Numerose le autorità civili, militari, religiose, le associazioni d’Arma e di volontariato con i labari. Tantissimi i commilitoni, gli amici e la gente che la chiesa non è riuscita a contenere. La salma era stata esposta in chiesa sin dalle 14, onorata dal picchetto del Comando Nazionale dell’Aeronautica Militare Italiana. È stata poi portata a spalle dai colleghi fino al piazzale antistante la chiesa, dove una folla silenziosa e ancora incredula non è riuscita a contenere l’emozione che si è fatta acutissima nel momento del sorvolo delle Frecce Tricolori. Sul caloroso applauso nato spontaneo tra la gente è sceso poi il silenzio. Un silenzio lungo, quasi irreale, rotto soltanto dal suono della tromba che ha siglato i momenti più forti della cerimonia funebre, officiata da sette parroci: Don Saverio, Don Riccardo, Don Luigi, Don Daniele, Padre Antonio e Don Albino, cappellani militari, e dall’arciprete di Camino, Don Antonio.Nell’omelia, Don Antonio ha rivolto un pensiero al grande dolore dei familiari e a quanta forza ci voglia per sopportarlo. Ha ringraziato Dio per le qualità di Stefano, un giovane che si è reso apostolo nella spontaneità, nell’ allegria, nella solarità. La preghiera dell’Aviatore, recitata da un collega, ha conferito un altro particolare momento carico di emozione che si è ancor più dilatata al suono della tromba che intonava il “Silenzio”.Numerose motociclette parcheggiate ad ala davanti alla chiesa hanno accompagnato l’ingresso del corteo funebre in cimitero con la voce dei loro motori roboanti, spinti a tutto gas. Voleva essere l’ultimo saluto a Stefano, 36 anni di passione pura per i motori, sia di terra che di cielo.La famiglia Commisso devolverà le offerte raccolte a Don Renzo Narduzzi, di origine caminese e parroco di Santa Maria Paganica a L’Aquila, dove il terremoto ha completamente distrutto la chiesa risalente al 1300 e la canonica.Pierina Gallina
Fin dal primo pomeriggio si sono visti arrivare numerosi pullman provenienti dai luoghi in cui Stefano Commisso aveva prestato servizio come ufficiale. Numerose le autorità civili, militari, religiose, le associazioni d’Arma e di volontariato con i labari. Tantissimi i commilitoni, gli amici e la gente che la chiesa non è riuscita a contenere. La salma era stata esposta in chiesa sin dalle 14, onorata dal picchetto del Comando Nazionale dell’Aeronautica Militare Italiana. È stata poi portata a spalle dai colleghi fino al piazzale antistante la chiesa, dove una folla silenziosa e ancora incredula non è riuscita a contenere l’emozione che si è fatta acutissima nel momento del sorvolo delle Frecce Tricolori. Sul caloroso applauso nato spontaneo tra la gente è sceso poi il silenzio. Un silenzio lungo, quasi irreale, rotto soltanto dal suono della tromba che ha siglato i momenti più forti della cerimonia funebre, officiata da sette parroci: Don Saverio, Don Riccardo, Don Luigi, Don Daniele, Padre Antonio e Don Albino, cappellani militari, e dall’arciprete di Camino, Don Antonio.Nell’omelia, Don Antonio ha rivolto un pensiero al grande dolore dei familiari e a quanta forza ci voglia per sopportarlo. Ha ringraziato Dio per le qualità di Stefano, un giovane che si è reso apostolo nella spontaneità, nell’ allegria, nella solarità. La preghiera dell’Aviatore, recitata da un collega, ha conferito un altro particolare momento carico di emozione che si è ancor più dilatata al suono della tromba che intonava il “Silenzio”.Numerose motociclette parcheggiate ad ala davanti alla chiesa hanno accompagnato l’ingresso del corteo funebre in cimitero con la voce dei loro motori roboanti, spinti a tutto gas. Voleva essere l’ultimo saluto a Stefano, 36 anni di passione pura per i motori, sia di terra che di cielo.La famiglia Commisso devolverà le offerte raccolte a Don Renzo Narduzzi, di origine caminese e parroco di Santa Maria Paganica a L’Aquila, dove il terremoto ha completamente distrutto la chiesa risalente al 1300 e la canonica.Pierina Gallina
LE OPERAZIONI CHRYSLER E OPEL
ROMA. Dossier Fiat-Chrysler al rush finale. Mancano, infatti, cinque giorni alla scadenza del 30 aprile, posta dal presidente Barack Obama per un’intesa che consenta la concessione di aiuti di Stato alla casa automobilistica di Detroit. Accordo fatto, intanto, tra Chrysler e sindacato canadese Caw per l’abbattimento del costo del lavoro, nell’intento di evitare la bancarotta. Da Bruxelles intanto la Commissione Ue, attraverso il suo portavoce, afferma che valuterà «tutti i dossier che le saranno eventualmente sottoposti nel quadro delle sue competenze e funzioni in modo obiettivo e imparziale». Dopo le reazioni alle dichiarazioni del commissario all'industria Guenter Verheugen «a nome della Commissione, il presidente della Commissione garantisce questo approccio collegiale e rigoroso», assicura l’Ue. Negli ultimi cinque giorni che restano all’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, per raggiungere un’intesa con Chrysler, il Tesoro statunitense starebbe mettendo a punto un provvedimento “Chapter 11”, una sorta di bancarotta pilotata, che permetterebbe a Chrysler di liberarsi di alcune voci di bilancio in passivo, permettendo al Lingotto di scegliere le parti più redditizie della casa d’auto statunitense. «Gli Stati Uniti credono che la proposta di Fiat sia di alto livello» ha affermato il ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, mentre il collega al Lavoro, Maurizio Sacconi, ritiene che «ci siano le condizioni perchè la Fiat sia soggetto attivo nei processi di riorganizzazione mondiale dell’industria dell’auto» e «quanto più è soggetto attivo, tanto più è possibile valorizzare le sue capacità produttive e quindi i siti produttivi», che darebbero garanzie anche agli stabilimenti Fiat di Termini Imerese e Pomigliano d’Arco.«I processi di riorganizzazione - ha aggiunto - vanno effettuati dando valore ai siti che valgono e i nostri siti hanno qualità produttiva. Eventualmente vanno sostenuti da una logistica esterna». Tornando all’accordo tra la Chrysler e il sindacato canadese, che sarà sottoposto al giudizio dei lavoratori nel prossimo week end, è una delle molte intese che la società dovrà raggiungere entro la prossima settimana per aggiudicarsi nuovi aiuti dal governo americano ed evitare la liquidazione. «I rappresentanti della Chrysler - ha detto il leader sindacale Ken Lewenza - ci hanno detto che non ci sono ancora tutti i numeri per evitare il fallimento. Perciò facciamo appello a tutti gli azionisti negli Stati Uniti - ha aggiunto - perchè i sacrifici siano equamente distribuiti». La Chrysler, che ha continuato a produrre fino all'inizio dell'anno grazie ad un prestito da 4 miliardi di dollari da parte del governo Usa, entro il 30 aprile deve siglare l'alleanza con Fiat per ottenere concessioni dai propri creditori e dai sindacati, pena un taglio dei finanziamenti governativi. Senza l’accordo con il Lingotto, invece, ci sarebbe la strada della liquidazione, con le attività vendute a vari potenziali compratori, o la chiusura della casa di Detroit, che dà lavoro a circa 66.000 dipendenti. «La Fiat traccia l’audace strada per l'impero» ha titolato oggi l'International Herald Tribune un articolo sulla strategia del Lingotto sui fronti Chrysler e General Motors. Marchionne, sottolinea l’Iht, «ha a lungo sostenuto che Fiat ha bisogno di essere molto più grande se vuole essere molto più profittevole, producendo tra 5,5 e 6 milioni di auto l’anno, contro gli attuali 2,2 milioni. Insieme, Fiat, Opel e Chrysler sfornerebbero quasi 6 milioni di auto l’anno, centrando con precisione l’obiettivo di Marchionne».
