domenica 19 aprile 2009

RASSEGNA STAMPA: IL PICCOLO


REGIONI SPECIALI NEL MIRINO
Ma il presidente della Paritetica Collino: «Non serve più se rimane sulla carta»
TRIESTE «Se la specialità è soltanto una cosa scritta sulla carta allora ha ragione Brunetta». Giovanni Collino, presidente della Commissione paritetica, invita a «non ancorarsi alla specialità come se fosse un paracarro perché si tratta di un strumento che passa attraverso scelte coraggiose che non riguardano soltanto il piano legislativo ma anche quello finanziario, produttivo ed infrastrutturale. Bisogna, ad esempio, fa funzionare il porto di Trieste piuttosto che Porto Nogaro, far arrivare l’alta velocità fino a Trieste oppure offrire aree industriali attrattive». Insomma, secondo Collino «non bisogna fare filosofia attorno ad una parola ma creare i presupposti per una specialità nei fatti» e il ragionamento «va fatto all’interno della revisione della Costituzione tenendo comunque in considerazione che i presupposti storici e geografici che hanno consentito al Friuli Venezia Giulia di avere la specialità non ci sono più».Per il presidente della Paritetica «dobbiamo dimostrare di non volere un privilegio ma di puntare ad essere ripagati per quanto abbiamo dato allo Stato in questi anni». Per l’ex presidente del Consiglio regionale, Alessandro Tesini, «non è la prima volta che Brunetta si esprime in questo modo. Lui lo fa in maniera più variopinta e rumorosa ma il suo è un sentimento che hanno anche altri in maniera diffusa». L’esponente del Pd considera «debole la risposta della Regione e del presidente Tondo perché si continua a fare confusione tra specialità e federalismo fiscale come se fossero complementari o alternativi». Per Tesini «l’unica risposta possibile da parte nostra è che l’autonomia e la specialità sono principi indiscutibili e il testo sul federalismo fiscale non può metterlo in dubbio». Tuttavia, secondo Tesini, i distinguo rispetto alle diverse specialità ci sono: «La Valle d’Aosta e la provincia di Bolzano hanno effettivamente un rapporto tra capacità fiscale e spesa pubblica non in equilibrio come la nostra. Non è comunque il caso di dare giudizi approssimativi».Il vicecapogruppo del Pd in Consiglio regionale, Mauro Travanut, aspetta di vedere «se il centro-destra è prono al Governo oppure no visto che finora si è dimostrato piuttosto tiepido. Un governatore forte sbatterebbe le porte ma per ora non si vede niente di tutto ciò. Da parte nostra non accogliamo questo barbarismo veneto che vuole cancellare le specialità». Secondo Franco Baritussio, vicecapogruppo del Pdl in Consiglio, «è la classica tempesta in un bicchier d’acqua che scoppia ormai periodicamente». Per l’esponente piediellino «abbiamo tre motivi per stare tranquilli. In primo luogo la specialità per essere toccata o modificata richiede precisi passaggi costituzionali, peraltro non unilaterali. Il Friuli Venezia Giulia, inoltre, della sua specialità non ha mai fatto una questione di privilegio ed infine non dobbiamo temere il futuro federalismo, perché già la nostra specialità si è sviluppata secondo il principio del trasferimento parallelo di risorse e competenze dallo Stato alla Regione».Roberto Urizio

IL GOVERNO: NESSUNA NUOVA IMPOSTA PER IL TERREMOTO
Il presidente della Camera dissente da Berlusconi. Scossa di 3,9° Richter in Piemonte
ROMA Gianfranco Fini considera «giusto il sentimento che si accertino eventuali responsabilità » nei crolli, soprattutto di edifici pubblici, nel terremoto in Abruzzo. Il presidente della Camera, da Scansano dove ha partecipato alla festa nazionale dei piccoli Comuni, esprime una posizione che è in linea con la denuncia del Presidente della Repubblica il quale ieri aveva parlato di «danni aggravati da avidità e disprezzo delle regole» auspicando che si faccia luce su questo. Anche Fini ha sostenuto che la vicenda abruzzese deve indurre «gli amministratori, chi governa e i parlamentari a non transigere nella prevenzione e nel rispetto delle regole». In ambienti parlamentari si sottolinea che le frasi di Fini, che avallano la presa di posizione del Quirinale, non sono assolutamente da interpretare come una presa di distanza dal premier che ieri aveva detto: «Ben vengano le inchieste ma ora non perdiamo tempo, impieghiamolo nella ricostruzione». Il premier aveva anche invitato i giornalisti a «non riempire le pagine con inchieste». In tema di tempi e fondi per la ricostruzione il ministro Tremonti, ospite ieri della trasmissione tv «In mezz’ora» condotta Lucia Annunziata, ha ribadito che non ci saranno nuove tasse per sostenere la ricostruzione dell'Abruzzo. «Non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini, non ce ne è bisogno» ha detto. Gli aiuti ai terremotati, ha spiegato il ministro, verranno finanziati con rimodulazioni della spesa pubblica. «Molte voci di spesa possono essere spostate da altre causali a questa più importante, l'assistenza a chi è stato colpito dal terremoto». Le risorse pubbliche «bastano e avanzano per ricostruire nei prossimi anni, il problema non è tanto finanziario quanto umano» ha aggiunto, parlando poi dell'«impressionante sforzo messo in campo dalla Protezione civile».Sul piano dello scontro politico le esternazioni berlusconiane fatte durante la sua settima visita nelle zone terremotate hanno suscitato ieri nuove reazioni dell'opposizione. In prima fila negli attacchi al premier l'Idv, con Antonio Di Pietro che invita Berlusconi a «smetterla di prendersela con i magistrati che vanno avanti con le inchieste» mentre il suo capogruppo alla Camera Massimo Donadi ha definito «criminogeno» l'atteggiamento del Cavaliere. «Le indagini sono indispensabili e si deve appurare la verità subito», ha detto a Monza il governatore della Puglia Nichi Vendola di Sinistra e Libertà che ha sottolineato la diversità di posizione tra il Quirinale e palazzo Chigi. «Da Berlusconi sono venute parole irresponsabili e indecenti, i morti sotto le macerie meritano giustizia», ha rincarato per il Pdci Jacopo Venier.Pier Ferdinando Casini, che mantiene il profilo di una opposizione non preconcetta, non ha attaccato Berlusconi per le sue frasi sulle inchieste ma si è lamentato del fatto che in Abruzzo si assiste «solo a passerelle di politici» definendo tutto ciò «poco serio». Il leader dell'Udc ha sostenuto che «chi ha di più», come per esempio i parlamentari, «deve contribuire alla solidarietà per l'Abruzzo». A nome di Articolo 21, Giuseppe Giulietti ha criticato la frase del Cavaliere sui giornali che dedicano «intere pagine alle inchieste», avvertendo che Berlusconi «non è irritato solo con Santoro» e ce l'ha con «tutta la stampa indipendente».Dal fronte della maggioranza, Osvaldo Napoli ha bollato come «speculazioni volgari» gli attacchi dell'opposizione.«L'arte di attribuire al premier parole mai pronunciate o intenzioni mai dichiarate non concede tregua», si è lamentato Napoli mentre il portavoce del Pdl Daniele Capezzone ha preferito tornare sulle accuse di ieri di Franceschini, sostenendo che si tratta di «una polemica sgradevole sul terremoto e la ricostruzione che farà male al Pd, riducendone la già scarsa credibilità agli occhi dell'opinione pubblica». «Vanno bene le inchieste ed è giusto che se ci sono delle responsabilità vengano accertate, ma l'importante è che questa attività non ostacoli o, peggio ancora, blocchi la ricostruzione, che è la cosa più importante per l'Aquila e per i suoi abitanti». Mons. Giuseppe Molinari, arcivescovo dell'Aquila, è una persona pratica e non vuole interferire nelle questioni politiche. Accetta però di intervenire nel dibattito che si è aperto su «inchieste e ricostruzione» per rivolgere a tutti un invito a non perdere mai di vista la priorità vera di questa emergenza: «I cittadini che non hanno più una casa e la città che deve essere ricostruita».