MORTI IN MESSICO, CALIFORNIA E TEXAS
di NATALIA ANDREANI
ROMA. E’ un mostro a tre teste l’ultimo incubo dell’Organizzazione mondiale della sanità, un incrocio tra virus responsabili dell’influenza umana, aviaria e suina. Un virus "oriundo", mezzo nordamericano e mezzo eurasiatico, "potenzialmente pandemico" che in Messico ha già fatto 62 morti, ha scavalcato il confine con Texas e California e potrebbe in fretta attraversare gli oceani. «La situazione è seria e va seguita con grande attenzione», ha dichiarato ieri da Ginevra il direttore dell’Oms, Margaret Chan. Parole confermate in serata dal Centro per il controllo delle malattie trasmissibili di Atlanta: «E’ chiaro che non possiamo contenere il contagio», ha detto la direttrice Anne Schuchat. E il portavoce della Casa Bianca, Red Cherlin, ha detto che l’amministrazione Obama sta seguendo da vicino la situazione. Ue al sicuro. Nell’Ue al momento non è segnalato nessun focolaio di infezione. Ieri c’è stata anche una teleconferenza fra i tecnici dei ministeri della Salute dei 27 per predisporre misure comuni. Per ora non sono state disposte restrizioni ai viaggi internazionali. A riunirsi d’urgenza anche i 15 esperti convocati dall’Oms. Una riunione servita a presentare gli aggiornamenti sui casi di Messico e Stati Uniti e fare il punto sulle indagini in corso. «Stiamo cercando di capire la pericolosità del virus. Si tratta di un’infezione nuova e in questi casi la situazione evolve rapidamente», ha rimarcato la dottoressa Chan chiedendo a tutti i Paesi di innalzare il livello di attenzione. Al microscopio. Il responsabile del contagio letale si chiama A-H1N1. Un virus ibrido, sinora mai rilevato né negli uomini né nei maiali, che ha allarmato sia gli esperti dei laboratori del Cdc di Atlanta, il centro prevenzione delle malattie trasmissibili più famoso del mondo, che i loro colleghi canadesi. Il virus contiene infatti segmenti genetici che vegono da altri quattro virus: quelli dell’influenza suina e dell’influenza aviaria del Nord America, quello dell’influenza umana e quello dell’influenza suina Eurasiatica. Di fatto «un cocktail che si è realizzato nel corso di una serie di passaggi e di trasformazioni genetiche», spiega il professor Pietro Crovari, epidemiologo dell’istituto di Medicina preventita dell’Università di Genova. «Un cocktail sicuramente nuovo e largamente sconosciuto al sistema immunitario umano», aggiunge Crovari. Nessun rischio dal cibo. L’infezione si sta trasmettendo da uomo a uomo con una velocità e una facilità di gran lunga superiori a quelle dell’aviara e i sintomi avvertiti possono essere quelli di una robusta influenza tradizionale: febbre alta, tosse, letargia, difficoltà respiratorie, e in qualche caso vomito e diarrea. Al contrario, assicura il Cdc, il virus non può essere trasmesso per via alimentare. Ciò significa che mangiare carne suina cotta, o derivati del maiale, non presenta alcun rischio. Il maiale habitat. Il suino sarebbe stato, però, il crogiuolo in cui i quattro diversi virus sono riusciti a fondersi acquistando nuove caratteristiche e nuove capacità. I timori di un riassortimento in grado di provocare una pandemia risalgono d’altra parte al 1997, anno in cui la cosiddetta influenza dei polli fece la sua comparsa ad Hong Kong. I virologi di tutto il mondo dissero allora che era «solo una questione di tempo» dando per scontata la comparsa di un virus mutato in grado di infettare l’uomo.
UNA MOSTRA A MATERA
di GILBERTO GANZER
Non è solo il destino di essere il primogenito, ma Dino Basaldella (1909-1977) con i fratelli Mirko e Afro sarà sempre un “perno” di confronto e “conforto”, pur senza ingerenza nella loro ricerca e nei loro individuali percorsi. Quasi comune è poi la prima identità formativa veneta e “romana” attraverso la ricerca di un “primordio” che, ci informa magistralmente Levi Strauss, «è il confronto con gli antichi come una forma di antropologia latente».
Se Cagli, cui si riferiranno i fratelli nel periodo romano, innestava la ricerca su un classico che era termine di comparazione, per giungere alle possibilità espressive e creative piú diverse, Dino la vivrà come rinnovamento di una vitalità linguistica per un processo rigenerativo generale. Approdando nel ferro, affrontava un metallo “genuino”, intimamente associato alla simbologia mitologico-ritualistica, che per sua stessa origine materica è rudimentale e primitiva.Mirko scandagliò miti e tradizioni in un ritorno ritmico di presenze inaspettate e sorprendenti, nella comparazione tra la nostra cultura e le altre; cosí Afro nella sua rigorosa disciplina di interiore contemplazione. Dino, a differenza dei fratelli, avrebbe operato piú direttamente con l’ambiente friulano contribuendo allo svecchiamento della sua realtà artistica con un linguaggio che avrebbe superato un “dannunzianesimo” ancora diffuso, in un’Italia che paragonava Bistolfi a Michelangelo. Certo bisognava aver coraggio per muovere contro la “muraglia cinese” della scultura ufficiale. Se la pittura infatti era innestata nella rivoluzione futurista, la scultura riponeva fiducia ancora nelle appaganti nostalgie ottocentesche.Alla mostra sindacale del 1931 presentava già un coraggioso ritratto dell’amico Sandro Filipponi, evidenziando un’esaltazione materica che era fine ricerca “artigianale” ed emozionale. Nel 1935 alla Quadriennale romana presentava il suo “Pescatore” (acquistato dalla Galleria d’arte moderna di Roma) una consacrazione che lo spingerà a una ricerca espressiva che contiene le possibilità potenziali del divenire nella materia e della sua “sostanza”, quando gli viene data una forma. Ricerca che lo coinvolgerà per tutta la vita. Maturerà cosí una pagina di riflessioni sulla corporeità che sarà veicolo per raggiungere una relazione tra materia e quella speranza liberatrice dalla sua stessa natura. Premessa per un travaglio interiore che lo porterà a un nuovo rapporto con il fare, riespresso attraverso la ricerca di un mito primigenio, pagano, dove «si può star di fronte agli dei, come una persona sta di fronte a un’altra», avrebbe detto Spengler. Questo corrispondere all’uso di una materia rudimentale e primitiva come il ferro dove l’artista è il mediatore e il riscopritore di un’identità che è all’origine di lui stesso.Un mondo “barbarico” chiamato anche ”longobardo”, ma che è in fondo una terra dove viaggiare e riconoscere presenze che sono storia e memoria, in una ritrovata sorpresa di una metafisica che si sostanzia attraverso la forma.Rigorosa resta la sua disciplina interiore che è pure espressa attraverso gli strumenti di lavoro ben conosciuti e dominati per attivare un progetto e sostenere il vivo rapporto con le fonti del pensiero creativo. «Le sculture cosí come la pittura – diceva Dino – non hanno piú il compito di narrare, ma quello di rivelare questo contenuto oggettivo della realtà il quale oggi non può essere espresso in concetti o in oggetti, ma soltanto in forma o colori». E dal 1961 il suo peso espressivo si confronterà nelle piú importanti gallerie americane sino alla Biennale di Venezia del 1964. Qui lui trova gli strumenti linguistici «per liberare il suo idioma denso, asciutto e la sua energia dialettale e quasi regionale», dirà di lui E. Villa. Un’energia espressa anche negli assemblages astratti dove esalterà rottami logori accentuandone la forza e la potenza strutturale. Del ’64 è lo “Spartaco e la Tangente sullo Stasimo” e un anno dopo “L’orecchio”, una produzione che si concreterà nell’importante esposizione del ’67 alla galleria Sagittaria di Pordenone sino alla grande mostra del 1975 a Trieste.La sua attività artistica si accompagnò a quella didattica da Gemona a Udine, dall’Accademia Carrara alla prestigiosa cattedra dell’Accademia di Brera a Milano, palestre per incitare a procedere nelle capacità individuali dei discenti in un arricchimento che non transigeva dall’esperienza del “fare” o meglio del “saper fare” materico.I suoi simboli, passati attraverso la forma e le schematizzazioni geometriche, giungeranno a una purificazione spaziale che avrebbe giocato sempre piú con la luce. Relitti affioranti di una civiltà primigenia dove spicca la forza e il mestiere, o costruzioni fuori dal tempo in un “nomadismo culturale” che ora verrà riproposto nella grande esposizione di Dino Basaldella a Matera, dal 13 giugno al 3 ottobre 2009, in occasione del centenario della nascita e curata da Giuseppe Appella e allestita da Alberto Zanmatti. Una mostra promossa dal Circolo la Scaletta insieme al Comune di Matera e al Musma (Museo della scultura contemporanea) con il sostegno della Regione della Basilicata e della Provincia, che rende all’artista i meriti del suo potere creativo e del suo individualismo “umanistico”.Un artista che, come nell’invocazione dello Zarathustra di Nietzsche, «non buttò mai via l’eroe della propria anima».
Non è solo il destino di essere il primogenito, ma Dino Basaldella (1909-1977) con i fratelli Mirko e Afro sarà sempre un “perno” di confronto e “conforto”, pur senza ingerenza nella loro ricerca e nei loro individuali percorsi. Quasi comune è poi la prima identità formativa veneta e “romana” attraverso la ricerca di un “primordio” che, ci informa magistralmente Levi Strauss, «è il confronto con gli antichi come una forma di antropologia latente».
Se Cagli, cui si riferiranno i fratelli nel periodo romano, innestava la ricerca su un classico che era termine di comparazione, per giungere alle possibilità espressive e creative piú diverse, Dino la vivrà come rinnovamento di una vitalità linguistica per un processo rigenerativo generale. Approdando nel ferro, affrontava un metallo “genuino”, intimamente associato alla simbologia mitologico-ritualistica, che per sua stessa origine materica è rudimentale e primitiva.Mirko scandagliò miti e tradizioni in un ritorno ritmico di presenze inaspettate e sorprendenti, nella comparazione tra la nostra cultura e le altre; cosí Afro nella sua rigorosa disciplina di interiore contemplazione. Dino, a differenza dei fratelli, avrebbe operato piú direttamente con l’ambiente friulano contribuendo allo svecchiamento della sua realtà artistica con un linguaggio che avrebbe superato un “dannunzianesimo” ancora diffuso, in un’Italia che paragonava Bistolfi a Michelangelo. Certo bisognava aver coraggio per muovere contro la “muraglia cinese” della scultura ufficiale. Se la pittura infatti era innestata nella rivoluzione futurista, la scultura riponeva fiducia ancora nelle appaganti nostalgie ottocentesche.Alla mostra sindacale del 1931 presentava già un coraggioso ritratto dell’amico Sandro Filipponi, evidenziando un’esaltazione materica che era fine ricerca “artigianale” ed emozionale. Nel 1935 alla Quadriennale romana presentava il suo “Pescatore” (acquistato dalla Galleria d’arte moderna di Roma) una consacrazione che lo spingerà a una ricerca espressiva che contiene le possibilità potenziali del divenire nella materia e della sua “sostanza”, quando gli viene data una forma. Ricerca che lo coinvolgerà per tutta la vita. Maturerà cosí una pagina di riflessioni sulla corporeità che sarà veicolo per raggiungere una relazione tra materia e quella speranza liberatrice dalla sua stessa natura. Premessa per un travaglio interiore che lo porterà a un nuovo rapporto con il fare, riespresso attraverso la ricerca di un mito primigenio, pagano, dove «si può star di fronte agli dei, come una persona sta di fronte a un’altra», avrebbe detto Spengler. Questo corrispondere all’uso di una materia rudimentale e primitiva come il ferro dove l’artista è il mediatore e il riscopritore di un’identità che è all’origine di lui stesso.Un mondo “barbarico” chiamato anche ”longobardo”, ma che è in fondo una terra dove viaggiare e riconoscere presenze che sono storia e memoria, in una ritrovata sorpresa di una metafisica che si sostanzia attraverso la forma.Rigorosa resta la sua disciplina interiore che è pure espressa attraverso gli strumenti di lavoro ben conosciuti e dominati per attivare un progetto e sostenere il vivo rapporto con le fonti del pensiero creativo. «Le sculture cosí come la pittura – diceva Dino – non hanno piú il compito di narrare, ma quello di rivelare questo contenuto oggettivo della realtà il quale oggi non può essere espresso in concetti o in oggetti, ma soltanto in forma o colori». E dal 1961 il suo peso espressivo si confronterà nelle piú importanti gallerie americane sino alla Biennale di Venezia del 1964. Qui lui trova gli strumenti linguistici «per liberare il suo idioma denso, asciutto e la sua energia dialettale e quasi regionale», dirà di lui E. Villa. Un’energia espressa anche negli assemblages astratti dove esalterà rottami logori accentuandone la forza e la potenza strutturale. Del ’64 è lo “Spartaco e la Tangente sullo Stasimo” e un anno dopo “L’orecchio”, una produzione che si concreterà nell’importante esposizione del ’67 alla galleria Sagittaria di Pordenone sino alla grande mostra del 1975 a Trieste.La sua attività artistica si accompagnò a quella didattica da Gemona a Udine, dall’Accademia Carrara alla prestigiosa cattedra dell’Accademia di Brera a Milano, palestre per incitare a procedere nelle capacità individuali dei discenti in un arricchimento che non transigeva dall’esperienza del “fare” o meglio del “saper fare” materico.I suoi simboli, passati attraverso la forma e le schematizzazioni geometriche, giungeranno a una purificazione spaziale che avrebbe giocato sempre piú con la luce. Relitti affioranti di una civiltà primigenia dove spicca la forza e il mestiere, o costruzioni fuori dal tempo in un “nomadismo culturale” che ora verrà riproposto nella grande esposizione di Dino Basaldella a Matera, dal 13 giugno al 3 ottobre 2009, in occasione del centenario della nascita e curata da Giuseppe Appella e allestita da Alberto Zanmatti. Una mostra promossa dal Circolo la Scaletta insieme al Comune di Matera e al Musma (Museo della scultura contemporanea) con il sostegno della Regione della Basilicata e della Provincia, che rende all’artista i meriti del suo potere creativo e del suo individualismo “umanistico”.Un artista che, come nell’invocazione dello Zarathustra di Nietzsche, «non buttò mai via l’eroe della propria anima».