GLI EFFETTI DELLA RECESSIONE IN REGIONE
Molti dipendenti in mobilità ”riscoprono” i lavori che parevano destinati agli immigrati
di MARTINA MILIA
TRIESTE Lavoratori italiani (e lavoratrici) pronti a fare «la stagione». E così gli albergatori assumono di nuovo italiani, che prendono il posto degli immigrati stagionali. Mentre il sistema delle quote fa fatica ad adeguarsi in tempo reale alle esigenze del mercato, si creano nuove dinamiche. E in tempo di crisi gli italiani riscoprono vecchi mestieri: nel turismo ma anche nell’assistenza agli anziani visto che «il numero delle donne italiane che si rivolgono agli sportelli regionali del servizio assistenza alla persona, in cerca di lavoro – conferma l’assessore Alessia Rosolen – sono in aumento». LE QUOTE Il 10 aprile nella Gazzetta ufficiale è stato pubblicato il decreto ministeriale con il quale il governo ha stabilito 80 mila quote per tutta Italia – da ripartire tra regioni e province – per i lavoratori stagionali non comunitari: il doppio delle quote previste per i non stagionali (che hanno assegnato alla Regione circa 1600 ingressi). La Regione dal canto suo ha chiesto al Ministero «un’ipotesi minima che oscilli tra i 608 e gli 832 lavoratori – ricorda l’assessore Rosolen – proprio tenendo conto della situazione economica». Stessa cosa (la Regione ha presentato come sempre la sua richiesta a novembre) è stata fatto per le quote riservate a colf e badanti – ne erano state chieste tra 800 e 1050 ma ne sono arrivate di più, 1250 – e per gli altri settori (tra 1900 fino a un massimo di 2534 quelle richieste, un terzo rispetto al passato). STAGIONALI Gli stagionali normalmente vengono impiegati in agricoltura e settore turistico e proprio quest’ultimo è quello che si sta muovendo in questo periodo per prepararsi alla stagione balneare.«Con gli immigrati non abbiamo più grossi problemi di quote – spiega Claudio Martinis, presidente degli albergatori di Grado – perché la gran parte di quelli che vengono a fare la stagione nei nostri litorali arrivano da paesi, come la Romania, che sono entrati nella comunità europea». Situazione analoga in agricoltura. Ma quello che potrebbe ulteriormente modificare la situazione è la congiuntura economica e la fame di lavoro tra gli italiani. «Quest’anno stiamo assumendo più italiani – prosegue Martinis -. Per un’azienda è anche più conveniente perché l’assunzione di lavoratori in mobilità offre benefici fiscali». BADANTI Un altro settore che gli italiani stanno riscoprendo è quello dell’assistenza famigliare, dove pure si inizia a sentire la disoccupazione. «Questo è inevitabile visto il momento economico, però, dobbiamo considerare che è ancora un settore che crea occupazione – puntualizza l’assessore Rosolen -. Nel primo trimestre 2009 i nostri sportelli regionali hanno sottoscritto 417 contratti. Nello scorso periodo del 2008 ne erano stati stipulati 515 per cui, se contiamo che Monfalcone e Gorizia i primi due mesi di quest’anno sono rimasti chiusi, possiamo dire che c’è una certa stabilità. E’ vero che domanda e offerta non si incontrano sempre, ma i posti di lavoro creati sono regolari, prima del servizio c’era solo lavoro nero». Rosolen precisa anche che il numero delle badanti che si reca agli sportelli è più alto rispetto a quello delle famiglie perché «non tutte le assistenti cercano lavoro. Alcune arrivano per un aggiornamento del proprio curriculum, per accedere a percorsi di formazione, per ottenere informazioni riguardanti aspetti connessi al proprio contratto di lavoro». Altro dato positivo, secondo la Regione, è il ritorno delle italiane. «E’ ancora difficile che le italiane facciano le badanti per questioni di orario e tipologia di lavoro, ma la domanda sta crescendo – evidenzia l’assessore - e questo è un segnale importante».La riduzione delle quote, vista con preoccupazione da Confindustria a fine 2008, ora che la crisi occupazionale non accenna a rallentare assume una chiave diversa. «Rimaniamo dell’idea che gli immigrati siano una risorsa – spiega l’associazione regionale -, ma è chiaro che oggi l’attenzione va spostata sui lavoratori in mobilità e sulla possibilità di riassorbirli. Rimaniamo dell’idea, già esposta e condivisa con la Regione, che sia necessario un monitoraggio costante dell’occupazione per valutare in tempo reale le misure che possano essere prese».

CRISI E RIPRESA
TONDO, UN ANNO IN TRINCEA di ROBERTO MORELLI
Non è trascorso un anno, è passato un mondo. Da quando, dodici mesi fa, Renzo Tondo s'insediò alla guida della Regione dopo aver sbancato un'urna che lui solo si attribuiva la possibilità di violare, una crisi economica attesa ancor meno della sua elezione ha sovvertito ogni regola, criterio, aspettativa. Sicché il bilancio di un anno da presidente, sul quale egli questo pomeriggio sarà pubblicamente interpellato dal direttore de Il Piccolo alla Stazione Marittima, assomiglierà a un bilancio di guerra. Ennesima dimostrazione che i programmi elettorali sono una pallida bussola: all'indomani ci si sveglia in un mondo alla rovescia, e il programma vale meno della carta su cui è redatto.Sotto la sferza di una tempesta economica che non poteva risparmiare il Friuli Venezia Giulia, il governatore ha ben figurato. Il destino l'ha paradossalmente precipitato in un contesto a lui congeniale: nessuno meglio d'un carnico può gestire un'emergenza, e Tondo se n'è fatto interprete sensibile, tempestivo e di buona lena. Ha smantellato - talvolta fin troppo - pezzi di bilancio, dirottandone i capitoli al sostegno dei più poveri. Ha spinto - talvolta non abbastanza, come nel caso di Friulia - il sistema finanziario regionale a immettere liquidità tra imprese che rischiano lo strozzo. Ha contenuto la voracità dei partiti - talvolta con fatica - per prevenire l'abbuffata di un indebitamento pubblico di cui in altri tempi la crisi sarebbe stata stupendo pretesto. È intervenuto con energia e senso pratico là dove necessario, come sul commissariamento dell'autostrada, ha esercitato una reale capacità di ascolto delle molte istanze, ciò che in tempi di crisi vale come il pane, non ha fatto promesse a vanvera. Ha parlato poco e con cognizione di causa.In definitiva Tondo ha fatto la destra e la sinistra al medesimo tempo, portando con agio l'abito del buon padre di famiglia e nutrendo con discrezione un approccio governativo paternalista e vagamente biasuttiano, la cui priorità è stata tenere assieme il sistema regionale. Ha commesso un solo vero errore, e però enorme: la legge sul commercio che ha ristretto modi e tempi di aperture della grande distribuzione. Un atto di retroguardia e contro natura: il mondo, le esigenze delle famiglie e delle imprese vanno nella direzione opposta. E infatti la norma sarà disapplicata (il Comune di Trieste, pur amico, se n'è fregato e se ne fregherà), dimostrando che a governare senza saper leggere la società si finisce contro il muro.Una scelta contraddittoria rispetto alla sensibilità del governatore appena descritta? No, una spia dei limiti del suo primo anno di mandato, come pure un consiglio che ci permettiamo di rivolgergli per i prossimi quattro: dismetta i panni del gestore di crisi e mediatore d'istanze, e assuma quelli della guida politica e strategica del Friuli Venezia Giulia. La crisi ha dettato l'agenda, ma è stata anche un ipnotico collettivo e delle scelte pubbliche: tutto contro la crisi, nulla al di fuori di essa.