L’IMPRESA DELLA SQUADRA DI RUGBY
Serie A
Alghero-Hafro Udine10-24
I Cavalieri Prato-Firenze47-5
San Marco-Livorno33-20
San Donà-L’Aquilaoggi
Colorno-Laziooggi
Piacenza-Amatori Milanooggi
I Cavalieri Prato 93; Mantovani Lazio 80; L’Aquila Rugby 71; Blugeo Colorno 66; Marchiol San Marco 52; Orved San Donà 41; Livorno 39; Amatori Milano e Hafro Udine 37; Termoraggi Piacenza 35; Giunti Firenze 28; Novaco Alghero 19.La situazione: Giunti Firenze e Novaco Alghero matematicamente retrocessi.
NOVACO ALGHERO-HAFRO UDINE 10-24
NOVACO ALGHERO Aimi, Lorenzini, Braschi, Ferrari (Gaffo), Peana (Chiumento), Kelly, Ainley, Hill, Usai (Girelli), Breitenbach, Simon (Molo), Paco, Capponi, Marchetto, Martinez (Bonetti). All. Haygen.
HAFRO UDINE Merlo, Picogna, Calcagno, Boston, Robuschi (Dobini - Rossi), Lentini (Carlo Simionato), Flagiello, Castrogiovanni (Fagnani), Cremascoli (Toniolo), Zampiron, Giacomini, Gianangeli (Montani), Pucillo, Cook (Valentino Simionato), Colaiuda. All. Muraro.
ARBITRO Laube di Milano.
MARCATORI All’11’ cp Ainley, al 42’ meta Cappoli tr Ainley; nella ripresa, al 5’ cp Merlo, al 18’ meta Robuschi tr Merlo, al 37’ meta Zampiron tr Merlo, al 47’ meta Picillo tr Merlo.
NOTE Cartellino giallo per Robuschi. Man of the match: Zampiron.
ALGHERO. Con un secondo tempo stratosferico, l’Hafro Udine riesce nell’impresa di rovesciare il 10-0 del primo tempo e chiude alla grande per 24 a 10 garantendosi con le proprie forze la matematica salvezza in serie A di rugby, grazie anche al contemporaneo ko del Giunti Firenze con i Cavalieri Prato per 47-5.È stata una bella partita che l’Hafro ha saputo condurre in porto con la saldezza del nervi e con una preparazione fisica che ha alla fine ha fatto la differenza. Coach Moraro conferma il quindici iniziale che aveva sconfitto il Colorno e recupera Dubini e Toniolo. Purtroppo la vittoria è costata cara: frattura scomposta a una mano per Castrogiovanni, distorsione al ginocchio per Dubini, problemi muscolari per Robuschi e riacutizzarsi del dolore alla spalla per Cook.La cronaca. L’Hafro inizia bene pur con vento contrario con Boston prima e Cook dopo fermati in estremis, ma l’Alghero nonostante la già matematica retrocessione rialza la testa e al 9’ va vicino alla meta, ma è bravissimo Picogna a chiudere ogni varco. Fasi alterne a centrocampo, poi all’11’ l’Alghero sfrutta con un preciso calcio di punizione un fuorigioco dei bianconeri e porta i sardi in vantaggio. I sardi insistono ma l’Hafro si difende con i denti e con il cuore. Al 15’ clamoroso palo di Ainley al quale risponde Merlo con un difficile calcio di punizione che si stampa sulla traversa.Al 21’ bella partenza e successivo break di Castrogiovanni che viene fermato in odor di meta. Al 26’ e al 29’ Ainley fallisce per due volte l’allungo e i bianconeri respirano. L’Hafro sembra sul punto di crollare ma si difende bene. Al 40’ cartellino giallo per Robuschi e l’Alghero con un uomo in più ne aprofitta e dopo quattro rack consecutive va in meta di forza con Capponi.Nella ripresa l’Alghero parte decisa per chiudere la partita e già al 3’ va vicino alla meta, brava la difesa udinese che recupera il pallone, imposta un contrattacco, palla a Picogna, successivo break, calcio lungo ma nel tentativo di recuperare il pallone commette fallo e l’occasione sfuma.Al 5’ i tuttineri accorciano con Merlo che centra i pali da lunga distanza. Ancora Hafro in avanti con una splendida azione, ma l’ultimo passaggio è in avanti. Al 12’ i tuttineri ancora vicini alla meta con Calcagno placcato negli ultimi dieci metri, la meta però è nell’area e al 18’, dopo una veloce azione alla mano dei trequarti, Robuschi brucia tutti in velocità concludendo al centro dei pali.Hafro in netto crescendo prima con Merlo che calcia di poco a lato e poi con Robuschi fermato in odor di meta. L’Alghero tenta una timida reazione ma non riesce a superare la metà campo; ancora Picogna vicino alla meta ma l’ultimo rimbalzo lo tradisce. Il vantaggio però arriva al 37’ con Zampiron che riesce a stoppare il calcio di liberazione di Ainley, recupera il pallone e manda a centro pali.La terza meta arriva in pieno recupero con Picillo che, dopo cinque rack consecutive, segna di potenza, Merlo trasforma e tutto finisce con la squadra che esulta a centrocampo per la salvezza raggiunta con le proprie forze.