E tuttavia governare richiede decisioni di prospettiva: tracciare la strada è altro dal parare i colpi.Tondo ha fatto bene la seconda cosa, ora si dedichi alla prima. Mantenga l'acceleratore sul progetto di Euroregione. Faccia suo un fronte di sviluppo come la ricerca, l'innovazione e la conoscenza, che egli stesso aveva valorizzato nel mandato precedente ma è oggi pericolosamente liquidato come "di sinistra" (e perché mai?). Della Fondazione universitaria, potenziale ottimo strumento per coordinare i due atenei e porre fine a doppioni scandalosi, non s'è più udita parola. Che ne è? Anche la crescita dei traffici essenziale alla regione e a Trieste non può prescindere dalla leadership del governatore: lo sviluppo del porto nuovo e la costruzione della piattaforma logistica, come pure il recupero del vecchio scalo, richiedono uno sforzo di regia non solo locale, ma anche e soprattutto romana. Le "card" sociali e la rete dei sussidi sono strumenti sacrosanti. Ma la crisi passerà. Di qui le necessità del prossimo quadriennio: non afferrare la ripresa, bensì guidarla.Roberto Morelli

CHI PAGHEREBBE E QUANTO
LA TASSA PER RICCHI di NICOLA SCICLONE
Nelle scorse settimane, sotto l’incalzare della crisi, il Partito democratico ha avanzato l’idea di un contributo straordinario per aiutare i poveri. Oggi, a fronte degli eventi in Abruzzo, la proposta acquista una nuova attualità.
Perché il maggiore gettito potrebbe essere destinato ad aiutare anche le vittime del terremoto. In tal senso la proposta circola in termini non chiaramente definiti. Ragioniamo perciò sulla proposta originaria del Pd, tenendo presente che, nella contingenza, le risorse ottenute potrebbero invece in parte essere dirottate a sostegno di interventi a favore delle zone colpite dal sisma.Il provvedimento consisterebbe in un aumento di 2 punti dell’Irpef per tutti i contribuenti che dichiarano oltre 120 mila euro all’anno. Le risorse così ottenute, nella formulazione originaria, servirebbero per finanziare le associazioni del terzo settore ed il Fondo per le politiche sociali (Fnps).La misura, stando alle stime del modello microReg, garantirebbe un gettito aggiuntivo di 527 milioni di euro e riguarderebbe 193 mila contribuenti (0,5% di coloro che compilano la dichiarazione dei redditi). L’aumento medio di imposta non supererebbe i 900 euro per i redditi compresi fra 120 e 150 mila euro, ma raggiungerebbe i 4 mila euro oltre quella soglia. Mediamente l’aggravio per i ricchi sarebbe di 2.735 euro (228 euro al mese, meno della retta media di un asilo nido di molte città del centro nord).A livello territoriale il contributo di solidarietà peserebbe soprattutto sui contribuenti delle regioni nord occidentali. Essi vi concorrerebbero (48% del gettito) in una misura molto superiore al loro attuale apporto all’Irpef che, secondo i dati del Dipartimento delle Finanze, è pari al 31%; l’opposto accadrebbe per le regioni meridionali: qui le precedenti proporzioni diventerebbero infatti rispettivamente pari a 9% e 13%.La misura riduce naturalmente la disuguaglianza. Ciò dipende dall’incremento di progressività dell’Irpef, come testimoniato dall’aumento (da 0,198 a 0,199) dell’indice di progressività di Kakwani. Tuttavia la finalità dell’intervento non è tanto quella di ridurre le distanze di reddito fra ricchi e poveri, quanto quella - nella proposta originaria precedente al sisma - di finanziare le organizzazioni di volontariato e soprattutto destinare nuove risorse al Fnps, a cui sono stati tagliati nel 2008 circa 275 milioni di euro. TAB 2Ipotizzando di utilizzare il contributo di solidarietà come una tassa di scopo, calcoliamo quindi la differenza fra quanto ogni circoscrizione riceverebbe - replicando le quote regionali di ripartizione del Fondo - sotto forma di maggiori trasferimenti per le politiche sociali e quanto invece le medesime circoscrizioni dovrebbero versare sotto forma di esazione aggiuntiva. L’esercizio è svolto assumendo di destinare al Fnps la quota parte dell’extra-gettito necessaria a compensare il minore finanziamento osservato fra il 2007 ed il 2008.Il saldo evidenzia un rilevante trasferimento di risorse dal Nord al Sud, particolarmente accentuato per le regioni del Nord Ovest. Questo ultimo dato risente del valore che il residuo fiscale (-69 milioni di euro) assumerebbe in Lombardia. In questa ultima regione risiederebbe, secondo le stime del modello, il 28% degli italiani su cui graverebbe il contributo di solidarietà e da qui verrebbe il 37% del gettito complessivo garantito dal provvedimento.Naturalmente, se il governo optasse per una diversa ripartizione regionale delle risorse, in modo da tenere conto che sono proprio le regioni del Nord Italia (dove si concentra l’occupazione industriale) quelle che avvertono maggiormente la crisi, il conflitto redistributivo evidenziato in tabella 3 potrebbe ridimensionarsi.L’imposta sui ricchi non può naturalmente risolvere, per la modesta entità di risorse che è in grado di raccogliere, i problemi strutturali del nostro sistema di welfare: ad esempio non garantisce passi avanti in direzione di una più efficace rete degli ammortizzatori sociali, né consente la predisposizione di più incisive misure di contrasto della povertà, né infine assicura un adeguato sostegno alle responsabilità familiari.È una misura una tantum dettata dal precipitare della crisi finanziaria che, rovesciando un diffuso sentimento di avversione alle tasse, contrasta l’errata percezione che l’azione redistributiva si attua e si misura solo sul lato del prelievo e non anche su quello della spesa. Pur con limiti evidenti, il principale dei quali è che ricade sulle spalle dei soli contribuenti onesti, la misura rappresenta infatti un esempio di come a maggiori tasse possano corrispondere maggiori servizi.Non sarà quindi la risposta più appropriata alla crescita delle disuguaglianze o la soluzione dei nostri problemi, ma finanziare la spesa sociale contrasta la caduta della domanda che è la causa principale della crisi economica che stiamo vivendo. Più che per gli effetti che ne conseguono, è quindi una proposta utile al dibattito politico ed economico per la carica simbolica che rappresenta.Nicola Sciclonewww.lavoce.info
Il ministro Sacconi: «Stop ai licenziamenti»
ROMA «L'incubo degli incubi» ovvero il crollo finanziario globale «è finito», come anche «si è arrestata la caduta dell'import e dell'export, del commercio mondiale». Se ancora non si può parlare di vera e propria ripresa, perchè «fondamentalmente siamo in una situazione di incognita, comunque possiamo guardare al futuro con qualche prospettiva che sostituisce, come dice Obama, la speranza alla paura».Con parole, se pur ancora caute, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti mostra i primi segnali di ottimismo sulla crisi economica che ha travolto il pianeta. Lo segue anche il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: «Ci sono infatti le condizioni per un cauto ottimismo - ha dichiarato all'Ansa - se si considera, per la prima volta dopo mesi, la crescita del 3,5% degli ordini dall'estero, se si considerano gli andamenti dei noli, i segnali positivi che provengono perfino dagli acquisti di beni durevoli oltre alla più generale percezione che il mercato finanziario globale stia superando le maggiori preoccupazioni di instabilità». Sacconi per questo ha lanciato appello «a tutte le imprese, per una vera e propria, libera e responsabile, moratoria ai licenziamenti».«L'apocalisse non c'e stata - sottolinea Tremonti - e la gente ha tirato un sospiro di sollievo». Il ministro, ospite della trasmissione di Lucia Annunziata «In mezz'ora» su Rai Tre, alla vigilia del G7 parla dunque di primi segnali di «speranza». «La mia impressione - spiega - è che la prima causa della crisi, la caduta della Borsa e della finanza, si sta riducendo. Nessuno pensa più all'apocalisse finanziaria e non vedo più la paura di un crollo della finanza». Il ministro evidenzia anche un arresto della caduta «dei traffici nei porti e nelle strade, dell'import e dell'export, dei principali indicatori» ma anche «dei comportamenti di vita».La sensazione che ci siano segnali di un'inversione di tendenza è condivisa anche dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi: «Ci sono le condizioni per un cauto ottimismo», ha messo in evidenza citando i primi dati positivi sugli ordini dall'estero all'industria italiana. «C'è una generale percezione - ha aggiunto - che il mercato finanziario globale stia superando le maggiori preoccupazioni di instabilità». Sulla stessa linea d'onda il direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra: «I principali indicatori smettono di peggiorare e cominciano a migliorare. Arrivano nuovi ordinativi alle imprese, gli imprenditori vedono meno nero e si predispongono a fare investimenti». Anche per l'amministratore delegato di Borsa Italiana, Massimo Capuano, «sembra che stia rallentando la recessione. Non possiamo parlare di ripresa netta ma c'è una decelerazione della caduta. Anche i mercati finanziari stanno riprendendosi da momenti molto difficili».Tornado invece al ministro Tremonti, nell'intervista alla Annunziata ha anche parlato di evasione fiscale. Definendo le dichiarazioni 2007, pubblicate qualche giorno fa, «scandalose», sottolinea che «l'evasione non aumenta e il calo delle entrate, che oggettivamente c'è, è minore in Italia che negli altri Paesi europei». E in ogni caso «l'evasione non si combatte con la propaganda ma mettendo in campo i Comuni e facendo il federalismo fiscale». Due parole anche sul referendum: «Era meglio non farlo» e, quanto ai costi, andrebbero «messi a carico di chi ha inventato il referendum».
Il minareto contestato alto 23 metri e non 30
di ANDREA MARSANICH
FIUME Anche se una data precisa non è stata ancora definita, è certo che la posa della prima pietra della moschea fiumana avrà luogo il mese prossimo. La conferma arriva dal presidente della Comunità islamica di Fiume, Mujo Isic, il quale ha detto ai giornalisti che tutto è quasi pronto per dare avvio alla costruzione del tempio musulmano nel rione di Rujevica (Plasse San Giovanni), poco a settentrione della tangenziale fiumana: «Il progetto principale è in dirittura d’ arrivo – ha asserito Isic – e sta per essere ultimato anche il progetto attuativo. Solo allora sapremo a quanto ammonta il costo del nuovo centro islamico, il terzo in Croazia, dopo quelli di Zagabria e Gunja, località quest’ultima a ridosso del confine con la Bosnia ed Erzegovina. È comunque assodato che i due progetti saranno portati a termine tra breve e dunque la cerimonia della posa della prima pietra avverrà nel mese di maggio. Sarà un venerdì, giorno di preghiera e la pietra sarà posata, questa è la nostra speranza, da un musulmano che gode di vasta notorietà. Per noi si tratta di un progetto d’importanza storica, la cui realizzazione confermerà la bontà del carattere multietnico e multiconfessionale di Fiume».Intanto fervono i preparativi nel cantiere della moschea, con interventi che riguardano pulizia, appianamento e recinzione del terreno. I lavori riguardano un lotto di 10 mila e 860 metri quadrati, che il locale Centro islamico aveva acquistato anni fa dall’ amministrazione cittadina per l’ importo di 2 milioni e 900 mila kune (392 mila euro), ossia al prezzo di 440 kune (59 euro) al metro quadrato. «Abbiamo approntato anche la strada d’accesso provvisoria al complesso islamico – parole di Teufik Cocic, capo del team del Centro islamico preposto a seguire l’ attuazione del progetto – beneficeremo di questa viabile fino a quando la Città di Fiume non provvederà a costruire la strada d’ accesso vera e propria. Posso confermare che il progetto ideale dell’architetto Dusan Dzamonja non ha subito variazioni di rilievo, ad eccezione dell’altezza del minareto, che da 30 è stata portata a 23 metri».Il centro islamico, che dovrebbe probabilmente aprire i battenti nel 2011, verrà a costare da 6 a 8 milioni di euro, somma che in gran parte sarà coperta da donazioni dall’ estero. Il complesso si estenderà su una superficie di circa 3 mila e 500 metri quadrati e sarà composto – oltre che da moschea (capace di ospitare fino a 1100 fedeli) e minareto – anche da appartamenti per i funzionari religiosi del centro e per i loro ospiti, da scuola materna, sala riunioni, ristorante e bar. Vi sarà sistemata anche la sede della direzione della Comunità islamica del capoluogo quarnerino. Ricordiamo infine che, a prescindere dall’ effettivo carattere di Fiume quale città multiculturale, il progetto è stato più volte ostacolato da singoli e organizzazioni, che non hanno mai visto di buon occhio la presenza di un luogo di culto musulmano in riva al Quarnero.