ALGHERO. Con un secondo tempo stratosferico, l’Hafro Udine riesce nell’impresa di rovesciare il 10-0 del primo tempo e chiude alla grande per 24 a 10 garantendosi con le proprie forze la matematica salvezza in serie A di rugby, grazie anche al contemporaneo ko del Giunti Firenze con i Cavalieri Prato per 47-5.È stata una bella partita che l’Hafro ha saputo condurre in porto con la saldezza del nervi e con una preparazione fisica che ha alla fine ha fatto la differenza. Coach Moraro conferma il quindici iniziale che aveva sconfitto il Colorno e recupera Dubini e Toniolo. Purtroppo la vittoria è costata cara: frattura scomposta a una mano per Castrogiovanni, distorsione al ginocchio per Dubini, problemi muscolari per Robuschi e riacutizzarsi del dolore alla spalla per Cook.La cronaca. L’Hafro inizia bene pur con vento contrario con Boston prima e Cook dopo fermati in estremis, ma l’Alghero nonostante la già matematica retrocessione rialza la testa e al 9’ va vicino alla meta, ma è bravissimo Picogna a chiudere ogni varco. Fasi alterne a centrocampo, poi all’11’ l’Alghero sfrutta con un preciso calcio di punizione un fuorigioco dei bianconeri e porta i sardi in vantaggio. I sardi insistono ma l’Hafro si difende con i denti e con il cuore. Al 15’ clamoroso palo di Ainley al quale risponde Merlo con un difficile calcio di punizione che si stampa sulla traversa.Al 21’ bella partenza e successivo break di Castrogiovanni che viene fermato in odor di meta. Al 26’ e al 29’ Ainley fallisce per due volte l’allungo e i bianconeri respirano. L’Hafro sembra sul punto di crollare ma si difende bene. Al 40’ cartellino giallo per Robuschi e l’Alghero con un uomo in più ne aprofitta e dopo quattro rack consecutive va in meta di forza con Capponi.Nella ripresa l’Alghero parte decisa per chiudere la partita e già al 3’ va vicino alla meta, brava la difesa udinese che recupera il pallone, imposta un contrattacco, palla a Picogna, successivo break, calcio lungo ma nel tentativo di recuperare il pallone commette fallo e l’occasione sfuma.Al 5’ i tuttineri accorciano con Merlo che centra i pali da lunga distanza. Ancora Hafro in avanti con una splendida azione, ma l’ultimo passaggio è in avanti. Al 12’ i tuttineri ancora vicini alla meta con Calcagno placcato negli ultimi dieci metri, la meta però è nell’area e al 18’, dopo una veloce azione alla mano dei trequarti, Robuschi brucia tutti in velocità concludendo al centro dei pali.Hafro in netto crescendo prima con Merlo che calcia di poco a lato e poi con Robuschi fermato in odor di meta. L’Alghero tenta una timida reazione ma non riesce a superare la metà campo; ancora Picogna vicino alla meta ma l’ultimo rimbalzo lo tradisce. Il vantaggio però arriva al 37’ con Zampiron che riesce a stoppare il calcio di liberazione di Ainley, recupera il pallone e manda a centro pali.La terza meta arriva in pieno recupero con Picillo che, dopo cinque rack consecutive, segna di potenza, Merlo trasforma e tutto finisce con la squadra che esulta a centrocampo per la salvezza raggiunta con le proprie forze.
Doppietta di D’Agostino, nel primo tempo su rigore e nel recupero il secondo gol dopo il pari veronese
dall’inviato PIETRO OLEOTTO
VERONA. Saluti e baci da Verona. La cartolina Giampaolo Pozzo la invia prima della partita, piombando in ritiro e confermando Pasquale Marino per dare un taglio alle indiscrezioni sull’ingaggio di Gigi Del Neri. Nel tardo pomeriggio, quando D’Agostino segna su rigore e in piena zona Cesarini per battere il Chievo, il patron non è neppure allo stadio Bentegodi: il suo lui l’ha fatto. Ha tracciato le prime linee dell’Udinese che sarà, quella del prossimo anno, dando la spinta anche all’Udinese di adesso, in piena rimonta: con tanto carattere, una prestazione a due volti e un pizzico di buona sorte, quella che era mancata nelle trasferte contro Roma e Genoa.
CHIEVO - UDINESE 1-2 (0-1)
CHIEVO (4-3-1-2) Squizzi, Frey, Morero, Yepes, Mantovani, Italiano (10’ st Luciano), Rigoni, Marcolini (32’ st Langella), Pinzi (36’ st Colucci), Bogdani, Pellissier. (Aldegani, Sardo, Mandelli, Esposito). All. Di Carlo.
UDINESE (4-3-3) Handanovic, Isla (34’ st Domizzi), Zapata, Felipe, Pasquale (44’ st Obodo), Inler, D’Agostino, Asamoah, Pepe (15’ st Lukovic), Quagliarella, Sanchez. (Belardi, Ighalo, Zimling, Floro Flores). All. Marino.
ARBITRO Celi di Campobasso.
MARCATORI Al 34’ D’Agostino su rigore; nella ripresa, al 25’ Pellissier, al 47’ D’Agostino.
NOTE Spettatori: 10.821 per un incasso di 90.640,36 euro. Espulso: al 48’ st Langella per gioco violento. Ammoniti: Morero e Inler per gioco falloso, Yepes per proteste. Angoli: 11-5 per il Chievo. Recupero: 0’ e 4’.
La svolta l’altra sera, probabilmente quando a Pozzo sono state riportate le dichiarazioni di un Marino in netta difficoltà, manco fosse ripiombato nel periodo nero, quello dei tre punti in undici partite. Così il patron è arrivato al “Tower” di Bussolengo, quartier generale dell’Udinese, con un chiaro intento: tranquillizzare il tecnico e suonare la carica alla squadra, cosa puntualmente fatta ieri mattina. Tutti concetti che poi Pozzo ha ribadito ai microfoni di “Radio Kiss Kiss”, emittente radiofonica napoletana che ha spesso agganciato l’azionista di riferimento dell’Udinese, fin dai tempi del vociferato trasferimento del patron sul Golfo. «Fanno tante chiacchiere su Pasquale Marino, ma garantisco che il nostro tecnico ha un contratto per altri quattro anni e quindi rimarrà con noi. Non abbiamo alcuna intenzione di cambiarlo». A Napoli, poi, vogliono sapere se davvero Pierpaolo Marino ha la possibilità di ritornare in Friuli come dg e per questo è scattata la seconda domanda, sul futuro di Pietro Leonardi: «Non so se resterà a Udine, ho sentito anch’io queste voci che lo vogliono a Parma». Al resto ha provveduto lo stesso Leonardi, nel dopopartita (come si può leggere nell’altra pagina), dopo 90 minuti vibranti e a due facce che accendono la miccia del “pazzo” progetto Udinese: arrivare vicino a quei 57 punti che sono stati il bottino della scorsa stagione, la prima della gestione Marino (Pasquale). Vincendo quattro delle ultime cinque partite, l’obiettivo verrebbe raggiunto, mettendo la sordina così anche ai detrattori più instancabili, pur se l’Europa resterebbe – a meno di clamorosi ribaltoni – un sogno da rimandare a un’altra stagione.E con un’altra squadra. Anche se c’è da augurarsi che le partenze pesanti siano poche. Pochissime. Così si potrebbe migliorare il rendimento di una formazione che troppe volte dà vita a una partita ad alti e bassi. Com’è successo ieri a Verona. Dove nel primo tempo, al di là di un rigore sacrosanto (che solo le “maschere” del Chievo non hanno riconosciuto tale), l’Udinese avrebbe potuto chiudere con un vantaggio netto, mentre nella ripresa sono stati i veronesi a fare la partita e a prendere a pallate il buon Handanovic, trasformando tuttavia una sola azione in gol. Lì, sul pareggio, il Chievo non si è voluto accontentare, staccando la spina del gioco (forse perché la salvezza non è ancora matematica, ma praticamente certa); lì l’Udinese ha dato l’ultima “botta” con D’Agostino, a tempo scaduto, facendo perdere il lume della ragione a qualche gialloblù, che a partita finita è andato a chiedere spiegazioni – diciamo così – al regista bianconero. Chissà, forse avrebbe voluto un pallone in tribuna per veder volare i Mussi. Che tristezza.