Conclusa l’odissea dei 141 disperati
LAMPEDUSA Dopo quattro giorni si è sbloccata la situazione del cargo turco Pinar che, giovedì scorso, ha salvato 140 migranti su due barconi in balia del mare nel Canale di Sicilia: il mercantile è stato autorizzato a dirigersi verso Porto Empedocle (Ag) dove attraccherà oggi. La Farnesina ha precisato che il ministro dell'Interno Roberto Maroni e quello degli Esteri Franco Frattini, in stretto coordinamento con il presidente del Consiglio, «sono giunti alla determinazione di accogliere in Italia gli immigrati presenti nella nave, tenuto conto della perdurante indisponibilità del governo maltese malgrado le sollecitazioni rivoltegli dal presidente della Commissione europea Barroso». La decisione è arrivata dopo il tentativo di Berlusconi di risolvere con Malta la vicenda. Berlusconi ha parlato al telefono sia con il premier maltese Gonzi, sia con Barroso, poi la scelta di sbloccare la situazione sulla base di motivazioni umanitarie. È stato forte, infatti, l'allarme lanciato dai medici che sono saliti a bordo per alcuni casi di varicella, di persone con febbre alta e disidratate, infreddolite ma importanti anche le pressioni politiche, della Chiesa agrigentina e di diverse organizzazioni, tra cui l'Unhcr. Sulla nave c'era anche il cadavere di una donna incinta, morta prima che il barcone su cui navigava venisse soccorso dall'equipaggio turco. Il corpo in decomposizione, messo su una scialuppa trainata e sul quale i gabbiani attirati dal forte odore si sono trasformati in avvoltoi, è stato poi trasferito su una motovedetta diretta a Lampedusa.Mentre naviga verso la Sicilia il mercantile lascia una scia di polemiche tra Malta e Italia che dovranno essere risolte. Il primo ministro maltese Lawrence Gonzi ha detto: «Malta pretende l'appoggio della Ue nella questione della Pinar». «La procedura di soccorso effettuata da Malta - ha aggiunto - è sempre stata la stessa. Abbiamo coordinato tutto come vuole la prassi in situazioni come queste. Ma il porto più vicino è Lampedusa, dunque devono essere trasferiti lì». «Malta sopporta - ha concluso - l'enorme peso del fenomeno dell' immigrazione clandestina. Questo è un problema della Ue, e adesso tocca all'Unione appoggiare Malta in questa situazione». Ha criticato «il comportamento del governo maltese» «scorretto e censurabile» il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, annunciando di aver chiesto al commissario Ue per la sicurezza, dopo aver parlato con Berlusconi e Frattini «una riunione urgente del Consiglio dei ministri dell'Interno per definire una volta per tutte questa annosa questione».La decisione di accogliere la nave, dunque, «è stata assunta - spiega la Farnesina - esclusivamente in considerazione della dolorosa emergenza umanitaria verificatasi a bordo del mercantile, e non deve in alcun modo essere intesa nè come un precedente nè quale riconoscimento delle ragioni addotte da Malta nella vicenda». «Il ministro Maroni, infatti sta già predisponendo un dettagliato dossier sul caso, che sarà portato agli inizi della prossima settimana alla diretta attenzione della Commissione Europea, affinchè quest' ultima intervenga per assicurare una soluzione politica». La guardia costiera, con motovedette partite da Lampedusa e un elicottero, ha fatto diversi viaggi dall'isola al Pinar portando due team di medici. Anche ufficiali della capitaneria di porto sono saliti a bordo per controllare la situazione. Sono stati portati oltre tremila litri di acqua, scarpe, coperte, vestiario, viveri. E sul cargo è salita anche una ginecologa per visitare le donne e le due incinte. Poi su una motovedetta sono stati fatti salire una donna incinta e alcune persone con patologie più serie, in tutto una ventina, che saranno portate a Lampedusa. Per i medici non potevano attendere oltre.
Che diamine, gli abitanti della provincia di Trieste si rassegnino. Per avere notizie sul tracciato della Tav nel loro territorio - l'opera pubblica più ciclopica del dopoguerra nel Friuli-Venezia Giulia - dovranno rivolgersi al piccolo Comune di Dolina. Dovranno farlo, perché il resto è silenzio. Sul percorso ad altissimo impatto ambientale si vocifera da quasi due anni, ma Regione, Provincia e Comune capoluogo non hanno mai voluto fornire notizie. Come non hanno ritenuto di coinvolgere gli elettori in fase di progetto, ora non ritengono di doverli informare a cose definite. Qualcuno fa il pesce in barile, e dice di non saperne nulla. E già questo dovrebbe inquietare.
La sola finestra in questo anomalo riserbo è l'assemblea aperta indetta dal Comune di cui sopra, oggi alle 18.30, nel teatro di Bagnoli della Rosandra - Boljunec. È un'occasione speciale che si offre a tutti gli abitanti tra il confine sloveno e Monfalcone: tanto più che gli uffici tecnici municipali hanno avuto la bontà di inserire i tabulati del progetto nel sito www.comune.san-dorligo-della-valle.ts.it, per consentire al pubblico di intervenire meglio nel dibattito. Consiglio vivamente di darvi un'occhiata. Basta cliccare in alto a sinistra la voce "Documenti riguardanti il corridoio 5", poi cercare "studio di fattibilità" nel riquadro di sinistra. Dopo la descrizione, in basso a destra c'è il simbolo dell'Excell (33Kb), cliccando sul quale compaiono 62 disegni e relazioni.Dieci minuti sono sufficienti per capire. Ciò che si supponeva è confermato. Il tragitto della Tav, anziché prendere diagonalmente quota sul Carso per raggiungere il nodo di Divaccia ("gate" per la direttrice Lubiana-Budapest), sprofonda in galleria parallelamente alla costa - Santa Croce, via del Pucino, Gretta, San Giovanni - e sfiora Trieste per poi risalire, avvitandosi attorno alla Val Rosandra, con un sistema di curve decisamente anomale per un percorso ad alta velocità. Un percorso che comporta il doppio di gallerie necessarie e pare avere l'unico scopo di agganciare con più facilità il porto di Capodistria, con una bretella lautamente finanziata dall'Unione Europea.Tutti sanno che più gallerie significano più spese e più rischi ambientali. Lo si è visto nel percorso della Tav tra Bologna e Firenze, in tunnel per il 90 per cento, costato il quintuplo del previsto alle nostre tasche, e cifre incalcolabili in termini di dissesto idrogeologico. Settecentocinquanta milioni di euro, secondo la valutazione del tribunale di Firenze, per non parlare delle cave rimaste aperte e dell'inquinamento da scorretto smaltimento dei materiali di scavo. Di fronte a un simile scempio è giusto e necessario allarmarsi e chiedersi come mai un'opera così importante per l'economia del Nord-Est sia portata avanti con una segretezza che - visto il terreno - potremmo quasi definire "carsica".Vi sono tante domande in sospeso su questa storia della Tav, ma la prima di tutte è: perché questa scelta? Perché un tragitto che comporta lo scavo di ben 7,75 milioni di metri cubi di roccia in terreno carsico - dunque ricco