La svolta l’altra sera, probabilmente quando a Pozzo sono state riportate le dichiarazioni di un Marino in netta difficoltà, manco fosse ripiombato nel periodo nero, quello dei tre punti in undici partite. Così il patron è arrivato al “Tower” di Bussolengo, quartier generale dell’Udinese, con un chiaro intento: tranquillizzare il tecnico e suonare la carica alla squadra, cosa puntualmente fatta ieri mattina. Tutti concetti che poi Pozzo ha ribadito ai microfoni di “Radio Kiss Kiss”, emittente radiofonica napoletana che ha spesso agganciato l’azionista di riferimento dell’Udinese, fin dai tempi del vociferato trasferimento del patron sul Golfo. «Fanno tante chiacchiere su Pasquale Marino, ma garantisco che il nostro tecnico ha un contratto per altri quattro anni e quindi rimarrà con noi. Non abbiamo alcuna intenzione di cambiarlo». A Napoli, poi, vogliono sapere se davvero Pierpaolo Marino ha la possibilità di ritornare in Friuli come dg e per questo è scattata la seconda domanda, sul futuro di Pietro Leonardi: «Non so se resterà a Udine, ho sentito anch’io queste voci che lo vogliono a Parma». Al resto ha provveduto lo stesso Leonardi, nel dopopartita (come si può leggere nell’altra pagina), dopo 90 minuti vibranti e a due facce che accendono la miccia del “pazzo” progetto Udinese: arrivare vicino a quei 57 punti che sono stati il bottino della scorsa stagione, la prima della gestione Marino (Pasquale). Vincendo quattro delle ultime cinque partite, l’obiettivo verrebbe raggiunto, mettendo la sordina così anche ai detrattori più instancabili, pur se l’Europa resterebbe – a meno di clamorosi ribaltoni – un sogno da rimandare a un’altra stagione.E con un’altra squadra. Anche se c’è da augurarsi che le partenze pesanti siano poche. Pochissime. Così si potrebbe migliorare il rendimento di una formazione che troppe volte dà vita a una partita ad alti e bassi. Com’è successo ieri a Verona. Dove nel primo tempo, al di là di un rigore sacrosanto (che solo le “maschere” del Chievo non hanno riconosciuto tale), l’Udinese avrebbe potuto chiudere con un vantaggio netto, mentre nella ripresa sono stati i veronesi a fare la partita e a prendere a pallate il buon Handanovic, trasformando tuttavia una sola azione in gol. Lì, sul pareggio, il Chievo non si è voluto accontentare, staccando la spina del gioco (forse perché la salvezza non è ancora matematica, ma praticamente certa); lì l’Udinese ha dato l’ultima “botta” con D’Agostino, a tempo scaduto, facendo perdere il lume della ragione a qualche gialloblù, che a partita finita è andato a chiedere spiegazioni – diciamo così – al regista bianconero. Chissà, forse avrebbe voluto un pallone in tribuna per veder volare i Mussi. Che tristezza.
LE CANDIDATURE PER LE EUROPEE
SOTTO IL PARTITO NIENTE di FRANCESCO JORI
Sotto il partito niente. Le candidature che stanno maturando per le europee e le amministrative di giugno mettono impietosamente a nudo il vuoto che si è creato nei luoghi della politica, dietro le targhe affisse sui portoni: per i modi e le logiche che le ispirano, prima ancora che per i nomi. E il Nord-Est non solo non si sottrae a questa deriva, ma anzi ne rappresenta il caso più vistoso. Lo è con il Pd, che riesce a esprimere il capolista più infelice possibile: perché Luigi Berlinguer non è un leader; perché è l’antitesi del rinnovamento.Perché dalla scuola elementare all’università è inviso a quella categoria degli insegnanti che rappresenta uno dei serbatoi residuali di voto del centro-sinistra. E dove il partito vuole dare un segno di cambiamento legato ai giovani si affida a una quasi quarantenne come Debora Serracchiani, la cui popolarità è dovuta all’aver fatto un bel discorso a un convegno, in cui tra l’altro se l’è presa con il partito che la candida. Ma neppure il Pdl manda segnali meno sconfortanti: perché s’impegola per mesi in una mediocre partita a scacchi in cui la logica delle compensazioni tra componenti interne e tra cariche prevale nettamente sulla valutazione della qualità delle persone e del loro legame col territorio. E perché alla fine, come da statuto del partito (articoli 15 e 25), è il capo che decide tutto (vedi il caso friulano delle europee, non il solo); a momenti pure come si deve vestire il candidato.Hanno fatto in fretta a dimenticarsi, tutti quanti, delle lucide analisi e dei serrati mea culpa di pochi mesi fa: quando, all’indomani delle politiche, di fronte ai risultati a nord del Po (una mazzata pure per il Pdl), di colpo scoprirono l’importanza del territorio, anzi la necessità inderogabile del suo primato. Quando ci sono posti in palio, le vecchie logiche tornano a galla e non c’è da stupirsene, perché sono cambiati i nomi dei partiti, ma a decidere alla fine sono gli stessi che c’erano prima: 20, 30, 40 anni fa... I criteri non cambiano: un tot di anziani in servizio permanente, una spruzzata di giovani peraltro rigorosamente cooptati, fedeltà ai sempiterni leader. Su tutto, cipria in quantità più o meno industriali, specie in un Pdl che dei volti telegenici fa un criterio cardine (le “Berlusconi babes”), perché quel che conta è acchiappare mazzi di voti per potersi poi contare nell’infinita partita a briscola della politica italiana, in cui peraltro non manca il contentino neppure per i due di coppe. Ma l’ennesimo pateracchio delle candidature mette anche a nudo l’inconsistenza e la debolezza delle classi dirigenti locali, incapaci sia di selezionare nomi di spessore che di proporli/imporli ai vertici nazionali: il no all’Europa di due figure di peso come il veneto Flavio Zanonato (Pd) e il friulano Roberto Dipiazza (Pdl), entrambi sindaci, ha aperto la finestra sul vuoto pneumatico che sta dietro. Pochi, magari, ma dei leader esistono; sono le squadre che mancano. E quando comunque i capi decidono la selezione da Roma o da Milano, gli esclusi in periferia insorgono, minacciando il consueto florilegio di liste civiche: sintomo di personalismi esasperati, certo, ma anche dell’incapacità dei vertici di garantire all’interno dei rispettivi partiti un collante identitario.Così, alla fine, non resta che rigirarsi mestamente tra le mani una domanda posta nel suo ultimo libro da Marc Lazar, politologo francese che ci conosce bene: e se il nuovo che avanza nella politica italiana fosse solo il vecchio che sopravvive a se stesso? Con il sospetto che l’unica cosa sbagliata, in quel giudizio, sia il punto interrogativo.