d'acqua e imprevedibile - e non sembra offrire significativi vantaggi né alla città né al suo porto? Perché non un percorso più semplice, più superficiale e distante da Trieste, ma collegabile alla città con un servizio navetta dalle parti di Opicina? A chi giova davvero tutto questo, aziende edilizie a parte? Ma è solo l'inizio di una serie di domande da cui è difficile scappare.Per esempio: quale voce in capitolo hanno avuto gli esperti del terreno? Tra Firenze e Bologna quasi nulla. I geologi, che avevano avvertito dei rischi di quel tragitto, sono stati ignorati dal direttore del lavori (poi ministro) Pietro Lunardi, coi risultati che si vedono: novanta corsi d'acqua, risorgive e pozzi ridotti al minimo o scomparsi per sempre. Ora il rischio è che accada anche qui, se è vero che nella stessa relazione si ammette che lo studio è stato compiuto solo "sulla base di dati disponibili in letteratura" e "senza un riscontro puntuale sul campo". Col risultato, si conclude, che alcune alterazioni sull'habitat "potrebbero risultare irreversibili".Altra domanda: come mai la Regione ha potuto consentire che il grosso dei lavori si concentrasse nell'unica vera grande riserva naturale della Provincia, la forra della Val Rosandra, la più straordinaria cattedrale di roccia del Friuli-Venezia Giulia, sede di un acquedotto romano ancora intatto e punto di passaggio di fauna selvatica di ogni tipo? Che senso della programmazione ha una Regione che chiede per la Val Rosandra la tutela del programma europeo "Natura Duemila" e poi ne consente lo smantellamento?E ancora: come mai il grosso dei lavori di sbancamento si concentra in un Comune - Dolina - che ha sofferto più di qualsiasi altro in termini di grandi opere? Perché ora anche la Tav in un territorio già piagato da enormi cave mai ripristinate, dagli sbancamenti per la Grandi Motori e dagli espropri di terreni agricoli per i serbatoi della Siot? Perché portare al collasso uno spazio già sfiancato da espropri, sbancamenti e oleodotti, col rischio di creare una protesta popolare simile a quella della Valsusa? Ma soprattutto: perché non se ne parla? Perché bisogna rivolgersi al Comune di Dolina per cavare il ragno dal buco?Si parla tanto di federalismo, e allora cosa vi è di più federale del coinvolgimento delle popolazioni interessate nel progetto di grandi opere? In gioco, con la Tav attorno al nodo di Trieste, è l'essenza stessa del rapporto democratico fra il Centro e il territorio. Una partita, questa, che va giocata responsabilmente da tutti, nella speranza che al centro vi sia la pubblica utilità e non l'interesse di alcuni. Saperlo, è indispensabile, affinché a vincere, nella definizione del percorso, non siano semplicemente quelli che urlano di più.Il treno veloce è indispensabile a togliere Trieste dal suo binario morto e a ricollegarla al suo Hinterland naturale. Ma siamo in Italia, e ahimé molte opere di pubblica utilità, come le centrali eoliche e le grandi discariche, sono dislocate non sulla base di priorità o piani concordati, ma sulla base delle "minori resistenze" del territorio. Una grande azienda si presenta con molti soldi a piccoli Comuni in bolletta e contratta con loro una grande opera pubblica senza l'apertura di un tavolo regionale. Chiaramente è una partita senza storia, in assenza di garanti all'altezza. Non vorremmo accadesse anche da noi, e soprattutto non vorremmo accorgercene solo a cose fatte.
La rabbia dei dipendenti della Trieste trasporti dopo un nuovo caso in piazza Goldoni
di MADDALENA REBECCA
Bottiglie di birra contro un bus della Trieste Trasporti. Le hanno scagliate l’altra notte due giovani ubriachi - con ogni probabilità del giro di punkabestia che gravitano attorno a piazza Oberdan -, come vendetta contro l’autista che li aveva fatti scendere dal mezzo. Autista che ora, assieme agli altri colleghi inseriti nei turni serali, annuncia l’avvio di una raccolta firme per chiedere maggior sicurezza sui mezzi che effettuano corse notturne. «Quelle bottiglie avrebbero anche potuto colpirmi in testa - ha riferito il dipendente della Trieste Trasporti -. Non è possibile che i conducenti siano lasciati in balia dei tanti ubriachi e squilibrati che circolano di notte. Le intimidazioni e le aggressioni sono ormai sempre più frequenti e nessuno ha mai preso provvedimenti. È arrivato il momento di adottare delle misure di prevenzione che tutelino sia gli autisti sia i passeggeri».L’episodio che ha fatto montare la rabbia è accaduto l’altra sera poco dopo le 23. Il conducente si trovava in servizio su un bus della linea C a bordo del quale, al capolinea di piazza Goldoni, sono saliti due ragazzi visibilmente alticci. E assieme a loro, i giovani hanno fatto entrare nell’autobus anche un cane di grossa taglia e sprovvisto della museruola. Un particolare che non è sfuggito al conducente il quale, per far rispettare il regolamento ed evitare che l’animale mettesse a rischio la sicurezza dei passeggeri, ha raggiunto i padroni, invitandoli semplicemente a scendere dalla vettura. Apriti cielo. I due sono andati su tutte le furie e, insultando il conducente, si sono rifiutati categoricamente di abbandondare il mezzo pubblico. Solo al termine di una scenata durata diversi minuti, e solo dopo l’arrivo della polizia allertata dall’autista, i punkabestia, hanno ceduto, scendendo finalmente a terra. Una volta sul marciapiedi, però, hanno subito pensato a come farla pagare all’uomo che si era permesso di rovinare i loro piani. E la scelta, appunto, è caduta sul lancio delle bottiglie di birra tenute fino a quel momento in mano. Bottiglie scagliate dopo la partenza della macchina della polizia e finite, fortunatamente, solo contro la carrozzeria del mezzo pubblico. Tanto è bastato però a scatenare la rabbia del conducente e dei colleghi, pronti adesso ad avviare una petizione da presentare sia all’azienda sia alla Provincia per richiamare l’attenzione sul problema sicurezza. Problema che coinvolgerebbe anche gli utenti dei bus, a partire dai tanti anziani che utilizzano i mezzi pubblici per rientrare a casa dopo aver assistito a qualche spettacolo a teatro.«Come autisti siamo esasperati - ha aggiunto ancora il dipendente in servizio l’altra sera sulla linea C -. È inaccettabile che venga messa a rischio continuamente la nostra incoluminità». «Pochi mesi fa a Valmaura un collega è stato ferito da uno squilibrato che ha rischiato di trasmettergli malattie gravissime - gli fa eco Willy Puglia delle Rdb -. E ancor più di recente dei balordi hanno seguito e aspettato al capolinea un conducente per poi picchiarlo. Tutto questo avviene nella più totale indifferenza della Trieste Trasporti. Anche le nostre richieste di installare nei bus delle cabine blindate sono rimaste inascoltate. Speriamo che, dopo l’ennesima aggressione, l’azienda capisca che non può scaricare sul personale viaggiante la responsabilità della sicurezza a bordo dei mezzi».
Materassi ammassati sul pavimento, a divorare anche il minimo spazio vitale. Uomini con il morale sotto i tacchi, psicologicamente fragili e talvolta vinti dalla tossicodipendenza, costretti a convivere in celle che di detenuti dovrebbero ospitarne la metà. Fisici debilitati dalle malattie a corto di assistenza medica. E una tensione latente, accompagnata da un elevato tasso di multietnicità compresso in pochissimo spazio, che rischia di tradursi in violenza contro gli altri e/o contro se stessi.L’EMERGENZA Dal di fuori passerà pure inosservato, eppure anche il carcere triestino di via del Coroneo - come la gran parte delle patrie galere - è ormai un bubbone che scoppia, per effetto di una media quotidiana di ”ospiti” superiore alle 230 unità. Un terzo in più della tenuta standard teorica - 150, 155 persone al massimo - calcolata in occasione dell’ultima ristrutturazione. Un’inflazione di ingressi che non viaggia di pari passo con le risorse a disposizione del carcere stesso che rappresenta lo Stato, il soggetto ”moralizzatore” garante della dignità della persona, e che oggi si trova a corto di materiali per la manutenzione strutturale, di dottori, di psicologi. E persino di carta igienica e bagnoschiuma.L’ALTRA FACCIA Va da da sé che se per i detenuti la permanenza in via Coroneo è insostenibile, anche gli agenti di polizia penitenziaria si ritrovano a dover onorare un lavoro più difficile, tecnicamente e umanamente, di quanto esso sia già in condizioni di ordinaria amministrazione.L’APPELLO E infatti lo stesso direttore della casa circondariale, Enrico Sbriglia, davanti a quello che definisce «un mal comune delle carceri, ma senza il mezzo gaudio», si augura almeno che «la Regione, titolare di importanti azioni di formazione professionale, rivolga la massima attenzione alla formazione del nostro personale, che pur lavora già con buonsenso e ragionevolezza, per metterlo nelle condizioni di rapportarsi sempre meglio con i detenuti, con la dovuta psicologia nei confronti di chi si trova in una posizione di debolezza e talvolta d’instabilità, perché già di base nessuno prova piacere a tenere in gabbia la gente. Qui formazione significa anche sicurezza».LA LETTERA Che dentro il Coroneo «si vive male», riproponendo un problema che già si sapeva critico, lo testimonia una lettera scritta a penna in una cella, firmata Andrea D., datata 4 aprile e arrivata nei giorni scorsi al Piccolo. «La cosa più urgente - si domanda il detenuto - è la sanità, ovunque uno si trovi, giusto? Ecco, è da circa un mese che non siamo tutelati per la mancanza di dottori e infermieri, che dovrebbero esserci per almeno dodici ore al giorno. Purtroppo ci sono persone con problemi psichici seri, che non assumendo i medicinali ricorrono a gesti purtroppo estremi come il tagliarsi, o impiccarsi. Ricordo che a dicembre un giovane recluso è morto sucida col gas e nessuno ha fatto niente. In questo carcere - prosegue Andrea D. - non c’è una palestra, né sono previste attività sportive per farci sfogare. Venti ore chiusi in cella, e celle da dieci persone o cinque con materassi a terra. La situazione è invivibile! Io mi auguro che qualcuno faccia qualcosa perché non si può andare avanti così. Ricordo - chiude l’autore della lettera - che l’espiazione della pena dovrebbe reinserire la persona che ha commesso un errore e non privarlo dei diritti civili. È giusto pagare ma in maniera dignitosa».LE DISEGUAGLIANZE «Le lamentele del detenuto - ammette Sbriglia - non sono prive di fondamento. In questo momento registriamo numeri ben maggiori di quelli che avevamo alla vigilia dell’indulto. Scontiamo poi una distribuzione talvolta irregolare tra sezioni, che accentua la percezione di sofferenza. Penso a quella maschile dove ci possono stare solo gli uomini, a quella degli indagati dove ci possono stare solo gli indagati, all’infermeria dove ci possono stare solo gli ammalati e a quella femminile dove ci possono stare solo le donne e che, per paradosso, presenta ancora dei posti disponibili, ma lì non ci posso mica mettere gli uomini. La conseguenza è che si prefigura un peggioramento rilevante delle condizioni di vita dei reclusi, dai servizi igienici al vitto, dall’assistenza sanitaria al mero spazio di movimento. Chiunque può immaginare che succederebbe a casa sua se, di colpo, si ritrovasse il doppio delle persone nella stessa metratura, e con gli stessi servizi».LE SOLUZIONI «Allo stato attuale purtroppo - aggiunge Sbriglia - soluzioni non se ne possono immaginare. Mica possiamo chiedere alle forze dell’ordine di fermarsi e non indagare, o ai magistrati di non condannare chi viene riconosciuto colpevole. Stiamo cercando, quello sì, di rispondere all’emergenza con soluzioni tampone in tempi velocissimi. È il caso della nuova camerata da dieci che ospita ora i semiliberi, quelli cioè che escono al mattino e rientrano alla sera. Questo ci ha consentito di evitare che un numero eccessivo di detenuti continuasse a dormire col materasso steso per terra».SENZA RISORSE «Inoltre - conclude Sbriglia - abbiamo messo apposto di recente diversi rubinetti, servizi igienici e citofoni che necessitavano di manutenzione. Ci mancano invece i materiali per ritinteggiare le pareti, che renderebbero un po’ più dignitose le stanze. Se ci arrivasse qualcosa da fuori, dagli stessi cittadini, dalla carta igienica ai prodotti per la pulizia personale, saremmo loro grati. Sono tutte cose che dovremmo acquistare, ma se non abbiamo risorse adeguate dobbiamo appoggiarci per forza ad aiuti esterni. Riceviamo ad esempio una mano importante dalla Caritas e ci sono anche diversi imprenditori che, senza apparire, girano ai volontari che operano nel carcere cose e materiali utili alla vita dei detenuti. Sono un po’ le nostre ronde. Ronde alternative».
Fischiato un fallo quando la sirena aveva già suonato
ACEGAS 72 COMO 73(18-20, 33-35, 45-56)
ACEGAS: Lenardon 8, Marisi 5, Cigliani 9, Pigato, Bocchini 9, Benevelli 13, Gennari 8, Di Gioia 7, Coronica, Spanghero 13. All. Bernardi.
COMO: Pozzi 5, Bergna 14, Spatafora ne, Angiolini 21, Anzivino 6, Meroni, Sari 3, Ballarate 4, Andreello 5, Matteucci 15. All. Tritto.
ARBITRI: Santilli e Sica.