BASILIANO
di LUANA DE FRANCISCO
Quando l’antifurto satellitare lo ha avvertito, alle 22.17 di venerdì, Giuseppe Sciascia stava per andare a dormire. Stanco morto dopo una lunga giornata di lavoro. E quando, un’oretta dopo, è arrivato nel deposito preso in affitto a Basiliano, due dei suoi tre mezzi erano già distrutti. Divorati dalle fiamme appiccate da qualche balordo. Almeno due gli autori, secondo i primi esiti delle indagini condotte dalla Polizia. «Mai ricevuto minacce – ha detto il titolare della ditta, la “Autotrasporti Sciascia” –, ma non escludo sia stato qualche altro terzista infastidito dalla concorrenza». Chiunque sia l’autore, sapeva bene che lo “scherzetto” sarebbe costato caro al proprietario: l’autobetoniera, cioè la macchina andata completamente distrutta, costa 120 mila euro, mentre l’autopompa, gravemente danneggiata dalla parte della cabina, vale 320 mila euro (tutte le macchine sono comunque assicurate) e per sistemarla il proprietario ha ipotizzato una spesa di circa 60 mila euro. É stato soltanto grazie all’intervento dei Vigili del fuoco, giunti sul posto con l’autopompa e l’autobotte, se i danni al secondo mezzo sono stati limitati. E, ancor prima, a una passante che, notate le fiamme, ha prontamente contattato il 115, se la stessa sorte non è toccata anche al terzo mezzo. «Probabilmente – ha affermato Sciascia –, sentendosi disturbati, i responsabili sono scappati prima di completare l’opera». L’ipotesi di un’origine dolosa dell’incendio si è fatta strada fin da subito. Le tre macchine sono parcheggiate in un’area recintata che la Calcestruzzi Zillo, per la quale il padroncino lavora, gli ha affittato in comodato: due su un lato, una sull’altro, a circa cinque metri di distanza l’una dall’altra. Le fiamme, quindi, non avrebbero potuto propagarsi da un mezzo all’altro. «Per appiccare l’incendio – continua Sciascia – è verosimile che siano stati spaccati i vetri e che ci sia stata buttata dentro della benzina». Per spegnerlo, invece, i pompieri hanno usato anche la schiuma, la sostanza più indicata in presenza di materiali plastici, gomma e olio idraulico. Sarà il sopralluogo che i vigili del fuoco effettueranno domani sui due mezzi posti sotto sequestro, comunque, a fare maggiore chiarezza sulla dinamica dell’episodio. Ieri, intanto, è stata la Polizia a tentare di dare una prima ricostruzione ai fatti e a cercare, nelle impronte trovate sul posto, in via delle Case 1, a Basiliano, indizi utili all’identificazione dei responsabili. Presa per buona la pista del dolo, tuttavia, resta il mistero sull’identità degli autori. L’unica cosa certa è che ad agire sarebbero state almeno due persone. A lungo ascoltato sia nella notte di venerdì, sia nella mattinata di ieri, infatti, il titolare della ditta ha affermato di non avere alcun sospetto. «Non ho mai fatto del male a nessuno, nè ho mai ricevuto minacce di alcun genere – ha affermato Sciascia –. Men che meno nel mio lavoro, visto che non sono certo io, per quanto terzista, a decidere cosa fare e quanto essere pagato». Nato ad Agrigento 41 anni fa, Giuseppe Sciascia risiede in Friuli dall’86, dove è arrivato come sottufficiale degli Alpini. Vive a San Daniele con la moglie, che lo aiuta nella contabilità della ditta e che a sua volta non ha mai ricevuto minacce di alcun tipo, e oltre che a Basiliano, lavora per altre due aziende a Cividale e San Vito al Tagliamento. «Non ricordo di aver mai avuto screzi con chicchessia – dice –. Ma è anche vero che il momento è difficile per tutti e che la concorrenza è grande». Nel cantiere di Basiliano, dal dicembre scorso, è arrivata la Calcestruzzi Zillo. «Prima c’era la Unical – spiega –. La nuova azienda ha acquisito il cantiere e assorbito dipendenti e terzisti. Ebbene, l’unica cosa che mi vien da pensare è che qualche altro terzista già presente all’interno della Zillo possa essersi infastidito del nostro ingresso, per paura di vedere persa una fetta di lavoro».
CARLINO
CARLINO
CARLINO. Si apre uno spiraglio nella vicenda legata alla contestata delibera consiliare sul Pac, il cui invalidamento blocca la realizzazione del laminatoio per il quale le Officine Tecnosider hanno predisposto un progetto da 40 milioni di euro, con 175 posti di lavoro tra diretti ed indiretti.
Potrebbe essere avviato un iter che, in breve, potrebbe portare a un nuovo voto. Per giungere a ciò, è necessaria una modifica all’articolo 17 del regolamento comunale. L’articolo in questione è quello che stabilisce che per tale votazione è necessaria la maggioranza assoluta, cosa che non si è verificata a Carlino, “invalidando” di fatto la decisione del consiglio. Decisione, peraltro, certificata anche dalla Regione. Una volta modificato l’articolo dello statuto, dunque, si può passare al voto«Se per il sindaco e il suo gruppo di maggioranza ancora oggi la questione Pac è importante, vista l’eccezionalità che la vicenda riveste per lo sviluppo socio economico del nostro territorio, senza fraintendimenti di statuto ne disattenzioni o alibi, - afferma il consigliere di maggioranza Francesco Buda - lo invitiamo a riconvocare il consiglio con urgenza, porre all’odg la modifica dell’articolo 17 del regolamento, rendendo immediata la possibilità di decidere in merito al Pac».Secondo Buda, «alla disattenzione della norma statutaria c’è ancora la possibilità di rimediare, in quanto per noi rimane inammissibile che si possa perdere un’opportunità di rilancio economico della comunità, in quanto oltre al danno, essere contrari o “demonizzare” l’imprenditoria che viene a Carlino per creare i quanto mai necessari posti di lavoro e ricchezza stante anche l’indotto che si verrebbe a determinare, significa perdere un’occasione unica in un momento di crisi economica e lavorative».Infine, in merito all’astensione dal voto sul Pac del suo gruppo Buda precisa: «È già stata spiegata chiaramente in consiglio e riguardava la scarsa informazione data ai cittadini da parte di chi avrebbe dovuto farlo e non contro chi crea posti di lavoro e ricchezza per la comunità. nel rispetto delle leggi e normative comunali esistenti. L’opposizione dichiara vittoria per l’esito della votazione? Dati alla mano non scoppierebbe nessuna bomba ambientale né sanitaria».
Potrebbe essere avviato un iter che, in breve, potrebbe portare a un nuovo voto. Per giungere a ciò, è necessaria una modifica all’articolo 17 del regolamento comunale. L’articolo in questione è quello che stabilisce che per tale votazione è necessaria la maggioranza assoluta, cosa che non si è verificata a Carlino, “invalidando” di fatto la decisione del consiglio. Decisione, peraltro, certificata anche dalla Regione. Una volta modificato l’articolo dello statuto, dunque, si può passare al voto«Se per il sindaco e il suo gruppo di maggioranza ancora oggi la questione Pac è importante, vista l’eccezionalità che la vicenda riveste per lo sviluppo socio economico del nostro territorio, senza fraintendimenti di statuto ne disattenzioni o alibi, - afferma il consigliere di maggioranza Francesco Buda - lo invitiamo a riconvocare il consiglio con urgenza, porre all’odg la modifica dell’articolo 17 del regolamento, rendendo immediata la possibilità di decidere in merito al Pac».Secondo Buda, «alla disattenzione della norma statutaria c’è ancora la possibilità di rimediare, in quanto per noi rimane inammissibile che si possa perdere un’opportunità di rilancio economico della comunità, in quanto oltre al danno, essere contrari o “demonizzare” l’imprenditoria che viene a Carlino per creare i quanto mai necessari posti di lavoro e ricchezza stante anche l’indotto che si verrebbe a determinare, significa perdere un’occasione unica in un momento di crisi economica e lavorative».Infine, in merito all’astensione dal voto sul Pac del suo gruppo Buda precisa: «È già stata spiegata chiaramente in consiglio e riguardava la scarsa informazione data ai cittadini da parte di chi avrebbe dovuto farlo e non contro chi crea posti di lavoro e ricchezza per la comunità. nel rispetto delle leggi e normative comunali esistenti. L’opposizione dichiara vittoria per l’esito della votazione? Dati alla mano non scoppierebbe nessuna bomba ambientale né sanitaria».