NOTE - Tiri liberi Acegas 19/29, Como 22/26; tiri da 3 Acegas 5/19, Como 9/26; tiri da 2 Acegas 19/31, Como 12/30. Usciti per cinque falli: Cigliani e Sari.
di MATTEO CONTESSA
TRIESTE L’Acegas perde col minimo scarto, 72-73, a tempo abbondantemente scaduto la partita d’esordio dei play-off contro Como. La perde a causa di un fischio sbagliato dell’arbitro Santilli, che vede un fallo di Gennari su Matteucci quando la sirena ha suonato la fine da almeno 2 secondi. Il collega Sica ritiene l’incontro terminato, ma Santilli non vuole sentire ragioni e manda in lunetta il comasco, che segna i due tiri liberi e vanifica l’imperiosa rimonta dell’Acegas negli ultimi 7 minuti di partita, da -14 a +3 con un parziale di 25-7. E adesso tutto si fa in salita: un tifoso avrebbe schiaffeggiato l’arbitro all’uscita dal campo, si rischia la squalifica del Pala Trieste e arbitraggi non troppo riguardosi nelle prossime partite, a partire da mercoledì.Una sconfitta che brucia, per come è arrivata. Ma che non scandalizza per come è maturata. Perchè l’Acegas è stata impacciata, contratta, lenta per tre quarti di gara. Ha sofferto l’impatto con gli spareggi promozione e ha pagato dazio. Avrebbe dovuto imporre la sua partita ai lombardi, ha finito per subire la loro: ritmo lento, gioco «sporco», difesa asfissiante soprattutto vicino al canestro. Lenardon e compagni avrebbero dovuto tenere i motori al massimo dei giri, non l’hanno quasi mai fatto e così hanno finito per restare invischiati nella ragnatela ospite, che badava soprattutto a proteggere l’area dei 3 secondi. Per strapparla l’Acegas aveva l’arma di riserva, il tiro dalla distanza. Ma siccome stavolta non ha funzionato (5 su 19, pari al 26%), Trieste non ha potuto dare alla partita la sua impronta. Così ha dovuto inseguire costantemente. Tritto ha indovinato la strategia e Como tranquilla, senza strafare, è riuscita a portarsi a casa tutto il malloppo. Adesso l’Acegas ha rotto il ghiaccio con i play-off, ma mercoledì sera a Como dovrà giocare la partita senza domani, come dice coach Bernardi: o restituisce il pacco ai lariani, oppure finisce subito il suo viaggio.Gli ospiti mettono il naso avanti in avvio grazie alla mano esperta di Matteucci e alla precisione di Bergna. Ma l’Acegas riesce ad avvicinare con buona frequenza il canestro ospite e ribatte colpo su colpo. Così l’equilibrio non si sblocca (13-13 al 7’25”). Como chiude avanti il primo quarto col tiro da circo sulla sirena di Matteucci (almeno 18 metri distante dal canestro): 18-20.Il secondo quarto vede il ritorno in campo di Bocchini, che realizza subito in entrata il canestro del pareggio. Poi inizia una mano di «ciapa no» che dura un paio di minuti, fin quando Gennari, beccato dal pubblico per i suoi errori pacchiani da sotto canestro, realizza una tripla (24-20 al 3’45”) invitando polemicamente il pubblico al silenzio. Il capitano biancorosso, con 5 punti consecutivi, lancia giusto a metà parziale il primo tentativo di allungo: 28-21, sarà anche il massimo vantaggio casalingo della partita. L’Acegas difende abbastanza bene, Como trova difficoltà a trovare il bersaglio. Ma è davanti che, fino a questo momento, non si stanno replicando le ultime partite: manca velocità in regia e contro l’arcigna difesa lariana Trieste non riesce a procurarsi conclusioni facili. Como continua così a fare la sua partita e un punto alla volta recupera tutto il ritardo, andando al riposo addirittura avanti per 35-33 con l’entrata del play Pozzi a 2” dalla conclusione.L’inizio della ripresa vede l’Acegas un po’ addormentata, lascia agli avversari due rimbalzi in solitudine in attacco e subisce 4 punti, dall’altra parte sbaglia tre conclusioni di fila e così Como in meno di 3’ si costruisce un +8 che preoccupa (35-43). Per giunta Lenardon, stasera comunque in ombra, commette il suo quarto fallo e Bernardi deve richiamarlo in panchina. Non è un buon momento per i biancorossi, mentre ai lombardi riesce tutto: altra bomba di Matteucci e volano sul 35-46. Adesso sono loro a sigillare l’area pitturata, costringendo gli attaccanti biancorossi ripetutamente allo sfondamento nel tentativo di procurarsi il varco buono. Morale della favola: si va all’ultimo quarto sul 45-56, con Como che sembra padrona della partita. Tanto è vero che Sari indovina la tripla e manda i suoi al massimo vantaggio: 48-62 dopo un minuto. Non può finire così, almeno l’orgoglio l’Acegas deve gettarlo sul parquet. Bernardi approfitta di un time out e ordina la difesa aggressiva a tutto campo e le cose ricominciano a girare nel verso giusto: in meno di 4 minuti arriva l’11-0 che riapre l’incontro (59-62) grazie alle iniziative di Spanghero e Gennari. Adesso il PalaTrieste è una bolgia, Como sbanda e non riesce più a tirare, morendo due volte consecutivamente con il pallone nelle mani allo scadere dei 24”. E la correzione a canestro di Benevelli dopo una palla rubata da Cigliani ad Angiolini regala il sorpasso (70-69) a 67” dalla fine. Nel girone dantesco del palasport Como sbaglia due conclusioni consecutive e Lenardon in lunetta segna il 72-69 a 44” dal termine. Angiolini riporta i suoi a -1, Benevelli sbaglia il tiro a 5” dalla fine e concede a Como l’ultimo tiro. Meroni lo sbaglia, la sirena suona, ma l’arbitro Santilli fischia ben oltre la fine un fallo a Gennari su Matteucci nel rimbalzo. Nel caos del PalaTrieste il comasco mantiene la calma e a tempo abbondantemente scaduto segna i due liberi della vittoria.


RIPRENDE IL PROCESSO PER LE ”PROVE MANOMESSE”
VENEZIA Riprende questa mattina, nella sede staccata del tribunale in viale San Marco, il processo per la presunta manomissione del lamierino trovato in un ordigno attribuito al famigerato Unabomber. Riprenderà quindi oggi il processo per la presunta creazione di una prova falsa allo scopo di incastrare l'ingegnere Elvo Zornitta, sospettato numero uno di essere Unabomber. Ingegnere di origini bellunesi ma residente ad Azzano Decimo (Pordenone) e uscito dalle indagini con il proscioglimento avvenuto lo scorso mese davanti al gip del tribnnale di Trieste.Il processo è iniziato a novembre e vede sul banco degli imputato Ezio Zernar, il perito balistico padovano allora in servizio al Laboratorio indagini criminalistiche (Lic) della Procura di Venezia. La sospensione, di due mesi, delle udienze è stata causata dai problemi di salute dell'avvocato bellunese Maurizio Paniz, legale dello stesso Zornitta. Ezio Zernar difeso dall'avvocato Emanuele Fragrasso, secondo l'accusa rappresentata dal pm Emma Rizzato, con una forbice trovata in un capanno di pertinenza di Zornitta avrebbe rifilato un lamierino componente di un ordigno recuperato integro per dimostrare il legame tra l'ingegnere e l'attività del terrorista. L'ultima udienza del processo, davanti al giudice unico Sergio Trentanovi, si era tenuta a febbraio.Oggi sono di scena i testi dell'accusa. Tra questi anche l'ispettore Fabio Zocco che del pool investigativo «anti Unabomber» è stato uno degli investigatori principali. La sua testimonianza è importante per capire come si è mosso e perchè il pool non è riuscito a trovare una prova schiacciante per individuare il terrorista del nordest. La prossima udienza è fissata per il 4 maggio. Parleranno in quell'occasione ancora i testi della pubblica accusa e i testi di parte civile. (c.m.)

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