CIVIDALE
CIVIDALE. Si avvicina, ormai il momento della consegna del progetto generale di ristrutturazione e di adeguamento del corpo centrale dell’ospedale cividalese – che nelle scorse settimane ha già vissuto una svolta significativa, con l’attivazione del nuovo reparto di nefrologia e dialisi –, nel frattempo, importanti novità si profilano per un altro settore della sanità cittadina, ovvero il Centro di salute mentale, una struttura che, attualmente, è accolta dall’edificio che un tempo ospitava la Casa per anziani, in viale Trieste.
È ormai certo, infatti, che la struttura – attorno alla quale gravitano oltre 700 utenti da tutto il mandamento, con una presenza quotidiana di diverse decine di unità – abbandonerà la formula del servizio esclusivamente diurno per diventare operativa sulle 24 ore: le istanze avanzate, in tal senso, dall’assemblea dei sindaci dell’Ambito socio assistenziale del Cividalese sono state accolte dall’Ass 4 Medio Friuli, «che ha stanziato allo scopo – ha annunciato il sindaco Attilio Vuga nella seduta di consiglio di giovedì pomeriggio, nell’ambito della risposta alla consueta interrogazione del consigliere Domenico Pinto sullo stato della realtà ospedaliera cittadina - la somma di un milione 800 mila euro». Tale importo non verrà utilizzato per adeguare, in vista dell’ampliamento della funzionalità del Centro, i locali esistenti, bensì per edificare ex novo un complesso da destinare allo stesso in via esclusiva. «Ci sono stati contatti fra Comune e Ass 4 – ha reso noto il sindaco – per individuare un’area idonea ad ospitare il complesso». Fase, quest’ultima, che parrebbe ormai conclusa: l’edificio sarebbe destinato a sorgere, in base alle decisioni di Comune, appunto, e Azienda, su uno spazio pubblico vicino al polo ospedaliero.L’operazione dovrebbe venire effettuata in tempi rapidi. «Già nei prossimi mesi – ha anticipato sempre Vuga – il progetto del futuro Centro di salute mentale attivo sulle 24 ore dovrebbe approdare in consiglio comunale, per l’approvazione. Si stima che entro un paio d’anni la struttura sia pronta». Nello spazio riservato alle interrogazioni sono affiorati, comunque, numerosi altri spunti. Rientra nel novero l’argomento del servizio di trasporto pubblico urbano: la lista Valori in comune aveva auspicato un’estensione della tratta a vantaggio della borgata di Grupignano, dove si caldeggiava anche il posizionamento di una pensilina. «Il potenziamento del servizio è in programma – ha spiegato il sindaco –: si vorrebbe allargarlo a tre-quattro mattine a settimana, coinvolgendo, appunto, anche la frazione di Grupignano. È inoltre prossima l’installazione di una serie di pensiline in corrispondenza delle fermate: grazie ad un contributo provinciale ne potremo impiantare 13, nell’arco di due anni. Sette verranno posizionate a breve, e una sarà collocata proprio a Grupignano». Lucia Aviani
È ormai certo, infatti, che la struttura – attorno alla quale gravitano oltre 700 utenti da tutto il mandamento, con una presenza quotidiana di diverse decine di unità – abbandonerà la formula del servizio esclusivamente diurno per diventare operativa sulle 24 ore: le istanze avanzate, in tal senso, dall’assemblea dei sindaci dell’Ambito socio assistenziale del Cividalese sono state accolte dall’Ass 4 Medio Friuli, «che ha stanziato allo scopo – ha annunciato il sindaco Attilio Vuga nella seduta di consiglio di giovedì pomeriggio, nell’ambito della risposta alla consueta interrogazione del consigliere Domenico Pinto sullo stato della realtà ospedaliera cittadina - la somma di un milione 800 mila euro». Tale importo non verrà utilizzato per adeguare, in vista dell’ampliamento della funzionalità del Centro, i locali esistenti, bensì per edificare ex novo un complesso da destinare allo stesso in via esclusiva. «Ci sono stati contatti fra Comune e Ass 4 – ha reso noto il sindaco – per individuare un’area idonea ad ospitare il complesso». Fase, quest’ultima, che parrebbe ormai conclusa: l’edificio sarebbe destinato a sorgere, in base alle decisioni di Comune, appunto, e Azienda, su uno spazio pubblico vicino al polo ospedaliero.L’operazione dovrebbe venire effettuata in tempi rapidi. «Già nei prossimi mesi – ha anticipato sempre Vuga – il progetto del futuro Centro di salute mentale attivo sulle 24 ore dovrebbe approdare in consiglio comunale, per l’approvazione. Si stima che entro un paio d’anni la struttura sia pronta». Nello spazio riservato alle interrogazioni sono affiorati, comunque, numerosi altri spunti. Rientra nel novero l’argomento del servizio di trasporto pubblico urbano: la lista Valori in comune aveva auspicato un’estensione della tratta a vantaggio della borgata di Grupignano, dove si caldeggiava anche il posizionamento di una pensilina. «Il potenziamento del servizio è in programma – ha spiegato il sindaco –: si vorrebbe allargarlo a tre-quattro mattine a settimana, coinvolgendo, appunto, anche la frazione di Grupignano. È inoltre prossima l’installazione di una serie di pensiline in corrispondenza delle fermate: grazie ad un contributo provinciale ne potremo impiantare 13, nell’arco di due anni. Sette verranno posizionate a breve, e una sarà collocata proprio a Grupignano». Lucia Aviani
UDINE
Udinese muore d’infarto sul monte Nedis in Carnia. Luciano Barbina 73 anni di Udine è deceduto ieri pomeriggio sui monti della Carnia mentre con alcuni amici stava effettuando una passeggiata sui sentieri poco a monte di Castel Valdajer in comune di Ligosullo. La comitiva udinese aveva approfittato della bella giornata per una scampagnata fuoriporta, un’escursione facile, senza difficoltà alpinistiche.Verso le 15 Barbina ha avvertito un malessere e si è accasciato al suolo, i suoi compagni di gita hanno immediatamente dato l’allarme al 118, sono state allertate le squadre del soccorso alpino del Cnsas di Forni Avoltri, i carabinieri e la guardia di finanza di Tolmezzo. Sul posto è intervenuto dapprima l’elicottero della protezione civile poi, dopo aver effettuato un intervento in un’altra località è giunto pure l’elicottero del 118. I sanitari però non hanno potuto fare altro che constatare la morte dell’anziano escursionista per un presunto collasso cardio-circolatorio.La salma di Barbina è stata quindi recuperata dalle squadre del soccorso alpino e trasportata nella camera mortuaria del cimitero di Ligosullo a disposizione delle autorità che dovranno rilasciare il necessario nullaosta per la sua sepoltura.Gino Grillo

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